• di Claudio Lagomarsini
  • Storie/Idee
  • Giovedì 9 novembre 2023

Per una storia universale delle trame

«Quando si è cominciato a raccontare come sa fare Quentin Tarantino in “Pulp Fiction"? Tra il 1215 e il 1230, con il lunghissimo ciclo di romanzi su Lancillotto e il Graal, in cui si intreccia un numero strabiliante di avventure in successione, in simultanea, con flashback e flashforward. Se gli autori del ciclo erano chierici, è certo che avessero dimestichezza con le cronache diagrammatiche, la cui principale novità consisteva appunto nel mettere in parallelo – cioè rappresentare in simultanea sulla pagina – più linee narrative»

Yolanda/Honey Bunny/Coniglietto (Amanda Plummer) e Ringo/Pumpkin/Zucchino (Tim Roth) nella scena iniziale di "Pulp Fiction" di Quentin Tarantino, 1994
Yolanda/Honey Bunny/Coniglietto (Amanda Plummer) e Ringo/Pumpkin/Zucchino (Tim Roth) nella scena iniziale di "Pulp Fiction" di Quentin Tarantino, 1994
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A colazione, un uomo e una donna chiacchierano in una caffetteria. Sono su di giri, discutono di rapinare il locale. Lui la chiama affettuosamente Coniglietta, lei ricambia con Zucchino. Poi lui sale sul tavolo, grida; estraggono le pistole e si dà inizio alla rapina. Stacco.

Due uomini in completo nero, Jules e Vincent, parlano in un’auto, dopodiché irrompono in un appartamento per recuperare una valigetta. A un tratto l’atmosfera si scalda e Jules sta per giustiziare uno dei ragazzi nell’appartamento. Altro stacco. Nella scena successiva, Jules e Vincent (ora, chissà perché, vestiti con magliette da spiaggia) vanno in un nightclub.

Accadono molte altre cose, che spiegano anche il perché delle magliette. Alla fine, Jules e Vincent vanno a fare colazione in una caffetteria. Cominciano a parlare. Poco dopo Zucchino e Coniglietta danno inizio alla rapina. La loro attenzione è catturata dalla valigetta di Jules e Vincent…

Ho riassunto la struttura portante di Pulp Fiction di Quentin Tarantino. Molti altri film – e poi serie, e ovviamente romanzi – giocano da sempre con l’intreccio di più linee narrative, manipolando ad arte il passaggio lineare del tempo. Ho appena scritto «da sempre», ma non è corretto. In effetti diamo per scontato che un racconto funzioni così, che possa e in una certa misura debba funzionare così, seguendo cioè delle curve non lineari che rompono la monotonia di un unico filo narrativo, dipanato in un prevedibile ordine cronologico.

Quella schematizzata qui sotto è la curva di Pulp Fiction, esaminata dai ricercatori del progetto Story Curves. I segmenti posti sulla stessa linea orizzontale sono i fatti accaduti in simultanea: nello stesso momento in cui Jules e Vincent parlano nella caffetteria, alla fine del film, anche Coniglietta e Zucchino stanno parlando tra loro, come abbiamo visto all’inizio.

Nam Wook Kim, Story Curves

Ma quando si è cominciato a progettare narrazioni così articolate? A chi è venuto in mente, per la prima volta, di fare ciò che Tarantino e altri possono fare oggi?
A ben vedere ci sono voluti millenni prima che i narratori escogitassero soluzioni efficaci per realizzare una cosa intuitiva ma in realtà molto complessa come rappresentare, a parole o immagini, più fatti concomitanti.

L’antica poesia epica e la narrativa dei secoli a venire non possedevano dispositivi tecnici che consentissero questo tipo di rappresentazione. Anche in un’opera lunga e articolata come l’Odissea, dove in effetti vediamo dipanarsi almeno tre linee principali (la storia di Ulisse disperso nel Mediterraneo; la storia di suo figlio Telemaco che lo cerca; la storia di Penelope rimasta a Itaca), il narratore dispone i segmenti in successione: quando si stacca da Ulisse per parlare di Telemaco, si va avanti nel tempo, non si torna mai indietro. Quando poi si ritorna a Ulisse, ci si colloca dopo il segmento su Telemaco, non prima né durante.

– Leggi anche: L’idea di Pulp fiction

E allora quando? Quando si è cominciato a fare quello che oggi Tarantino sa fare? Ecco, per azzardare una risposta precisa si potrebbe dire nel Medioevo, in Francia, tra il 1215 e il 1230, quando è stato composto il lunghissimo ciclo di romanzi su Lancillotto e il Graal (ora finalmente leggibile anche in una traduzione italiana integrale).

Nel ciclo di Lancillotto, che si estende per circa 4.000 pagine, si intreccia un numero strabiliante di avventure che la narrazione porta avanti combinandole nei modi più disparati: in successione, in simultanea, con flashback e flashforward. A più riprese, per esempio, capita che Lancillotto sia dato per disperso. Allora decine di cavalieri si mettono sulle sue tracce, e le loro avventure si intrecciano, si alternano e si accavallano, costringendo il narratore a passare da una linea all’altra, indietro e avanti nel tempo.

Prima del Duecento non si era mai tentato qualcosa di simile. Qualcosa che nei secoli successivi sarebbe poi diventato perfettamente normale, grazie soprattutto all’Orlando furioso di Ludovico Ariosto e alla Morte d’Arthur di Thomas Malory, che per le proprie opere presero ispirazione dal ciclo francese di Lancillotto.

