Il governo non sa come emendare la legge di bilancio “inemendabile”

Meloni aveva chiesto alla maggioranza di non presentare modifiche per agevolare l'approvazione della manovra: non ci sta riuscendo

La presidente del Consiglio Meloni col ministro dell'Economia Giorgetti a Palazzo Chigi
La presidente del Consiglio Meloni col ministro dell'Economia Giorgetti a Palazzo Chigi
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Per la maggioranza parlamentare impegnata nell’approvazione del disegno di legge di bilancio sono giorni travagliati. Nella commissione Bilancio del Senato, incaricata di analizzare il provvedimento che disciplina la politica economica del paese per il 2024, da lunedì c’è un clima turbolento: la maggioranza è in affanno e cerca di prendere tempo, le opposizioni denunciano i ritardi e protestano contro il governo, al cui interno ci sono altrettante tensioni. Il motivo di tutto questo è che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni non avrebbe voluto consentire ai parlamentari di modificare la legge di bilancio, mentre adesso alcuni emendamenti sembrano essere necessari. Inoltre i senatori della stessa maggioranza che sostiene il governo insistono per introdurre alcune norme a cui tengono, nonostante la richiesta del governo.

Il risultato è che i lavori procedono molto a rilento e le scadenze previste per l’approvazione del disegno di legge di bilancio rischiano di non essere rispettate. Il 18 dicembre il testo dovrebbe arrivare nell’aula del Senato, per essere votato e poi subito inviato alla Camera, che deve procedere all’approvazione definitiva entro il 31 dicembre.

La legge di bilancio è il provvedimento più importante per il governo, perché stabilisce come si potranno spendere i soldi a disposizione nell’anno successivo. Per questo il suo percorso è definito per legge: il governo deve approvare il disegno di legge e inviarlo al parlamento entro il 20 ottobre, confrontandosi poi anche con la Commissione Europea. A quel punto i gruppi parlamentari, sia di maggioranza che di opposizione, possono presentare emendamenti entro una determinata scadenza, che quest’anno era il 21 novembre. Anche il governo stesso può presentare emendamenti, senza però dover rispettare scadenze: di solito li presenta perché magari in qualche ministero ci si rende conto di cose che non vanno o errori commessi durante la scrittura del disegno di legge. Infine Camera e Senato devono procedere nell’analisi finale, approvando la legge entro la fine dell’anno.

Le difficoltà e le lungaggini connesse all’approvazione della manovra finanziaria, cioè appunto la legge di bilancio, non sono una novità. Da molti anni ormai ricorrono sempre le stesse complicazioni: il governo arriva in ritardo a presentare la versione definitiva della manovra, i margini di intervento da parte dei parlamentari sono assai ridotti e solo una delle due camere riesce davvero a discutere nel merito il disegno di legge, mentre l’altra è di fatto costretta a ratificarlo senza alcuna possibilità di intervento nei giorni tra Natale e Capodanno, in tutta fretta e senza un reale dibattito.

Per ovviare a questo problema ormai strutturale, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva appunto concordato con gli alleati di governo una soluzione insolita: i gruppi di maggioranza – cioè Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia – non avrebbero presentato alcun emendamento, lasciando che fosse il ministero dell’Economia a presentare eventuali modifiche condivise, così da agevolare i lavori di approvazione. Si era dunque parlato di un disegno di legge di bilancio “inemendabile”. Eppure quasi due mesi dopo l’approvazione del disegno di legge da parte del Consiglio dei ministri, in queste ore i partiti che sostengono il governo sono in difficoltà proprio perché stanno discutendo su come emendarlo.

I gruppi di maggioranza infatti non avevano gradito granché questa imposizione da parte di Meloni. A inizio novembre c’erano stati litigi e tensioni su un provvedimento che ha molto a che fare con la legge di bilancio, il decreto fiscale, chiamato anche decreto “Anticipi”. Questo decreto è un cosiddetto “collegato” alla legge di bilancio, significa che è un provvedimento che prevede norme e interventi finanziati coi fondi stanziati nella legge di bilancio stessa. Sia Lega sia Forza Italia avevano a lungo cercato di trasferire su questo decreto fiscale gli emendamenti che non avrebbero potuto presentare alla manovra, ma il governo si era opposto alla gran parte di queste richieste. La motivazione del ministero dell’Economia era stata più o meno sempre la stessa: non ci sono soldi. Ma tutto questo aveva prodotto un ritardo nell’approvazione del decreto fiscale, che ha determinato a sua volta un rinvio dei lavori sulla finanziaria.

Il 21 novembre scorso, poi, nell’ultimo giorno utile per presentare emendamenti al disegno di legge di bilancio, la Lega aveva depositato tre proposte di modifica, infastidendo molto gli alleati. Il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo, aveva ridimensionato l’incidente parlando di un malinteso. Dopo un confronto telefonico tra Romeo stesso e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, la Lega aveva ritirato quegli emendamenti e le polemiche erano poi rientrate.

