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  • Mercoledì 17 gennaio 2024

Sul fine vita decidono le regioni o lo Stato?

L'Avvocatura dello Stato ha espresso dubbi di costituzionalità sulla proposta di legge veneta sul suicidio assistito, ma c'è dibattito

Un fascicolo durante l'udienza pubblica sul caso del suicidio assistito di Dj Fabo, nel 2018. (ANSA/ANGELO CARCONI)
Un fascicolo durante l'udienza pubblica sul caso del suicidio assistito di Dj Fabo, nel 2018. (ANSA/ANGELO CARCONI)

Martedì il Consiglio regionale del Veneto ha discusso una proposta di legge regionale per regolamentare il suicidio assistito, la pratica con cui ci si auto-somministra un farmaco letale a determinate condizioni: in Italia è già legale per via di una sentenza della Corte Costituzionale del 2019, ma ancora non è regolamentata a livello nazionale, nonostante ripetuti inviti della Corte al parlamento per farlo. La proposta non è passata: diversi dei consiglieri regionali che hanno votato contro hanno motivato la propria decisione sostenendo che la regolamentazione sul fine vita non ricada nelle competenze della Regione, ma in quelle dello Stato e del governo. È lo stesso argomento che è stato sollevato anche in altre regioni dove è già stata depositata una proposta di legge regionale simile.

È un argomento tecnico e non riguarda la legittimità del suicidio assistito, anche perché la stessa proposta di legge aveva come obiettivo solo quello di definire il metodo di accesso, cioè come regolamentarlo: secondo chi sostiene la necessità di norme più definite sul fine vita è un argomento usato in maniera strumentale, per via di un’opposizione più che altro ideologica alla libertà di scelta sulla morte assistita.

La questione su chi fra Stato e regioni debba occuparsi di alcune specifiche materie riguarda diverse materie che la Costituzione (art. 117) definisce “concorrenti”, su cui Stato e regioni sono chiamati a lavorare insieme: in teoria il primo dovrebbe dettare l’impostazione generale delle leggi, le seconde dettano le regolamentazioni effettive. Questa situazione non del tutto definita ha creato nel tempo diversi contenziosi e controversie, su cui di volta in volta è stato necessario l’intervento della magistratura o della Corte Costituzionale. Tra le materie concorrenti c’è anche la tutela della salute, in cui rientra anche il ricorso al suicidio assistito.

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Molti consiglieri veneti hanno sostenuto che la proposta di legge regionale sul suicidio assistito sia incostituzionale, facendo riferimento a un parere inviato lo scorso novembre alla stessa Regione Veneto dall’Avvocatura dello Stato, l’organo che rappresenta e difende lo Stato e le pubbliche amministrazioni italiane. Nel parere, l’Avvocatura parlava di possibili «rilievi di non conformità al quadro costituzionale» proprio a proposito della legge regionale: sosteneva che per il tipo di ambiti, competenze e strumenti che comporta, il suicidio assistito debba essere regolamentato dal parlamento nazionale e non dalle singole regioni.

La possibilità per lo Stato di fare una legge sul fine vita esiste da anni: in Veneto come in altre regioni infatti la proposta di legge regionale è stata presentata nel tentativo di rimediare almeno a livello locale a un vuoto normativo che il parlamento nazionale non ha mai risolto, anche per via di un’avversione al tema da parte di alcune aree politiche molto influenti, specialmente quelle più conservatrici e quelle cattoliche. In Italia il suicidio assistito, o morte assistita, è legale non grazie a una legge del parlamento – che non è mai stata approvata – ma grazie alla cosiddetta “sentenza Cappato” della Corte Costituzionale del 2019: arrivò dopo anni di iniziative delle associazioni che si occupano del tema, appelli e infine di disobbedienze civili con cui si chiedeva più libertà sulle scelte individuali di fine vita.

