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  • Martedì 28 novembre 2023

Le generazioni non ci sono sempre state

Fino ai primi decenni del Novecento e a Gertrude Stein era un concetto che non esisteva, racconta Matteo Bordone in "L'invenzione del boomer"

Gertrude Stein (Hulton Archive/Getty Images)
Gertrude Stein (Hulton Archive/Getty Images)
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Nel 2020 l’Enciclopedia Treccani ha registrato tra i neologismi della lingua italiana la parola “boomer”, inizialmente usata nel contesto anglosassone per indicare le persone nate tra la fine della Seconda guerra mondiale e i primi anni Sessanta e oggi diffusa per descrivere chi ha opinioni o comportamenti giudicati superati, e per questo addirittura ridicoli, dalle persone più giovani. Il concetto di “boomer” è molto legato a quello di “generazione”, che a sua volta è in realtà piuttosto recente per come lo intendiamo oggi: fino ai primi decenni del Novecento non esisteva.

Lo spiega Matteo Bordone, giornalista e autore e conduttore del podcast quotidiano del Post Tienimi Bordone, nel suo libro L’invenzione del boomer, da poco pubblicato da Utet. Venerdì 8 dicembre Bordone ne parlerà con il peraltro direttore Luca Sofri a Peccioli (Pisa), in occasione della nuova edizione di “A Natale libri per te”, una manifestazione progettata in collaborazione col Post.

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Solo a cavallo tra il XIX e il XX secolo si comincia a pensare che possa esistere una generazione sociale, che unisce persone che non si conoscono, vivono in case e famiglie diverse, eppure condividono abbastanza per essere un gruppo omogeneo: persone che hanno più in comune con i propri coetanei che con il proprio clan. È una novità non da poco. All’inizio sono i grandi eventi storici che attraversano il continente europeo a portare sociologi (lavoro nuovissimo per il tempo) e intellettuali a identificare le generazioni che avevano vissuto una guerra con un’etichetta. La cosa però avviene con grande calma, tanto che a volte la definizione arriva a posteriori, quando quelli di cui si parla hanno una certa età.

È il caso della prima generazione, la Generazione Perduta, identificata in questo modo da Gertrude Stein e diffusa dal suo protetto Ernest Hemingway: sono persone nate tra il 1883 e il 1900, diventate adulte durante la prima guerra mondiale.

Segue la Greatest Generation, che non ha traduzione italiana e che identifica le persone nate tra il 1901 e il 1927, cresciute durante la Grande Depressione e protagoniste poi della seconda guerra mondiale. Etichetta diffusa dal giornalista Tom Brokaw nel libro The Greatest Generation del 1998.

La Generazione Silenziosa comprende chi è nato negli anni della guerra (1928-1945) e poi ha combattuto in Corea e Vietnam. Termine usato dalla rivista “Time” in un articolo del 1951.

Seguono i figli del dopoguerra, i Baby Boomer nati tra il 1946 e il 1964, gruppo notoriamente numeroso. Il primo uso del termine capace di una certa influenza sarebbe contenuto in un articolo del “Washington Post” del 1970.

Chi è nato tra il 1965 e il 1980 appartiene alla Generazione X, definita dallo scrittore canadese Douglas Coupland nel suo libro omonimo uscito nel 1991.

I Millennial (o Generazione Y) sono persone nate tra il 1981 e il 1996. Termine coniato nel 1991 da William Strauss e Neil Howe.

I loro figli sono detti Generazione Z, noti anche come “nativi digitali” per il loro essere nati in un mondo già attraversato dalla rete fin dalla loro infanzia. Sono nati tra il 1997 e il 2012. Il nome segue X e Y nell’ordine alfabetico.

Infine c’è la Generazione Alfa, quella di chi è nato tra il 2012 e il presente. Mark McCrindle, titolare di una società di studi statistici, è considerato l’autore del termine, usato la prima volta in uno studio del 2008. È l’unica generazione definita prima della sua esistenza.

Oggi la griglia ha la scansione delle matrici statistiche con cui la cultura anglosassone ama descrivere il mondo, belle precise e omologate. Funziona indubbiamente per identificare queste categorie in senso statistico, storico, culturale, merceologico. Parliamo di noi e della società infinitamente più di quanto si facesse un tempo, e avere delle scatole in cui mettere le persone è fondamentale. In realtà però questo specchietto va preso con grandi pinze, e per diversi motivi.

Per prima cosa è un elenco statunitense. Può funzionare in una certa misura per quella parte di mondo che conosce la cultura degli Stati Uniti e ne è influenzata, ma per quasi tutto il resto del pianeta non ha molto senso. Al di là delle guerre mondiali che hanno toccato più o meno tutti, gli altri riferimenti storici cui sono ancorate le generazioni non funzionano fuori dal territorio degli Stati Uniti. Per esempio sappiamo bene cosa sia stata la guerra del Vietnam, il cinema che ce l’ha raccontata ampiamente e chi c’era ricorda l’emergenza dei profughi che scappavano dal conflitto, ma non è stato un momento centrale per le vite di nessuno in Italia o in Europa.

