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  • Lunedì 3 luglio 2023

La deposizione del presidente egiziano Morsi, dieci anni fa

Fu il primo e unico eletto democraticamente, sostituito con un colpo di stato guidato dall'attuale presidente, Abdel Fattah al Sisi

Sostenitori del presidente deposto Morsi manifestano per strada (Ed Giles/Getty Images)
Sostenitori del presidente deposto Morsi manifestano per strada (Ed Giles/Getty Images)
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Il 3 luglio del 2013 Mohamed Morsi, all’epoca presidente dell’Egitto, venne deposto da un colpo di stato compiuto dall’esercito guidato da Abdel Fattah al Sisi, attuale presidente, che allora era ministro della Difesa e capo delle forze armate egiziane. La presidenza di Morsi durò solamente un anno ma fu caratterizzata da forti proteste di massa contro il suo governo per via del declino di percezione di sicurezza e condizioni economiche in cui si trovava il paese, e per il timore di una deriva autoritaria e islamista.

Morsi fu il primo e unico presidente egiziano a essere eletto attraverso elezioni democratiche, favorite dalla cosiddetta primavera araba avvenuta tra il 2010 e il 2011 in diversi paesi mediorientali. La primavera araba consistette in una serie di proteste iniziate in Tunisia e poi diffusesi in altri paesi arabi contro la corruzione, la limitazione della libertà e dei diritti individuali e la violazione dei diritti umani dei regimi. Le proteste avvennero anche in Egitto e furono tali da costringere il presidente Hosni Mubarak a dimettersi dopo trent’anni di potere, nel 2011.

Dopo essere cresciuto in Egitto e aver studiato e lavorato come ingegnere negli Stati Uniti, dal 2000 al 2005 Morsi fu membro del parlamento egiziano. Faceva parte dei Fratelli Musulmani, un movimento islamico radicale fondato nel 1928 in Egitto, molto influente nei paesi arabi e considerato in alcuni paesi un’organizzazione terroristica. Durante il governo di Mubarak il movimento era considerato una formazione clandestina, e per avervi aderito Morsi venne arrestato e imprigionato nel 2011.

Riuscì a evadere e, in seguito alle dimissioni di Mubarak, nel 2012 si candidò alle elezioni presidenziali con il partito Libertà e Giustizia, il braccio politico dei Fratelli Musulmani: vinse al ballottaggio, contro l’ex primo ministro ed ex comandante dell’aeronautica militare Ahmed Shafiq. La sua vittoria fu significativa perché rappresentava per molti egiziani una rottura definitiva con i molti anni di governo autocratico di Mubarak.

La sua elezione fu subito divisiva: molti egiziani consideravano la sua vittoria come l’apice della rivolta della primavera araba e speravano in una rottura definitiva con il passato, e i Fratelli Musulmani la vedevano come un’occasione per riaffermarsi, dopo anni a essere stati considerati un gruppo clandestino. Altri invece temevano che un presidente esponente dei Fratelli Musulmani potesse imporre rigidi codici morali islamici, o addirittura cercare di instaurare un governo teocratico.

Nella prima fase del suo governo Morsi si dimostrò moderato in politica interna, e anche in politica estera seppe aprire canali di dialogo con gli Stati Uniti e cercò una distensione con Israele: nell’ottobre del 2012 Morsi intervenne come mediatore tra Israele e Hamas, gruppo radicale armato palestinese che governa di fatto la Striscia di Gaza, e riuscì a organizzare una tregua tra le due parti.

Nonostante le premesse, il suo governo fu presto accusato di escludere con le proprie politiche le opposizioni dalla gestione dello stato, e di non essere in grado di amministrare l’economia del paese. Una decisione in particolare causò proteste violente. A novembre del 2012 Morsi emanò un decreto che concedeva al presidente maggiori poteri, specialmente in ambito giudiziario: il provvedimento stabiliva che la magistratura non avrebbe avuto il potere di mettere in discussione le decisioni del presidente. Il fine era rendere non impugnabili i suoi decreti presidenziali ed evitare possibili rallentamenti all’attività dell’assemblea costituente che lui aveva incaricato di redigere una nuova costituzione.

Gli oppositori sostenevano che il presidente stesse prendendo una deriva autoritaria come quella di Mubarak, e che le nuove regole potessero consentire agli islamisti di avere maggiore controllo sul paese, imponendo rigide pratiche islamiche e lasciando agli altri partiti un ruolo marginale nella politica egiziana. Il timore era che una costituzione fortemente influenzata dai Fratelli Musulmani – che avevano dettato le linee guida e condizionato la maggior parte degli articoli – avesse un’impronta islamista ispirata alla sharia, la legge islamica, che andasse a sfavore delle posizioni più laiche e liberali.

Le proteste raggiunsero il loro culmine nel giugno del 2013. Milioni di egiziani manifestarono per protestare contro il governo e per chiedere le dimissioni di Morsi o elezioni anticipate. I militari guidati da al Sisi si schierarono dalla parte dei manifestanti e in pochi giorni deposero Morsi con un colpo di stato. Con un gruppo di leader religiosi, militari ed esponenti dell’opposizione al Sisi annunciò in televisione che su iniziativa dell’esercito la costituzione del paese era stata sospesa e che il capo della Corte costituzionale avrebbe formato un governo tecnico.

Morsi fu arrestato e accusato di vari crimini, dallo spionaggio all’evasione dal carcere all’incitamento alla violenza, e per anni è stato imputato in un tortuoso processo in cui fu condannato più volte. Insieme a lui, molti altri esponenti dei Fratelli Musulmani subirono una dura repressione: poche settimane dopo la deposizione di Morsi, le forze di sicurezza egiziane uccisero più di 800 manifestanti, per lo più appartenenti alla Fratellanza Musulmana. Nel 2013 il governo ad interim dichiarò i Fratelli Musulmani un’organizzazione terroristica e arrestò e condannò a morte centinaia di esponenti e simpatizzanti.

Morsi morì in seguito a un infarto avuto il 17 giugno del 2019 durante un’udienza di un processo in cui era accusato di corruzione e tradimento ai danni dello stato.