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  • Lunedì 6 novembre 2023

La visita di un gruppo di giornalisti occidentali a Gaza

Sabato sono stati portati dall'esercito israeliano in una postazione alla periferia della città, osservando scene di «totale devastazione»

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Sabato un gruppo di giornalisti che lavorano per importanti media occidentali, soprattutto statunitensi, è stato scortato dall’esercito israeliano all’interno della Striscia di Gaza per visitare brevemente alcune postazioni occupate da Israele nell’ambito dell’invasione di terra della Striscia, in corso ormai da una settimana.

La visita è durata circa quattro ore e ha riguardato alcune postazioni controllate dalla 401esima brigata dell’esercito israeliano. Non è chiaro esattamente dove sia avvenuta: i giornalisti scortati non hanno potuto divulgare informazioni precise per ragioni di sicurezza. Il giornalista Ian Pannell di ABC News, che ha fatto parte del gruppo, ha spiegato che la postazione si trovava nella periferia nord della città di Gaza, a circa 5 chilometri dal confine israeliano.

È stata la prima volta che l’esercito israeliano ha permesso l’ingresso di alcuni giornalisti dentro la Striscia di Gaza dall’inizio della guerra, cioè da circa un mese. E lo ha fatto imponendo loro condizioni assai stringenti: CNN ha raccontato che tutti i media hanno dovuto sottoporre all’esercito israeliano i servizi girati all’interno della Striscia, e ricevere una forma di approvazione. Il New York Times ha scritto di avere concordato con l’esercito israeliano di non riprendere l’interno del mezzo con cui i giornalisti sono stati portati all’interno della Striscia, né alcuni elementi del paesaggio che potevano far riconoscere la posizione esatta dei soldati (il Times ha specificato però di non aver sottoposto all’esercito il testo dell’articolo che ha ricavato dalla visita).

Le immagini girate durante la visita in realtà non mostrano moltissimo, anche per queste ragioni: si vedono diversi soldati appostati dietro muri, o che si preparano un pasto, e in sottofondo nei vari video si possono ascoltare suoni di spari. Sono invece più ricche di particolari le descrizioni di quello che i giornalisti hanno visto intorno a loro.

«Meno di un mese fa la costa a nord della città di Gaza era una località di mare punteggiata da resort marittimi e hotel. Ora è diventata un’enorme base dell’esercito israeliano», ha scritto Ronen Bergman del New York Times. «Lunghe file di soldati marciano verso sud lungo la strada, alzando pennacchi di polvere nell’aria. Nelle dune a est della strada, i carri armati e i mezzi pesanti dominano la vista, fino all’orizzonte. Molti edifici sono distrutti, e le loro mura bucherellate di proiettili. Gli abitanti palestinesi sono scappati a sud, lasciando la costa ai soldati israeliani e ad alcuni cani e gatti randagi».

«Davanti a noi abbiamo visto una devastazione totale: uno dopo l’altro, edifici a pezzi e anneriti dai bombardamenti», ha detto Pannell di ABC News. L’esercito israeliano sta usando alcuni di questi edifici come basi. «Alcuni soldati mangiano razioni da campo su un tavolo di legno in una terrazza. Altri sono chinati in una posizione di difesa e sorvegliano gli edifici vicini dai buchi nel muro di una villa semidistrutta», ha scritto Anshel Pfeffer, che ha raccontato cos’ha visto sul Times di Londra e su Haaretz.

Ormai da giorni l’esercito israeliano ha attaccato la periferia nord e sud della città di Gaza, in modo da circondare l’intera città e separarla dalla parte sud della Striscia, cioè quella verso cui ha invitato i civili palestinesi a spostarsi. L’esercito israeliano sostiene infatti che le forze principali di Hamas si stiano concentrando soprattutto a Gaza, e perlopiù nella lunga rete di tunnel sotterranei gestita da Hamas. Domenica un portavoce dell’esercito ha detto che al momento la Striscia è di fatto divisa in due.

«Vediamo a malapena i terroristi», ha spiegato un maggiore israeliano della brigata 401 ad Haaretz, riferendosi ai miliziani di Hamas: «stanno sottoterra e vengono fuori soltanto per farci delle imboscate. Abbiamo già trovato diverse uscite dei tunnel: quando succede chiamiamo l’unità specializzata Yahalom, che li fa saltare in aria».

Il fatto che nella zona visitata dai giornalisti continuino gli scontri con i miliziani palestinesi ha comportato qualche rischio per la sicurezza dei giornalisti. «Subito dopo che il gruppo di giornalisti è entrato nella Striscia attraverso un buco nella recinzione di confine, un mortaio è atterrato vicino al veicolo che li stava trasportando verso sud», ha scritto Bergman sul New York Times: «Qualche minuto dopo una mina è esplosa mentre il veicolo ci passava accanto, creando una palla di fuoco e sollevando sabbia per aria. Altri colpi di mortaio hanno colpito un punto vicino a quello dove si trovavano i giornalisti, più vicino alla linea del fronte».

Nelle ore successive alla pubblicazione di questi servizi e articoli si è discusso dell’opportunità della visita, come del resto accade spesso quando i giornalisti in un contesto di guerra accettano di farsi scortare da una delle due parti coinvolte. Il rischio più noto di questa pratica, chiamata embedded journalism, è quello di schiacciare il racconto sulla prospettiva della parte che accompagna i giornalisti al fronte e garantisce per la loro sicurezza.

Nel caso della visita di sabato, alcuni giornalisti e attivisti palestinesi hanno molto criticato la scelta dei media occidentali di inviare giornalisti a seguito dell’esercito israeliano. Laila Al Arian, una giornalista statunitense di origini palestinesi che lavora per Al Jazeera, ha definito «propaganda» i servizi che prima di essere trasmessi devono essere approvati dall’esercito israeliano.