Resta da capire perché questa innovazione tecnica (che è anche conosciuta come entrelacement, in francese, o interlace technique, in inglese) sia stata inaugurata proprio in Francia e proprio all’inizio del Duecento, per opera di una squadra di narratori rimasti anonimi, ma di probabile formazione clericale. Si sono date spiegazioni diverse, tutte suggestive ma a mio parere incomplete. Qualcuno, per esempio, ha sottolineato l’analogia di fondo tra la tecnica narrativa medievale e l’arte romanica, che su un piano figurativo prediligeva appunto i pattern intrecciati:

Saint Louis Psalter 30 verso.jpg

Salterio di san Luigi, Wikimedia Commons

Non mi sembra, però, una spiegazione sufficiente: “intrecci” di vario tipo, per esempio nelle arti tessili e ornamentali, si sono realizzati fin dai tempi più remoti e in molte culture diverse, senza che il loro modello visivo abbia poi avuto un impatto sul modo di intrecciare i racconti. Mi sembra invece più probabile che l’innovazione tecnica elaborata dai chierici del Duecento abbia a che fare con il loro retroterra culturale diretto, cioè con una novità intervenuta nel pensiero teologico e storiografico medievale.

In effetti, nei decenni subito precedenti alla composizione del ciclo di Lancillotto, si diffonde in Francia, su spinta del teologo Ugo di San Vittore (cioè dell’abbazia di St-Victor, a Parigi), una nuova corrente di interpretazione della Bibbia. Prima di darne letture simboliche e allegoriche – dice Ugo – è fondamentale leggere la Bibbia come testo di storia universale. Per aiutare i chierici e gli studenti di teologia a orientarsi in questo studio storico della Bibbia si diffondono quindi le cosiddette “cronache diagrammatiche”. Concretamente, si tratta di manuali scolastici che, aiutandosi con schemi e diagrammi, rappresentano sulla pergamena le molteplici storie bibliche, le genealogie e i loro incroci. Nei manoscritti, gli eventi accaduti in parallelo sono rappresentati su colonne affiancate, come in questa copia del Compendium di Pietro di Poitiers:

Le fonti ci informano che queste cronache (ben presto fuse con altre opere storiografiche di più ampio respiro) costituivano una lettura cardine nella formazione degli studenti di teologia. Si racconta per esempio che Pietro di Poitiers, maestro a Parigi verso la fine del XII secolo, nonché autore di una cronaca molto fortunata e diffusa, fosse solito appendere in classe grandi fogli di pergamena su cui erano disegnati gli «alberi delle storie» (arbores historiarum), cioè i diagrammi con le storie bibliche messe in parallelo e concordate.

Se, come sembra chiaro, gli autori del ciclo di Lancillotto erano chierici, è praticamente certo che avessero dimestichezza con le cronache diagrammatiche, la cui principale novità consisteva appunto nel mettere in parallelo – cioè rappresentare in simultanea sulla pagina – più linee narrative.

Ancora oggi chi si trova a progettare narrazioni lunghe, in cui intervengono molti personaggi, ricorre a schemi che ricordano, nella loro impostazione su colonne parallele, le antiche cronache diagrammatiche. Questo, per esempio, è un foglio degli appunti usati da Tolkien (che fu un filologo e studioso di letteratura medievale) per progettare la trama de Il signore degli anelli:

E questi sono gli schemi di J.K. Rowling per la trama di Harry Potter:

Ma i primi a concepire, immaginare e poi disegnare schemi di questo tipo sono stati, come dicevo, i maestri di teologia della scuola di San Vittore, a loro volta ispirati da un modello più antico (i Canoni di Eusebio di Cesarea), che però era più stilizzato e molto meno efficace.

Quella che ho proposto è ovviamente la sintesi schematica di una più ambiziosa “storia universale delle trame”. Sul secolare sviluppo degli intrecci e sui modi di rappresentare il tempo hanno influito, com’è evidente, molte innovazioni tecniche e riflessioni filosofiche stratificate nel tempo. Tornando al contemporaneo, si pensi a come la fisica novecentesca, e in particolare la teoria della relatività, ha influenzato il cinema di Christopher Nolan, che si è imposto come il più celebre sperimentatore di tecniche narrative basate sulla manipolazione del tempo. Ma anche Nolan, come Tarantino, è potuto partire da una base ben solida e collaudata, frutto di ottocento anni di sperimentazioni.

Portando quanto ho detto alle estreme conseguenze, sospetto che no, senza i maestri di teologia dell’abbazia di San Vittore il ciclo di Lancillotto non sarebbe stato quello che è stato. Di conseguenza, è probabile che Ariosto e Malory avrebbero composto narrazioni eccelse ma di impianto tutto sommato lineare, come si era fatto fin dall’antichità. E così via di seguito, chissà, fino ai nostri giorni. Anche i film di Tarantino, alla fine, sarebbero stati un po’ diversi: magari più semplici nella struttura, o comunque cervellotici ma in un altro modo, che non conosceremo mai.

– Leggi anche: Le fiabe sono più antiche di quanto pensiamo

Claudio Lagomarsini
Claudio Lagomarsini

Insegna Filologia romanza all’Università di Siena e si occupa di narrativa medievale. È autore del romanzo Ai sopravvissuti spareremo ancora (Fazi, 2020); il suo ultimo saggio è L’invenzione dell’intreccio (il Mulino, 2023).

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