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  • Lunedì 6 novembre 2023

Per la Coppa del Mondo di sci si è scavato un po’ troppo un ghiacciaio

La costruzione di una pista tra Zermatt e Cervinia ha aperto un dibattito sull'opportunità di interventi simili in ambienti già in pericolo

L'ex sciatore professionista Didier Défago sulla Gran Becca, la pista che ha disegnato per la Coppa del Mondo di sci, tra il territorio di Zermatt e quello di Cervinia, il 26 novembre 2021 (EPA/JEAN-CHRISTOPHE BOTT, ANSA)
L'ex sciatore professionista Didier Défago sulla Gran Becca, la pista che ha disegnato per la Coppa del Mondo di sci, tra il territorio di Zermatt e quello di Cervinia, il 26 novembre 2021 (EPA/JEAN-CHRISTOPHE BOTT, ANSA)
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Dall’11 al 19 novembre si terranno le gare di discesa libera della Coppa del Mondo di sci alpino su una nuova pista tra Svizzera e Italia: il primo tratto è nel territorio del comune di Zermatt, la parte restante in quello di Valtournenche, in Valle d’Aosta, dove si trova Cervinia. La pista si chiama Gran Becca e nelle ultime settimane la sua realizzazione è stata criticata da alcuni media svizzeri, glaciologi e organizzazioni ambientaliste perché ha implicato lo scavo di una parte del ghiacciaio del Teodulo, uno dei ghiacciai del massiccio del Monte Rosa.

Il 24 ottobre la Commissione cantonale delle costruzioni (CCC) del Canton Vallese, l’ente pubblico svizzero che autorizza i progetti edili nello stato di cui fa parte Zermatt, ha concluso che per realizzare la pista si è scavato anche in aree in cui non si sarebbe dovuto e per questo è stato avviato un procedimento giudiziario. Le gare di sci non sono state annullate, perché per la stragrande maggioranza la Gran Becca si trova in una zona per cui le autorizzazioni c’erano. Le critiche alla Federazione internazionale sci e snowboard (FIS) e alle istituzioni pubbliche coinvolte però proseguono perché la scelta di scavare un ghiacciaio per fare una pista da sci è considerata emblematica di una scarsa considerazione del valore dei ghiacciai alpini, che nei prossimi decenni si ridurranno molto a causa del riscaldamento globale.

La Gran Becca, che è stata chiamata così dal nome valdostano del Cervino, la montagna col profilo più noto della regione, è lunga 3,7 chilometri e ha la partenza a un’altitudine di 3.720 metri, cosa che la rende la pista più alta di tutta la Coppa del Mondo. Per due terzi della sua lunghezza la pista passa sopra dei ghiacciai, quello del Teodulo e quello di Valtournanche. Avrebbe dovuto essere usata già l’anno scorso per la Coppa del Mondo, ma a causa della mancanza di neve legata alla lunga siccità del 2022 era stato impossibile organizzare le gare.

La pista per la discesa libera della Coppa del Mondo di sci alpino del 2024, tra Svizzera e Italia (Matterhorn Cervino Speed Opening)

Per battere la pista e renderla sicura nei tratti sopra i ghiacciai sono stati usati degli scavatori che hanno modificato la superficie del ghiaccio. I ghiacciai peraltro sono masse in continuo movimento, per quanto lento: perché ci si possa sciare senza rischi è necessario riempire i crepacci nella superficie e fare altri interventi, che sono portati avanti come routine ordinaria per ogni stagione sciistica sui ghiacciai su cui si scia. In Italia lo si può fare in otto comprensori diversi: ad esempio in quello della Marmolada, tra Veneto e Trentino, quello del Monte Bianco, tra Italia e Francia, e quello dello Stelvio, in Lombardia. Negli ultimi anni, a causa delle condizioni dei ghiacciai alpini alla fine dell’estate, in continuo peggioramento, i lavori di manutenzione sono diventati sovente più impegnativi.

– Leggi anche: Il ghiacciaio che sposta i confini tra Italia e Svizzera

Tra la fine di settembre e i primi di ottobre il giornalista Sébastien Anex aveva documentato i lavori per la Gran Becca con una serie di foto e video pubblicati dal quotidiano svizzero 20 minutes e aveva ipotizzato che i lavori per la costruzione della pista avessero riguardato anche zone per cui non c’era l’autorizzazione delle autorità svizzere e italiane, come poi confermato per la parte svizzera. La procura di Aosta sta indagando per quanto riguarda il tratto italiano.

Considerando l’intera area del ghiacciaio del Teodulo interessata dalla realizzazione della Gran Becca, la zona in cui si è lavorato senza autorizzazione è poca cosa. «Mi sembra che sia una porzione infima rispetto alla massa totale del ghiacciaio», ha detto il nivologo svizzero Robert Bolognesi, esperto di valanghe, al quotidiano vallese Le Nouvelliste. «L’impatto di questi lavori è praticamente neutro per il ghiacciaio, perché sono interventi molto localizzati», ha detto allo stesso giornale un altro esperto, il glaciologo Matthias Huss, ricercatore del Politecnico di Zurigo (EPFZ): «Confrontati ai 20 milioni di metri cubi di ghiaccio che il Teodulo ha perso a causa del caldo, le poche centinaia scavate per questi lavori sono poca cosa».

Tuttavia sia Bolognesi che Huss, come altri glaciologi che hanno commentato la questione, hanno osservato che le immagini degli scavatori sul ghiacciaio fanno una certa impressione perché si sa che i ghiacciai alpini già subiscono grosse perdite a causa del cambiamento climatico. Il glaciologo italiano Giovanni Baccolo, ricercatore del Paul Scherrer Institut in Svizzera e divulgatore scientifico, lo ha spiegato sul suo blog Storie Minerali:

Raschiare la superficie di un singolo ghiacciaio con i buldozzer non ha un impatto tangibile sulla condizione dei ghiacciai alpini. Sebbene quei buldozzer all’opera a quasi 4000 metri non spostino di una virgola gli equilibri globali, essi sono un simbolo. La vicenda della pista scavata nei ghiacciai è emblematica di una sensibilità ambientale che in certi contesti fa molta fatica a radicarsi. Intervenire sui ghiacciai, sempre più compromessi a causa del cambiamento climatico, in modo così pesante, significa una cosa soltanto. Significa considerare i ghiacciai come un ennesimo elemento da spremere e plasmare per rispondere a specifici interessi economici.

Per Baccolo intervenire sui ghiacciai per sciare è ormai «anacronistico».

– Leggi anche: Le previsioni della comunità scientifica sul futuro dello sci in Europa