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  • Sabato 24 febbraio 2024

Dopo due anni di guerra, l’Ucraina è scoraggiata

A causa delle difficoltà crescenti dell'esercito e della carenza di aiuti: ma la maggior parte della popolazione vuole continuare a combattere

di Davide Maria De Luca

Un prigioniero di guerra ucraino liberato dopo uno scambio di prigionieri con la Russia
Un prigioniero di guerra ucraino liberato dopo uno scambio di prigionieri con la Russia (AP Photo/Danylo Pavlov)
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Due anni dopo l’inizio dell’invasione russa, il 24 febbraio del 2024, la popolazione in Ucraina appare sempre più scoraggiata. Questo umore è conseguenza dei risultati deludenti della controffensiva estiva, delle vittorie ottenute dai russi nel corso dell’inverno, dell’esitazione crescente degli alleati nel fornire gli aiuti necessari a proseguire e della semplice stanchezza per una guerra di cui non si vede la fine.

Molto sembra essere cambiato nel corso del secondo anno di guerra appena trascorso. Lo scorso febbraio più di un quarto degli ucraini era convinto che la guerra sarebbe finita entro un anno e il 66 per cento di loro rifiutava qualsiasi ipotesi di negoziato con la Russia. Oggi, quasi la metà degli ucraini pensa di avere davanti ancora più di un anno di combattimenti e la percentuale di chi pensa che sia arrivato il momento di trattare è salita al 42 per cento. «Un anno fa eravamo senza luce, ma pieni di speranza», dice Oksana, impiegata di una ong tedesca, riferendosi ai bombardamenti russi che lo scorso inverno avevano lasciato per giorni le grandi città ucraine senza energia elettrica. Oggi invece, continua, è il contrario. Le bombe russe non sono riuscite a causare blackout, ma dell’ottimismo di un anno fa ci sono poche tracce.

Questo clima via via più scoraggiato, che si nota nei sondaggi, è il rovescio dell’ottimismo di circa un anno fa, quando le vittorie dell’esercito ucraino a Kiev, Kharkiv e Kherson avevano fatto sperare in una conclusione rapida della guerra. Come ha notato il giornalista francese Fabrice Deprez, che vive a Kiev da anni, in un periodo di guerra queste violente oscillazioni dell’umore, in un senso o nell’altro, sono inevitabili e vanno prese con cautela.

Ancora oggi la grande maggioranza degli ucraini resta contraria a fare concessioni territoriali alla Russia in cambio della pace e la fiducia nel presidente Volodymyr Zelensky, seppur in calo, rimane sopra il 60 per cento, un livello che fa invidia alla maggior parte dei leader occidentali. Nel frattempo, le forze armate restano l’istituzione più popolare del paese, con tassi di popolarità sopra all’80 per cento.

Gli inviti a donare all’esercito si trovano ovunque in città: nei locali, al supermercato, per le strade, in libreria. Alla fine di uno spettacolo teatrale è normale che il regista salga sul palco per invitare gli spettatori a donare all’unità nella quale si è arruolato volontario.

Si può donare direttamente alle forze armate, ma anche ai singoli battaglioni, che utilizzano i proventi per procurarsi le attrezzature di cui sono costantemente a corto. Automobili fuoristrada e pezzi di ricambio sono tra gli oggetti più richiesti. Il governo spesso non ha le risorse né la capacità organizzativa di fornire alle truppe tutto ciò di cui hanno bisogno. Questo inverno, sul fronte di Kupiansk, nel nord-est dell’Ucraina, un ufficiale spiegava che su dieci droni utilizzati dalla sua unità, nove arrivano dalle donazioni dei civili.

Il governo ucraino, e i suoi alleati, dovranno riuscire a fare meglio che affidarsi alla buona volontà della popolazione se vogliono invertire la tendenza che da mesi vede le truppe russe in vantaggio su tutto il fronte. In un articolo pubblicato sul sito War on the Rocks gli analisti Michael Kofman, Rob Lee e Dara Massicot, che visitano regolarmente il fronte, hanno scritto che l’Ucraina ha bisogno di trascorrere il 2024 sulla difensiva, cedendo terreno ai russi in cambio di tempo, accumulando riserve e preparando una nuova controffensiva per la primavera del 2025.

