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  • Domenica 17 dicembre 2023

In Cile c’è l’ennesimo referendum su una nuova Costituzione

È il secondo in pochi anni, e si prevede che sarà respinto ancora, lasciando in vigore il vecchio testo dei tempi di Pinochet

Lavori per allestire un seggio a Santiago (AP Photo/Esteban Felix)
Lavori per allestire un seggio a Santiago (AP Photo/Esteban Felix)
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In Cile domenica gli elettori votano di nuovo per questioni relative alla Costituzione. È la quarta volta che succede negli ultimi quattro anni: stavolta si tratta di un referendum, con voto obbligatorio, sulla seconda proposta di una nuova Costituzione, che dovrebbe sostituire quella voluta nel 1980 dal dittatore di destra Augusto Pinochet.

Il processo era iniziato dopo le grandi proteste sociali del 2019, che avevano tra le loro principali richieste la scrittura di una nuova Costituzione. Nel 2022 un primo referendum respinse con il 62 per cento dei voti una bozza di Costituzione ritenuta molto di sinistra. Il testo è stato riscritto nuovamente da una nuova commissione, e ora il paese si trova a votarne una decisamente di destra. I sondaggi indicano che anche questa versione dovrebbe essere respinta: il presidente di sinistra Gabriel Boric e altri esponenti del governo hanno già chiarito che non ci sarà un terzo tentativo.

La Costituzione su cui si esprimeranno i cileni è stata approvata da un’assemblea costituente di 51 elementi, eletti a maggio del 2023: vinsero l’estrema destra e i conservatori, che fino a quel momento si erano sempre opposti a una riscrittura della Costituzione. Il testo approvato a novembre riprende quindi molti dei princìpi sociali ed economici della Costituzione già esistente, introducendo modifiche in senso ancora più conservatore e liberista. I partiti che sostengono il governo di Boric hanno indicato ai propri elettori di votare contro la nuova Costituzione, le opposizioni di destra sono a favore del Sì.

La coda per ricevere una copia del testo della proposta di nuova Costituzione all’esterno del palazzo presidenziale, la Moneda (AP Photo/Esteban Felix)

Per il Cile la riforma della Costituzione è una questione politica centrale ormai da anni: il centrosinistra aveva da tempo tra le sue priorità la sostituzione della Costituzione voluta più di quarant’anni fa da Pinochet, che nonostante decine di emendamenti fatti nel corso degli anni ha ancora un impianto decisamente conservatore. La sua riforma fu anche una delle principali richieste delle enormi proteste sociali del 2019, che iniziarono per il carovita ma che riguardarono ben presto tutto il sistema politico e sociale cileno, ritenuto diseguale e ingiusto.

Da quelle proteste, che raccolsero il favore di buona parte della popolazione, nacque una nuova classe dirigente giovane e di sinistra, che portò all’elezione nel 2021 di Gabriel Boric, il presidente più giovane della storia del paese e quello più di sinistra da oltre cinquant’anni. Nel 2020 i cileni votarono un referendum per sostituire la Costituzione, nel 2021 elessero la Convenzione costituzionale, un organo deputato alla scrittura di un nuovo testo composto da 155 persone, di cui la metà donne. Nel 2022 il testo fu presentato pubblicamente alla popolazione: era una delle Costituzioni più progressiste e femministe del mondo. Fu decisamente respinta, con il 62 per cento dei voti contrari, perché considerata troppo identitaria e ambiziosa, nonché  potenzialmente problematica.

A quel punto il presidente Boric fece ripartire il processo di stesura di un testo completamente nuovo: sarebbe stato scritto da una commissione di esperti proposta dal parlamento e poi emendato da un Consiglio Costituzionale eletto, quello da 51 membri. L’esito delle elezioni portò a una maggioranza fortemente spostata su posizioni conservatrici. I 23 rappresentanti del Partito Repubblicano, di estrema destra, e gli 11 di Chile Vamos, di destra tradizionale, hanno proceduto a modificare da soli la Costituzione scritta dagli esperti, senza cercare un accordo o una mediazione con i 17 rappresentanti del centrosinistra. Da un testo piuttosto equilibrato si è quindi passati a uno molto più conservatore.

Gabriel Boric e Miguel Littin, presidente temporaneo del Consiglio Costituzionale (AP Photo/Esteban Felix)

Il testo definitivo, risultato di otto mesi di emendamenti, è considerato da buona parte dell’opinione pubblica cilena come problematico, sotto vari punti di vista, e sicuramente non va nella direzione indicata dalle proteste con cui era incominciato il processo di revisione della Costituzione.