Alcune definizioni poi risultano arbitrarie: la guerra fredda ha segnato il mondo intero, e chi è nato come me negli anni settanta in molti paesi del mondo è cresciuto con questa paura di conflitto nucleare sopra la testa. Eppure non è un punto distintivo. Se stiamo alla mia generazione, c’è anche stata l’epidemia di HIV con tutta la paura relativa. Niente. Al posto di questi elementi si è preferito Generazione X, secondo la definizione di Douglas Coupland, uno scrittore straordinario nel fotografare soprattutto alcuni particolari emotivi dei suoi tempi e dei suoi coetanei. Il libro che dà il nome alla generazione in realtà descrive un certo spleen esistenziale vissuto nei primi anni novanta da adolescenti e giovani adulti. È un termine che ha avuto fortuna, anche meritatamente, ma si tratta di una sfumatura letteraria appiccicata a un intervallo di date di nascita. Non altro.

Ovviamente vale anche l’inverso: nell’elenco mancano sia gli eventi storici macroscopici che hanno segnato la vita di persone che sono cresciute altrove rispetto agli USA, sia la loro idea di tempo. In Cina per esempio chi è nato tra il 1946 e il 1955 appartiene alla “Generazione della Rivoluzione Culturale”; chi è nato tra il 1980 e il 1989 è della generazione “Post Ottanta”. In Giappone le generazioni ricalcano le ere definite dalla reggenza imperiale. Quando, come nel caso di Hirohito (cosiddetto Imperatore Showa) la reggenza è molto lunga, si ottiene un’era decisamente eterogenea: l’epoca Showa va dal 1926 al 1989, e definisce un periodo storico che comprende imperialismo panasiatico, guerra, Hiroshima e Nagasaki, Godzilla, boom economico, orologi al quarzo e videogiochi. In Sudafrica chi è nato dopo le elezioni politiche del 1994, le prime dopo la fine dell’apartheid, appartiene alla generazione dei “Nati Liberi”.

L’avvento della rete ha effettivamente cambiato le cose, dando una piattaforma di comunicazione condivisa a molte più persone di paesi diversi. Certo, oggi il sogno di una rete universale planetaria risulta una speranza frutto dell’ingenuità anni novanta: anche con le dimensioni clamorose delle grandi società di servizi online, siano esse sulla costa pacifica degli Stati Uniti o in Cina, la rete mantiene delle tipicità culturali, linguistiche, economiche e politiche. È indubbio però che per questo mercato di contenuti, beni e servizi abbia un senso anche solo strumentale inserire la popolazione in quelle che tecnicamente vengono definite coorti.

La parola coorte ha avuto anticamente un senso militare: dieci coorti formavano una legione dell’esercito nell’antica Roma, ed è proprio a coorte che dobbiamo stringerci noi italiani, prontissimi alla morte, nel nostro vibrante inno nazionale. Ma per la sociologia, la statistica e il marketing le coorti sono gruppi di persone omologhe, unite dall’aver vissuto esperienze in comune.

La generazione è insomma una specie di iper-coorte, che dovrebbe distinguersi per la profondità degli elementi storici, sociali e culturali che tengono insieme chi ne fa parte. Ma negli ultimi decenni le cose sono cambiate, e la generazione è diventata una coorte anagrafica dall’ampiezza fissa (intorno ai quindici anni) che scandisce le persone e i consumatori. Indipendentemente dal fatto che una certa quantità di grandi fatti storici abbia reso il gruppo omogeneo o no, bastano i prodotti culturali consumati insieme e il rapporto con gli strumenti tecnologici a tenere tutti insieme: X, Millennial, Z e Alpha, stretti a coorte davanti al mercato e pronti alla morte del credito.

Ricapitoliamo. Prima degli anni sessanta, le generazioni in senso anagrafico erano un concetto di studio, elitario. Poi prende piede al punto da finire nelle canzoni (my g-g-g-generation), però resta un fenomeno molto parziale. L’elenco delle generazioni è costruito sugli Stati Uniti, è comprensibile soprattutto per l’Occidente, nella prima parte fa riferimento a grandi eventi storici e successivamente diventa una griglia anagrafica caratterizzata da cultura, tecnologia e mercato che accomunano le persone.

Ma allora, se è un elenco storto, disomogeneo, parziale, convenzionale e inconsistente, perché questa storia dei boomer ha avuto così successo?

Nella Fattoria degli animali di George Orwell a un certo punto si stabilisce che tutti gli animali sono uguali. Poi, in un secondo momento, si rettifica affermando che sì, tutti gli animali sono uguali, ma i maiali sono più uguali degli altri. Ecco. Parafrasando il maestro, possiamo dire che tutte le generazioni sono uguali, ma i boomer sono più generazione degli altri.

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