Non essendo una legge, la sentenza stabilisce solo quando il suicidio assistito non è punibile, ma non dà indicazioni chiare su tempi e modalità di attuazione: la Corte ha chiesto al parlamento in più occasioni di intervenire e approvare una norma, finora senza successo. C’è una proposta ferma al Senato (ritenuta da molti comunque decisamente inadeguata), e nel frattempo ogni caso è affidato volta per volta alla gestione delle singole aziende sanitarie locali, con grossi problemi.

È proprio per questo che diverse regioni hanno deciso di dotarsi di strumenti per regolamentare la morte assistita in maniera autonoma: in 10 regioni, una delle quali era il Veneto, è stata depositata una proposta di legge; in una, la Puglia, è stata adottata una delibera in cui sono state elencate alcune linee guida; in altre quattro sono ancora in corso raccolte firme o sta per venire depositata la proposta di legge; in altre cinque si stanno cercando di avviare in vari modi iniziative e raccolte firme per depositare una proposta di legge. Nella maggior parte dei casi, come in Veneto, la proposta di legge depositata o che si vuole depositare è quella chiamata “Liberi Subito”, elaborata dall’associazione Luca Coscioni.

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Il parere dell’Avvocatura dello Stato su cui si sono basate molte opposizioni alla legge veneta era stato chiesto proprio dal Consiglio regionale del Veneto, e negli stessi giorni anche dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia. Anche in questo secondo caso l’Avvocatura di Stato aveva risposto sostenendo che la proposta di legge regionale si esponeva a profili di incostituzionalità. Semplificando molto, gli argomenti principali sono due.

Il primo è che secondo l’Avvocatura la proposta di legge regionale “Liberi Subito” riguarda temi di esclusiva competenza dello Stato: come «la titolarità e l’esercizio dei diritti fondamentali», cioè i diritti imprescindibili riconosciuti a ogni individuo dalla Costituzione, la «creazione o estensione della punibilità penale», cioè la possibilità di punire qualcuno per un reato compiuto, e l’ordinamento civile, le norme che regolano i rapporti tra privati.

Il secondo argomento dell’Avvocatura dello Stato è che la cosiddetta “sentenza Cappato”, quella che ha depenalizzato il suicidio assistito, lo ha fatto con criteri e condizioni che così come sono descritti si prestano a diverse interpretazioni: di conseguenza, dice l’Avvocatura, se ogni regione regolamentasse la pratica della morte assistita a modo proprio si verificherebbero «ingiustificabili» disparità di trattamento tra regione e regione.

A sostegno della propria tesi l’Avvocatura dello Stato fa riferimento anche a una precedente legge regionale su cui si era posto lo stesso problema: la legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento (le DAT, o il cosiddetto testamento biologico), cioè il diritto a scegliere in anticipo quali cure ricevere in caso di possibile futura incapacità di farlo, di cui il Friuli Venezia Giulia si dotò in modo autonomo nel 2015. Il governo nazionale impugnò quella legge, che un anno dopo la Corte Costituzionale dichiarò incostituzionale, con argomenti in parte simili a quelli del parere dell’Avvocatura sulla legge sul suicidio assistito. In Italia una legge nazionale sul testamento biologico esiste dal 2017, e regolamenta un diritto ancora molto poco conosciuto e sfruttato.

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L’ipotesi prospettata dal parere dell’Avvocatura, insomma, è che se venisse approvata da una delle regioni che l’hanno depositata, la proposta di legge regionale sul suicidio assistito possa essere impugnata dal governo: quello attuale, di destra e molto conservatore, ha peraltro posizioni tendenzialmente ostili alla libertà di scelta individuale su temi come il fine vita. È proprio citando quest’ipotesi che martedì alcuni membri leghisti della giunta regionale del Piemonte hanno fatto ostruzionismo alla legge nel Consiglio regionale, sostenendo che avrebbe poco senso approvare una legge che potrebbe poi essere impugnata dal governo. In questi casi il governo ha 60 giorni per farlo da dopo la pubblicazione della legge.

