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  • Mercoledì 11 ottobre 2023

Dalla Striscia di Gaza non si esce

I civili palestinesi non sanno dove andare per sfuggire ai bombardamenti israeliani, anche perché il confine con l'Egitto è di fatto chiuso

(AP Photo/Hatem Ali)
(AP Photo/Hatem Ali)
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I bombardamenti che Israele sta conducendo sulla Striscia di Gaza da sabato, dopo il feroce attacco di Hamas contro i civili israeliani, sono probabilmente i più gravi ed estesi da almeno sedici anni, da quando Gaza è governata solo da Hamas. Lo sostengono sia i residenti di Gaza sia i dirigenti delle organizzazioni internazionali presenti nella Striscia, come per esempio l’Agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi. Anche l’esercito israeliano, in una maniera un po’ eufemistica, ha fatto capire che il bombardamento della Striscia in questi giorni è diverso dai precedenti: Daniel Hagari, uno dei portavoce dell’esercito, ha detto che costituisce un «cambio di paradigma» e che «non è come le altre volte».

Tra le altre cose, l’esercito israeliano ha riconosciuto di non essere sempre in grado di rispettare la pratica del roof knocking, cioè di lanciare un colpo a vuoto sull’area che si sta per bombardare per avvisare i civili che quel posto verrà attaccato. Molti dirigenti israeliani hanno detto esplicitamente che la cosa migliore da fare per i civili di Gaza è andarsene dalle zone più sottoposte ai bombardamenti, o lasciare del tutto la Striscia. Il problema è che, al momento, mettersi al riparo o addirittura lasciare la Striscia è praticamente impossibile.

La moschea di Sousi distrutta dai bombardamenti nella città di Gaza (AP Photo/Hatem Moussa)

Il primo a dire ai palestinesi della Striscia di andarsene era stato il giorno stesso dell’attacco di Hamas il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che aveva detto che Israele avrebbe «ridotto in macerie» tutti i posti da cui opera Hamas. Aveva detto proprio ai palestinesi di «andarsene ora», anche se non è chiaro se parlasse di andarsene dalla Striscia o soltanto di allontanarsi dai luoghi in cui la presenza di Hamas è maggiore. Martedì un portavoce dell’esercito, il tenente colonnello Richard Hecht, ha detto più esplicitamente che i palestinesi dovrebbero «uscire» dalla Striscia di Gaza e raggiungere l’Egitto attraverso il valico di Rafah (anche se si è poi parzialmente corretto).

– Leggi anche: I massacri di civili nei kibbutz di Be’eri e Kfar Azza

La Striscia di Gaza, oltre a essere circondata da Israele, ha un confine diretto e piuttosto ampio anche con l’Egitto, un paese arabo. Tra la Striscia di Gaza e l’Egitto passa un valico di confine, che è appunto il valico di Rafah, che l’Egitto controlla in maniera molto rigida.

Una questione che spesso si trascura quando si parla dell’isolamento e dell’embargo che la Striscia di Gaza subisce da 16 anni è che l’Egitto collabora pienamente con Israele all’isolamento dei palestinesi nella Striscia, che i palestinesi possono entrare in Egitto soltanto dopo aver ricevuto permessi appositi e che tra le polizie di frontiera egiziana e israeliana c’è un lungo rapporto di collaborazione e fiducia.

Davanti alla possibilità che decine, se non centinaia, di migliaia di civili palestinesi entrassero sul suo territorio, l’Egitto si è immediatamente allarmato: il presidente Abdel Fattah al Sisi, che governa il paese in maniera autoritaria, ha detto che «la sicurezza nazionale è la mia prima responsabilità e non la trascurerò in nessun caso». Da martedì, ha scritto il Financial Times, il valico di Rafah è stato chiuso ed è concesso il passaggio soltanto ai palestinesi che hanno un permesso emesso in precedenza, per esempio per ragioni di lavoro.

Da quando sono cominciati i bombardamenti il valico è stato chiuso e riaperto più volte, ma di fatto il passaggio è quasi impossibile. A questo si aggiunge il problema che martedì l’aviazione israeliana ha compiuto bombardamenti vicino al valico, rendendo il passaggio meno sicuro, anche se non è chiaro se l’obiettivo fosse il valico stesso o qualcosa che si trovava lì vicino.

Al confine tra l’Egitto e la Striscia ci sono altri due valichi, quello di Salah ad-Din e quello di Kerem Shalom: entrambi al momento risultano chiusi.

Martedì Jake Sullivan, il consigliere per la Sicurezza nazionale dell’amministrazione americana, ha detto che gli Stati Uniti stanno «discutendo con le nostre controparti in Israele e in Egitto» per trovare un modo di consentire ai civili palestinesi di lasciare la Striscia, tendenzialmente tramite il valico di Rafah. È tuttavia molto improbabile che l’Egitto accetterà enormi flussi di profughi.

I corpi dei civili israeliani uccisi nel kibbutz di Kfar Azza (AP Photo/Ohad Zwigenberg)

Oltre a temere una crisi umanitaria nel caso dell’arrivo di migliaia di profughi palestinesi, l’Egitto teme anche una crisi di sicurezza: se il valico di Rafah fosse aperto e ai palestinesi fosse concesso di fuggire, è certo che molti miliziani di Hamas si riverserebbero in Egitto. Hamas è un gruppo che, almeno originariamente, faceva parte dei Fratelli Musulmani, un movimento islamista che è nemico giurato di al Sisi e del suo regime.

Non potendo scappare in Egitto (e non potendo ovviamente scappare in Israele) ai civili palestinesi non restano molti posti dove andare. È vero che nella Striscia di Gaza ci sono grandi aree a bassa densità abitativa dove i bombardamenti sarebbero meno probabili, ma è di fatto impensabile che grandi quantità di civili si accampino in zone disabitate e inospitali per sfuggire ai bombardamenti.

Nelle città della Striscia, al momento i civili stanno cercando di ripararsi un po’ come possono, considerando che i posti al sicuro dai bombardamenti sono pochissimi. Tra questi, almeno in teoria, ci sono le strutture dell’Agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi (UNRWA), su cui sventolano le bandiere blu dell’ONU e che dovrebbero essere protetti dai bombardamenti sulla base della legge internazionale. L’UNRWA gestisce 88 scuole nella Striscia di Gaza, che in questi giorni sono diventati luoghi di accoglienza per i rifugiati: oltre 175 mila civili palestinesi vi hanno già trovato riparo.

Nonostante questo, quattro di questi edifici sono stati danneggiati da bombardamenti israeliani nelle vicinanze: secondo l’UNRWA 16 persone rifugiate nelle scuole sono rimaste ferite, due in modo grave.