Le loro sono idee sostanzialmente in linea con quelle dell’ex comandante in capo delle forze armate ucraine, il popolare generale Valery Zaluzhny, licenziato da Zelensky all’inizio di febbraio. Ma per metterle in pratica in un momento in cui le risorse fornite dagli alleati appaiono sempre più in dubbio, l’Ucraina dovrà mobilitare una percentuale ancora più alta della sua popolazione e della sua economia. È quello che chiedeva Zaluzhny e che chiedono ancora oggi molti ucraini. A dicembre, durante l’approvazione del bilancio comunale di Kiev, alcune centinaia di persone hanno protestato davanti al municipio, chiedendo che il comune spendesse meno in lavori pubblici e che assegnasse maggiori fondi all’esercito. «Vogliamo proiettili, non parchi», era scritto su uno dei cartelli.

Alcuni ucraini usano un’espressione di origine sovietica per definire l’impegno totale dell’intera nazione che ritengono necessario alla vittoria: voyenni reyky, letteralmente “binari militari”. Significa ridurre al minimo tutte le attività economiche non direttamente connesse allo sforzo bellico: mandare al fronte la benzina usata per i taxi, e i taxi stessi, convertire le manifatture in fabbriche di munizioni, importare armi con la valuta internazionale normalmente usata per importare prodotti di lusso.

Questo è in diretto contrasto con la normalità apparente che si vede nelle grandi città ucraine e che colpisce così tanto i visitatori, siano giornalisti stranieri, operatori di ong internazionali o militari ucraini in licenza dal fronte. Locali pieni di giovani, strade trafficate, supermercati, come l’esclusivo Le Silpo nel centro di Kiev, pieni di mozzarella fresca e prosciutto spagnolo.

Fino a oggi, il governo ucraino ha preferito evitare di mettere l’economia del paese sui “binari militari”, nel timore che ulteriori sacrifici rendano il conflitto ancora meno popolare. E d’altro canto diversi economisti dubitano che un’economia moderna come quella ucraina possa seguire le orme dell’Unione Sovietica nella Seconda guerra mondiale senza generare risultati controproducenti. Ma qualcosa sta iniziando a cambiare e dal governo sono uscite le prime ipotesi di aumento delle imposte, che anche durante la guerra restano tra le più basse d’Europa, e degli stipendi nel settore della difesa.

Un discorso ancora più urgente è la mobilitazione della popolazione. L’Ucraina ha circa un milione di soldati sotto le armi – molti dei quali hanno trascorso ormai due anni al fronte: l’attuale legge non prevede un termine del servizio militare fino alla conclusione del conflitto. Nel paese vivono almeno altri dieci milioni di uomini arruolabili e altrettante donne. Secondo le forze armate, una nuova mobilitazione per rafforzare l’esercito e dare respiro a chi combatte da mesi senza sosta non si può più posticipare.

Il precedente comandante in capo delle forze armate, Zaluzhny, aveva chiesto già alla fine dell’anno scorso 500 mila nuovi soldati e misure più severe per chi evita il reclutamento. Il governo ha preparato una nuova legge che da mesi è bloccata in un rimpallo tra governo e parlamento. Il governo esita a mettere in atto una misura che ritiene estremamente impopolare. Lo stesso Zelensky ha detto di non essere convinto dei numeri di nuove reclute necessarie fatti circolare dai comandi militari.

Come nella gestione dell’economia, il governo cerca di condurre la guerra senza alterare radicalmente la società ucraina. I giovani, la classe d’età più istruita e considerata il futuro del paese, sono in larga parte risparmiati dalla mobilitazione. L’età minima per essere reclutati è 27 anni e, a meno di non arruolarsi volontari, le possibilità di finire al fronte se si ha un’istruzione superiore e un buon impiego sono ridotte. Il risultato è che oggi nelle forze armate ucraine l’età media è 42 anni.

Questo secondo anniversario di guerra trascorrerà segnato dalle contraddizioni. Quelle sempre più stridenti tra il fronte e l’apparente normalità della vita nelle grandi città. Quelle tra le promesse degli alleati e gli aiuti effettivamente consegnati al paese. E infine, quella tra una popolazione che sembra esprimere in maggioranza la sua volontà di proseguire il conflitto fino alla vittoria e un governo che esita a chiedere i sacrifici necessari per tentare di raggiungerla.