La Costituzione bocciata nel 2022 definiva il Cile uno “stato plurinazionale”, nell’intento di garantire i diritti delle popolazioni mapuche e sanare il conflitto in corso da tempo nelle regioni meridionali. Nel nuovo testo non ci c’è invece alcun riferimento alle popolazioni indigene.

Il testo è considerato peggiorativo anche dei diritti per le donne: non solo non ci sono indicazioni ispirate dalla ricerca di una maggiore uguaglianza dei sessi, ma alcuni articoli possono portare alla cancellazione del già ridotto diritto all’aborto. La nuova Costituzione dice che «la legge protegge la vita del nascituro», oltre ad ampliare le possibilità di obiezione di coscienza per motivi religiosi. L’aborto in Cile era legale dal 1930 al 1989, quando fu invece vietato totalmente, senza eccezioni. Dal 2017, durante la presidenza di Michelle Bachelet, è stato legalizzato in tre specifiche situazioni: quando la vita della madre è a rischio, quando il feto non può sopravvivere e in caso di stupro. Secondo le associazioni femministe la nuova Costituzione se approvata può portare a una cancellazione anche di queste possibilità.

La proposta di nuova Costituzione prevede inoltre una riduzione dei servizi sociali forniti dallo stato, restrizioni sul diritto allo sciopero, un accentramento dei poteri sul presidente e la creazione di venti nuovi enti governativi, pensati per bilanciare i poteri di quelli esistenti, ma che secondo i critici porteranno a una maggiore burocrazia. Un altro articolo renderà più semplice espellere i migranti entrati illegalmente nel paese: sono alcune centinaia di migliaia i venezuelani in questa condizione, arrivati a partire dal 2017.

A livello economico, la nuova Costituzione confermerebbe l’approccio che delega al settore privato parti importanti dei servizi di base, come la sanità e l’educazione, e gran parte del sistema pensionistico. Il superamento delle storture causate da questo sistema, implementato durante gli anni della dittatura, era stato una delle richieste delle proteste del 2019.

Circa tre milioni di cileni (la popolazione complessiva è di 19 milioni) dipendono totalmente a livello sanitario da un sistema di assicurazioni private, che negli ultimi vent’anni sono state al centro di polemiche e di dispute legali, legate a un aumento unilaterale dei prezzi e a discriminazioni che colpiscono soprattutto le donne in età fertile, gli anziani, i malati cronici. La completa parificazione delle scuole pubbliche e private, che ricevono uguali sovvenzioni per ogni singolo alunno (con la differenza che quelle private chiedono soldi supplementari alle famiglie), ha portato a una grande disparità nel livello scolastico, e in generale a un peggioramento della scuola pubblica.

Il sistema pensionistico creato negli anni Ottanta è completamente privato. I lavoratori versano un decimo del loro stipendio in uno di sette fondi pensionistici privati (il datore di lavoro non collabora) e quando raggiungono l’età della pensione ricevono una rendita proporzionale alle cifre versate. Il 72 per cento delle pensioni è inferiore al salario minimo, e il 25 per cento è sotto la soglia della povertà.

Il testo della Costituzione promosso dalla destra, oltre a non cambiare lo status quo, lo rende appunto “costituzionale”, complicando secondo i critici una modifica per via parlamentare in futuro: l’implementazione di un sistema pensionistico misto era uno dei punti del programma di governo di Boric, che sarà in carica fino al 2025.

Un’eventuale approvazione della Costituzione sarebbe una clamorosa sconfitta per il presidente, ma la probabile nuova vittoria del “no” metterà comunque fine a un processo costituzionale durato quattro anni e che non avrà portato a nulla. La Costituzione voluta da Pinochet resterà in vigore e il fallimento dei lavori per sostituirla costituirebbe in primo luogo la conferma dell’estrema polarizzazione della politica cilena. La radicalizzazione e la contrapposizione totale coinvolgono anche il giudizio storico su 17 anni di dittatura e rischiano di bloccare ogni tentativo di riforma nel paese. A ottobre del 2024 sono previste elezioni locali, un anno dopo quelle parlamentari e presidenziali: il rischio di una campagna elettorale perenne è reale, anche dopo la fine delle consultazioni riguardanti la Costituzione.

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