Come funziona la pubblicità del Festival di Sanremo

Da qualche anno i ricavi pubblicitari dell'evento sono in costante aumento, e sempre più importanti per l'economia della Rai

La Costa Smeralda ancorata a largo di Sanremo (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
La Costa Smeralda ancorata a largo di Sanremo (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
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Per la televisione italiana, il Festival di Sanremo è di gran lunga il più grande evento dell’anno in termini di investimenti pubblicitari. Questo è evidente anche per gli spettatori: durante il Festival di Sanremo le pubblicità televisive hanno spesso un budget più alto, e a volte sono più creative. Il Festival è un momento estremamente importante per il mondo italiano dello spettacolo, che catalizza notevolmente l’attenzione del pubblico e dei media: per esempio nella prima serata, quella che tipicamente attrae più interesse insieme alla finale, è stato visto da oltre 10 milioni di spettatori, con il 65 per cento di share.

Per questo per le aziende è particolarmente appetibile investire in pubblicità e accordi di sponsorizzazione nell’ambito di questo programma, che con i suoi ascolti e gli eventi sul territorio garantisce molta visibilità ai marchi. Questo fa sì che la pubblicità televisiva durante il festival sia differente per qualità, investimenti e impegno, anche se siamo ancora molto lontani dalla qualità e dalla creatività di mercati pubblicitari e televisivi più grandi, come quello degli Stati Uniti.

Il Festival ha sempre avuto buoni risultati nella raccolta pubblicitaria, ossia dei soldi che riesce a guadagnare vendendo alle imprese i suoi spazi pubblicitari. Secondo le stime del Sole 24 Ore quest’anno il Festival ha già raccolto 56 milioni di euro. La cifra definitiva viene comunicata ufficialmente alla fine della settimana, e se confermata supererebbe i 50 milioni di euro raccolti lo scorso anno, dato già notevole. Se si guarda all’anno per cui è disponibile l’ultimo bilancio Rai, il 2022, su una raccolta pubblicitaria complessiva di 650 milioni di euro quella riconducibile solo al Festival fu di 42 milioni, il 6,5 per cento del totale: è moltissimo per una sola trasmissione che peraltro dura meno di una settimana.

È da qualche anno che gli introiti pubblicitari legati al Festival sono particolarmente in crescita, e questo dipende da due motivi principali.

Innanzitutto per il successo delle ultime edizioni, che hanno avuto ottimi risultati in termini di share e visibilità anche grazie alla conduzione e direzione artistica di Amadeus, a cui è ricondotto il merito di aver allargato il pubblico grazie a un assortimento di cantanti in gara più vario.

C’è un’affermazione che spesso viene fatta negli ambienti pubblicitari, per cui «Sanremo è il Super Bowl italiano, uno degli ultimi capisaldi nazionali che mette davanti agli schermi tante fasce della popolazione, che non si trovano più forse nemmeno per le partite della nazionale italiana di calcio», dice Gianluca Diegoli, professore a contratto di Marketing digitale all’università milanese IULM e consulente. «È un momento in cui un brand può parlare a tanti target diversi e in cui può uscire dalla sua consueta targettizzazione, con cui parla un po’ sempre ai suoi», dice Diegoli.

Per le aziende è dunque strategico essere presenti con la propria campagna pubblicitaria e «si crea un po’ una FOMO [la paura di perdersi qualcosa, dall’inglese fear of missing out, ndr]», per cui in un modo o nell’altro, con il budget che si possono permettere, devono trovare il modo di rendersi visibili. Anche se questo non si può dire che si sia tradotto in un aumento della qualità generale della pubblicità, per cui talvolta si notano campagne inserite «solo perché un’azienda doveva esserci», quindi o con soluzioni poco curate o che facevano già parte dei loro piani.

Si nota però una maggiore cura di alcune campagne create appositamente per il Festival, dice Diegoli, come per esempio quella di Netflix, in cui l’azienda ironizza sul fatto che durante la settimana dell’evento probabilmente ci saranno meno persone sulla piattaforma.