Non tutti comunque sono d’accordo sulla solidità dal punto di vista giuridico di questa posizione, che ad alcuni giuristi sembra guidata da valutazioni più politiche che tecniche.

Uno dei motivi principali è che la proposta di legge in questione è già stata dichiarata ammissibile dalle regioni che ne hanno autorizzato il deposito: «La dichiarazione di ammissibilità si basa principalmente sulla verifica di due cose: che la proposta non ecceda le competenze attribuite alle regioni dalla Costituzione e che sia in linea con le singole normative regionali», ha spiegato Francesca Re, avvocata dell’associazione Luca Coscioni (quella che ha elaborato la proposta di legge che ha provato ad approvare il Veneto e che è in discussione in altre regioni). Secondo questa tesi, in altre parole, la proposta di legge avrebbe già dimostrato la sua costituzionalità.

C’è poi un’altra questione, che riguarda le competenze citate dall’Avvocatura di Stato, e in particolare l’idea che la proposta di legge riguardi la punibilità di qualcuno per reati eventualmente commessi, cioè l’ordinamento penale che è di competenza statale.

Re ritiene che sia una lettura «strumentale», dato che l’ambito penale è già stato in qualche modo affrontato dalla “sentenza Cappato”. Quest’ultima ha depenalizzato il suicidio assistito a determinate condizioni, stabilendo quando si è punibili e quando no: la proposta di legge regionale si occupa solo di regolamentare modi e tempi con cui godere di un diritto già riconosciuto dalla sentenza della Corte. Lo fa regolamentando un ambito, la sanità, su cui le regioni hanno sempre avuto un ampio margine di discrezione e autonomia, e su cui è previsto dalla Costituzione che ci sia “concorrenza” tra Stato e Regioni, cioè che possano occuparsene entrambe. Un esempio recente tra tanti e per certi versi paragonabile è la fecondazione assistita eterologa, cioè la tecnica per avere figli basata sulla donazione esterna di ovuli e spermatozoi: anche quella fu legalizzata con una sentenza della Corte Costituzionale, nel 2014, e poi regolamentata in modo diverso dalle varie regioni, certamente con molti limiti.

Corrado Caruso, costituzionalista dell’Università di Bologna, aggiunge un elemento a questa lettura. Secondo Caruso si potrebbe anche concordare sul fatto che la proposta di legge regionale riguardi competenze anche statali, o quantomeno che si possa parlare di una «concorrenza di competenze». L’Avvocatura dello Stato allude per esempio alla possibilità che le pratiche necessarie a ricorrere al suicidio assistito rientrino nei Livelli essenziali di prestazione (i LEP): le prestazioni e i servizi minimi che riguardano i diritti sociali e civili, che la Costituzione elenca tra quelli di competenza legislativa dello Stato. Caruso dice che in questo caso le prestazioni implicano una spesa economica di cui dovrebbe farsi carico lo Stato.

Secondo Caruso a livello giuridico esistono teoricamente anche i presupposti per sostenere che gli ambiti di competenza statale contenuti nella legge prevalgano su quelli di competenza regionale. Le regioni però non stanno rendendo legale questa pratica a livello locale, la starebbero solo regolamentando: ormai su questo tema c’è già stata una sentenza della Corte Costituzionale, che ha valore di legge e che ha detto in modo chiaro e inequivocabile che a determinate condizioni il suicidio assistito è un diritto. È una situazione diversa, per esempio, rispetto alla legge regionale del Friuli sul testamento biologico, che fu dichiarata incostituzionale.

«Le regioni non stanno facendo nessun passo avanti rispetto a questo, ma stanno solo regolamentando le modalità con cui accedervi, come è di loro competenza», dice Caruso, secondo cui ignorare questo aspetto significherebbe tra l’altro non riconoscere alla sentenza della Corte Costituzionale il suo valore di legge. Le sentenze della Corte Costituzionale sono efficaci dal giorno successivo alla loro pubblicazione e immediatamente applicative.