• Italia
  • Venerdì 29 dicembre 2023

La fine degli sgravi fiscali per i calciatori che arrivano in Italia dall’estero

Erano previsti dal decreto “Crescita” che però non è stato prorogato: la Lega Serie A è piuttosto contrariata dalla decisione

(Paolo Bruno/Getty Images)
(Paolo Bruno/Getty Images)

Giovedì, dopo animate discussioni in Consiglio dei ministri, il governo ha deciso di non inserire all’interno del decreto cosiddetto “Milleproroghe” (un provvedimento che viene approvato quasi ogni anno, e il cui scopo principale è prolungare scadenze di legge vicine al termine) la proroga del cosiddetto decreto “Crescita”.

Il decreto era stato approvato dal primo governo Conte nel 2019, nell’ottica di favorire il cosiddetto “rientro dei cervelli”, cioè quando i lavoratori italiani emigrati all’estero tornano in Italia, e più in generale attrarre in Italia lavoratori qualificati. Contiene infatti una norma che prevede che i lavoratori che hanno vissuto almeno due anni all’estero e che si impegnano a risiedere in Italia per almeno due anni paghino le tasse (l’IRPEF, l’imposta sul reddito delle persone fisiche) soltanto sul 30 per cento del proprio reddito, ridotto al 10 per cento per chi decide di trasferire la residenza in una regione del Sud.

Negli ultimi anni il decreto “Crescita” ha avuto una certa importanza soprattutto per le società di calcio: questo perché i benefici fiscali che ha introdotto hanno reso molto più conveniente pagare lo stipendio ai calciatori appena acquistati dall’estero, e ha permesso alle società di offrire uno stipendio netto più alto a parità di stipendio lordo.

Nelle scorse settimane i presidenti di diverse società di calcio avevano chiesto che il decreto “Crescita” potesse essere prorogato fino al 29 febbraio del 2024, per consentire di usufruire dei benefici fiscali durante la sessione del calciomercato invernale. La mancata proroga del decreto (che per questo motivo era stata definita “salva calciomercato”) eliminerà tutti i benefici fiscali già a partire dal prossimo primo gennaio.

In un comunicato la Lega Serie A ha scritto di avere preso «atto con stupore e preoccupazione delle indiscrezioni di stampa», sostenendo che «tale decisione, se confermata, avrà quale unico risultato un esito diametralmente opposto a quello perseguito. La mancata proroga produrrà infatti minore competitività delle squadre, con conseguente riduzione dei ricavi, minori risorse da destinare ai vivai, minore indotto e dunque anche minor gettito per l’erario».

A essere contrario alla proroga del decreto “Crescita” era in particolare il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, sostenendo che avvantaggiasse i calciatori stranieri a discapito di quelli italiani. Invece Forza Italia era fortemente a favore della proroga: in particolare il senatore Claudio Lotito, peraltro presidente della squadra di calcio della Lazio, si è spesso esposto durante i lavori parlamentari e le riunioni politiche di maggioranza come rappresentante degli interessi delle squadre di Serie A. La posizione di Salvini è simile a quella dell’Associazione Italiana Calciatori (AIC), ossia il sindacato dei calciatori professionisti, secondo cui negli ultimi anni il decreto avrebbe disincentivato l’acquisto di calciatori italiani, inducendo le società a concentrarsi principalmente su quelli provenienti dall’estero.

Mercoledì Umberto Calcagno, il presidente dell’AIC, aveva inviato una lettera indirizzata al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, al viceministro dell’Economia Maurizio Leo e al ministro per lo Sport Andrea Abodi per esprimere la contrarietà dell’associazione alla proroga del decreto. «Le ragioni del nostro no sono legate non certo ad interessi economici, bensì alla necessità di tutelare il talento e il patrimonio sportivo rappresentato dai calciatori italiani […]. C’è un dato allarmante che emerge negli atleti Under 21 con una percentuale di impiego più alta per i calciatori stranieri rispetto ai ragazzi italiani e, in alcuni casi, ci troviamo di fronte a squadre composte addirittura per il 90% solo da calciatori stranieri».

In realtà il decreto “Crescita” non veniva applicato unicamente ai calciatori stranieri, ma anche a quelli italiani, a condizione che avessero giocato in un campionato diverso dalla Serie A nelle due stagioni precedenti.

– Leggi anche: Il governo vuole rendere meno vantaggioso il “rientro dei cervelli”