Il secondo motivo del crescente successo dei ricavi pubblicitari del Festival è dovuto anche a un grande cambio di modello nella raccolta. Viene gestita completamente da Rai Pubblicità, la società che gestisce in esclusiva la pubblicità su tutti i mezzi e su tutte le piattaforme Rai, oltre a quella di altri editori, radiofonici e digitali, presenti a Sanremo.

Antonella Di Lazzaro, direttrice dell’area trade marketing e iniziative speciali di Rai Pubblicità, racconta che questo cambiamento è avvenuto con l’edizione del 2020, la prima affidata ad Amadeus. Fino ad allora il modello pubblicitario del Festival era piuttosto tradizionale: si basava sulla vendita dei classici spot e prevedeva un accordo di partnership con un’unica azienda, storicamente Tim, di cui garantiva la visibilità tramite spot e richiami al brand durante lo spettacolo.

Dal 2020 la strategia pubblicitaria legata al Festival ha iniziato a «uscire dal Teatro Ariston e a creare delle occasioni di visibilità per i brand sul territorio di Sanremo, che venivano poi inglobate e promosse anche dall’evento televisivo», dice Di Lazzaro. Per esempio nel 2020 fu installato un palco in piazza Colombo, accanto all’Ariston, grazie a una partnership con Nutella e Ferrero: fu creato uno spettacolo parallelo ma integrato con il Festival che coinvolgesse anche chi non era fisicamente dentro il teatro. Iniziò «un processo di urbanizzazione che creò tanti punti di contatto e visibilità tra territorio e brand. E questo ha dato il via poi a un cambio di paradigma», racconta Di Lazzaro.

Tutto questo è stato molto innovativo per la Rai e per il Festival di Sanremo, che avevano abituato il pubblico a logiche pubblicitarie diventate col tempo un po’ datate. Secondo Diegoli Rai Pubblicità, forse anche per il suo essere una società esterna alla Rai, ha avuto modo di sperimentare e accogliere le innovazioni che vengono dal mercato, creando così un modello più moderno ed efficace: la tendenza a creare occasioni di visibilità per i brand sul territorio è infatti piuttosto diffusa, soprattutto da dopo la pandemia.

Oggi Rai Pubblicità compone per i propri clienti dei piani di comunicazione personalizzati e variegati, che a seconda dell’azienda e del budget possono essere pacchetti più semplici o partnership strutturate, quindi tramite rapporti con più aziende a cui viene offerta una certa visibilità in più occasioni, su più canali e con modalità diversificate.

Le partnership sono la modalità con cui i brand si ritrovano più esposti verso il pubblico. I partner istituzionali di questa edizione sono Costa Crociere, Eni, Suzuki e poltronesofà. Un esempio con cui queste partnership sono state intese in modo più innovativo è quella con Costa Crociere, la cui nave Costa Smeralda è ferma al largo di Sanremo: da qui sono proiettati messaggi da schermi posti nella struttura esterna e vi sono organizzate alcune esibizioni che sono proprio parte dello spettacolo del Festival. Costa ha poi visibilità anche con altri canali e su altri media, tramite spot tradizionali sui canali Rai, sulle piattaforme e sui social.

Oltre ai partner istituzionali ci sono altre aziende che hanno accordi di partnership ancora diversi, come Sephora, VeraLab, Generali, Coca-Cola e Mutti. Questi brand si associano al marchio del Festival tramite un accordo di licenza, e creano occasioni sul territorio per le loro attività di comunicazione e promozione dei prodotti. Per esempio VeraLab, azienda di creme e cosmetici, ha fatto installare una ruota panoramica su cui si può salire gratuitamente e intorno alla quale ci sono iniziative per la promozione dei prodotti. VeraLab ha anche fatto alcuni concorsi con cui ha messo in palio i biglietti per partecipare agli spettacoli all’Ariston. C’è poi il caso di Coca-Cola, che ha creato uno spazio in cui si può vedere in diretta il Festival mentre si mangia la pizza e si beve Coca-Cola, appunto.