Il presidente della commissione Bilancio del Senato, Nicola Calandrini, di Fratelli d’Italia (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Il primo dicembre scorso, però, ne sono nate delle altre, di nuovo sul decreto fiscale. Mentre in commissione Bilancio era in corso la discussione decisiva sul decreto, il senatore Claudio Lotito di Forza Italia ha chiesto insistentemente l’approvazione di un emendamento a cui teneva. Dopo esserselo visto bocciare più volte, durante una pausa dei lavori ha mandato a quel paese il presidente della commissione Bilancio, Nicola Calandrini di Fratelli d’Italia. Subito dopo Dario Damiani, anche lui di Forza Italia, in seguito a un analogo battibecco su emendamenti da lui presentati e bocciati dal governo, ha protestato: «Prendo atto della decisione del governo, ma annuncio fin d’ora che ripresenterò questi emendamenti durante la discussione della legge di bilancio».

La scorsa settimana Luca Ciriani, il ministro per i Rapporti col parlamento di Fratelli d’Italia, ha organizzato una riunione coi capigruppo del Senato e i responsabili dei vari partiti sulla legge di bilancio proprio per cercare di placare gli animi e rendere più agevole la discussione della legge di bilancio, che sarebbe iniziata una settimana dopo (lunedì 11 dicembre). Prima del 21 novembre le opposizioni avevano infatti depositato 2.600 emendamenti: una cifra come al solito enorme, che serve più che altro a negoziare con la maggioranza sulle poche richieste su cui si cerca davvero di ottenere delle concessioni dal governo.

Ciriani ha chiesto appunto alle opposizioni questo, in sostanza: ditemi quali sono gli emendamenti a cui tenete davvero, cioè i cosiddetti “emendamenti segnalati”. I senatori dell’opposizione hanno risposto che prima di collaborare avrebbero voluto capire quali fossero le modifiche che il governo intende fare. Il giorno seguente Ciriani ha avvertito i colleghi di governo durante il Consiglio dei ministri, spiegando che i lavori sulla legge di bilancio rischiavano di complicarsi.

L’avvertimento era rivolto soprattutto al ministro dell’Economia, il leghista Giancarlo Giorgetti. È il suo ministero infatti che cura la scrittura degli emendamenti del governo alla manovra finanziaria, un passaggio molto delicato. Gli emendamenti del governo possono essere presentati anche oltre la scadenza prevista per i parlamentari, ma devono essere preventivamente convalidati (“bollinati”, in gergo) dalla Ragioneria generale dello Stato, cioè quel dipartimento dello stesso ministero dell’Economia che controlla la sostenibilità finanziaria dei provvedimenti che il governo e il parlamento approvano. Serve dunque un lavoro molto accurato, per scrivere questi emendamenti, e questo lavoro richiede del tempo.

Arriviamo infine a lunedì 11 dicembre, quando la commissione Bilancio si è riunita per avviare la fase finale dell’analisi del disegno di legge, in vista della scadenza del 18 dicembre. Ma il governo non era ancora pronto a presentare tutti gli emendamenti previsti, che erano quattro. Uno riguarda le pensioni dei medici, uno il rinnovo dei contratti di Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza, un terzo interviene per dare risorse aggiuntive alle regioni. E poi ce n’è un quarto, che ha a che vedere con le infrastrutture e in particolare con il finanziamento dei lavori per l’avvio della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, a cui il leader della Lega Matteo Salvini tiene particolarmente: questo quarto è stato depositato solo martedì pomeriggio.

A fronte di questo ritardo, martedì mattina le opposizioni hanno abbandonato polemicamente i lavori della commissione, con un atto di ostruzionismo. I partiti di maggioranza a quel punto hanno dovuto ammettere che la linea finora seguita stava rischiando di compromettere l’approvazione del disegno di legge di bilancio. I capigruppo di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia al Senato si sono riuniti in via straordinaria e l’incontro è stato piuttosto animato, i presenti si sono urlati addosso e si sono reciprocamente accusati. Alla fine il governo, che era rappresentato dalla sottosegretaria all’Economia Licia Albano, ha acconsentito che i relatori presentino alcuni emendamenti.

I relatori sono parlamentari che seguono più da vicino i vari provvedimenti, coordinano i lavori della commissione che li analizza, curano il confronto col governo ed esprimono pareri sugli emendamenti che i vari parlamentari presentano. Come per i membri del governo, anche ai relatori è riservato il diritto di proporre emendamenti oltre la scadenza dei termini, anche all’ultimo minuto. Così la volontà del governo di rendere la legge di bilancio “inemendabile” è venuta definitivamente meno: al termine dell’incontro, il capogruppo leghista Romeo si è rivolto in modo ironico al collega di Fratelli d’Italia, Lucio Malan, dicendogli: «Avete visto? Ci avete messo quindici giorni prima di capire che bisogna comunque accogliere gli emendamenti».

Nel frattempo alla Camera si è svolta un’altra importante riunione. Meloni si è confrontata coi capigruppo di maggioranza di Montecitorio, infastiditi per il fatto che l’incertezza sui lavori del Senato si rifletta anche su di loro. Nel corso della riunione la presidente del Consiglio ha fatto capire che i tempi sono ormai segnati e che la Camera sarà costretta a discutere e approvare la manovra tra il 27 e il 29 dicembre, salvo ulteriori ritardi.