Il modello di partnership garantisce una visibilità notevole per i brand, secondo Diegoli, ma ovviamente poche aziende possono davvero permettersela: sebbene non si conoscano le somme pagate a Rai Pubblicità, anche la dimensione delle aziende fa capire che dietro ci sono dei budget piuttosto importanti. Paradossalmente, secondo Diegoli, il costo enorme di queste iniziative rischia di comprimerne l’efficacia in termini di impatto positivo sulle vendite: l’efficacia della pubblicità si può “misurare” con quante vendite e ricavi aggiuntivi genera; più il costo dell’investimento pubblicitario è alto, più è difficile che questo effetto positivo riesca a compensarlo. Per le aziende dunque «è una scommessa».

Questa scommessa consente alla Rai di incassare decine di milioni di euro l’anno. Secondo Di Lazzaro il successo di queste iniziative, e soprattutto la possibilità di farle, dipende molto dalla collaborazione con la direzione artistica e l’editore, che in questi anni hanno permesso di integrarle all’interno dello spettacolo e dell’offerta più ampia del Festival. Dipende anche dalla fiducia che le aziende hanno riposto nella possibilità di sperimentare forme comunicative più innovative e ambiziose, anche a fronte di investimenti più importanti. La riuscita finale di tutto si riconduce però alla «grandissima capacità della direzione artistica e dell’editore di riuscire a parlare a così tante persone» e quindi di allargare la visibilità del Festival e dei brand verso più tipi di target.

Oltre a queste forme più strutturate di partnership, a cui accedono solo aziende selezionate da Rai Pubblicità e con un budget abbastanza importante, ci sono anche modalità più economiche per le imprese per accedere alla pubblicità del Festival. Per esempio esiste proprio un tariffario degli spot, che quest’anno ha aumentato generalmente i prezzi dell’8 per cento. Il prezzo di uno spot varia a seconda della sua durata e dell’orario in cui viene mandato in onda. Gli spot più brevi sono i billboard che durano 4 secondi, poi ci sono gli spot da 15 secondi e poi le telepromozioni da 45.

In termini di scelta delle fasce orarie ci sono i golden minute, ossia la pubblicità di apertura, le nove pause pubblicitarie durante la puntata, e poi la pubblicità in chiusura. Il prezzo più basso è di 27.300 euro per uno spot da 15 secondi prima della chiusura della puntata finale. Ci sono poi i pacchetti, che costano centinaia di migliaia di euro: quello più caro prevede 10 passaggi tra le 22:45 e la mezzanotte e un quarto a 1,91 milioni di euro.

Di Lazzaro comunque dice che anche in caso di collaborazioni più semplici con le aziende Rai Pubblicità propone pacchetti con cui gli spot vanno in onda sui vari media della Rai – quindi non solo in tv ma per esempio anche su RaiPlay, su YouTube o su Rai Radio 2, la radio ufficiale del Festival – e sui vari programmi Rai anche non direttamente collegati al Festival, perché comunque «tutti i canali della Rai più o meno sono dedicati a questo grande racconto».

Oltre ai classici canali Rai e ai media che si possono pensare riconducibili a un editore televisivo e radiofonico, Rai Pubblicità ha attivato anche alcuni canali alternativi con cui promuovere la raccolta pubblicitaria, anche esterni al perimetro Rai. Per esempio da quest’anno ha iniziato una collaborazione con FantaSanremo, un gioco online ispirato al fantacalcio ma le cui squadre sono composte dagli artisti di Sanremo: grazie alla grande visibilità di questo gioco Rai Pubblicità ha iniziato a proporre alle aziende pubblicità tramite questo canale, per esempio dando nomi delle aziende alle squadre.

– Ascolta anche: L’indomabile podcast del Post su Sanremo