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  • Giovedì 28 settembre 2023

Cosa sono i Campi Flegrei

È una vasta area vulcanica vicino a Napoli spesso interessata da terremoti per cui sono stati studiati complessi piani di evacuazione

campi flegrei
(ANSA/CESARE ABBATE)

I Campi Flegrei sono una vasta area vulcanica che si trova nella zona nord occidentale di Napoli e che include i comuni di Bacoli, Monte di Procida, Pozzuoli, Quarto oltre a parte della stessa città. Il nome deriva dal greco flegràios, che significa ardente, e da lì deriva anche l’accento che è sulla seconda “e”. A differenza del Vesuvio, i Campi Flegrei non hanno un vulcano principale, ma sono piuttosto una serie di vulcani attivi da più di 80mila anni. Hanno una struttura detta “caldera”, cioè un’area ribassata a forma più o meno circolare che si è formata per effetto di grandi eruzioni esplosive. La caldera dei Campi Flegrei si estende dal comune di Monte di Procida a Posillipo e comprende anche una parte sottomarina nel fondale del golfo di Pozzuoli.

Gli studi fatti hanno permesso di scoprire che negli ultimi 15mila anni nella caldera sono avvenute oltre 70 eruzioni, e decine di migliaia di terremoti. Queste eruzioni hanno formato crateri e laghi vulcanici ancora visibili come Astroni, la Solfatara e il lago di Averno. L’ultima eruzione è avvenuta nel 1534: è stata preceduta da una fase di sollevamento del suolo che in due anni ha raggiunto 19 metri di altezza e ha dato origine al vulcano Monte Nuovo. Da allora la caldera è quiesciente, cioè dormiente, ma mostra in modo costante segnali di attività sismica: fumarole, deformazioni del suolo e soprattutto terremoti preceduti da uno sciame sismico.

Il bradisismo
La lenta deformazione del suolo della caldera è un fenomeno noto come bradisismo, un processo di sollevamento che riguarda in particolare l’area di Pozzuoli. Negli ultimi cento anni ci sono stati tre periodi di sollevamento particolarmente intenso: tra il 1950 e il 1952, tra il 1969 e il 1972 e tra il 1982 e il 1984. In quest’ultimo periodo il suolo si sollevò di circa 3 metri, a cui seguì un periodo di relativa tranquillità interrotto nel 2005, anno in cui iniziò una nuova fase di sollevamento rimasto costante fino all’inizio del 2023. In questi 18 anni il suolo si è sollevato anche più di un metro, ma in generale il processo è stato più lento e ha causato un minor numero di terremoti rispetto agli anni Settanta e Ottanta.

Ci sono varie teorie sulle ragioni del bradisismo: la principale è che il magma che si trova in profondità starebbe rilasciando grandi quantità di vapor acqueo che a sua volta starebbe riscaldando le rocce che separano il magma dal suolo, creando delle deformazioni del terreno, causando i terremoti e un’attività più intensa delle fumarole.

I terremoti
Negli ultimi mesi, secondo i dati dell’osservatorio vesuviano dell’INGV, l’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia, il sollevamento è stato di 15 millimetri al mese e gli strumenti hanno rilevato un aumento delle scosse di terremoto: sono state oltre 1.500. Nel mese di agosto e settembre ci sono state diverse altre scosse piuttosto intense avvertite anche a Napoli. Una delle più forti è stata registrata nella notte tra martedì 25 e mercoledì 26 settembre quando migliaia di persone che abitano nella zona dei Campi Flegrei sono state svegliate da un terremoto di magnitudo 4.2, il più forte registrato negli ultimi 40 anni. La scossa ha creato un certo allarme, ma non ci sono state persone ferite o danni alle abitazioni.

Da mesi molti esperti e ricercatori dell’osservatorio vesuviano dell’INGV invitano la popolazione alla calma. Antonio Di Vito, il direttore dell’osservatorio, ha spiegato che le scosse sono il segnale di una «lieve accelerazione» del sollevamento dovuto al bradisismo. Il 9 giugno un gruppo internazionale di scienziati di cui fanno parte anche dei membri dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) ha pubblicato uno studio sulla rivista Communications Earth and Environment a proposito della possibilità che i movimenti della caldera arrivino a una rottura della sua crosta, cioè dello strato più superficiale.

Non si può escludere del tutto che nel processo sia coinvolto del magma, ma per il momento non c’è di fatto nessuna ragione per pensare che ci sarà un’eruzione vulcanica per come la si intende generalmente, cioè con fuoriuscita di lava.

Il piano di evacuazione
All’inizio di settembre i sindaci dei comuni dell’area dei Campi Flegrei hanno sollecitato la Protezione civile ad aggiornare il piano di evacuazione. Già da anni è stato studiato un piano generale di evacuazione e di allontanamento di tutti gli abitanti della zona. Altri piani di emergenza sono stati predisposti da quasi tutti i comuni: esiste per esempio un piano di evacuazione di Pozzuoli e di ognuno degli altri comuni coinvolti.

Il piano generale di evacuazione è complesso perché comporta lo spostamento di centinaia di migliaia di persone in poche ore. Nel piano l’area dei Campi Flegrei è divisa in due zone: la zona rossa, dove abitano circa 500mila persone, comprende Bacoli, Pozzuoli, Monte di Procida e Quarto, parte di Giugliano e Marano e alcune aree di Napoli come Bagnoli, Fuorigrotta, Pianura, Soccavo, Posillipo e parte di Vomero, Chiaiano, Arenella e San Ferdinando. È la più esposta al rischio di colate piroclastiche, formate cioè da rocce e ceneri. La zona gialla, l’area esterna alla zona rossa dove potrebbero cadere ceneri vulcaniche, è abitata da circa 800mila persone e comprende i comuni di Villaricca, Calvizzano, Marano di Napoli, Mugnano di Napoli, Melito di Napoli e Casavatore, oltre a 24 quartieri di Napoli.

Per gli abitanti della zona rossa l’unica misura di protezione è l’allontanamento della popolazione prima dell’eruzione. Le persone possono decidere di spostarsi in modo autonomo oppure sfruttare i servizi messi a disposizione dallo stato con il trasferimento in un’altra regione. Chi decide di spostarsi in auto deve seguire i percorsi stabiliti dai piani per evitare ingorghi. Le persone che scelgono il trasferimento in nave, treno o pullman devono raggiungere aree di attesa stabilite dalla Protezione civile di ogni comune. Da lì verrebbero poi trasferite in altre aree, fuori dalla zona rossa, per raggiungere altre regioni. Per le persone che abitano nella zona gialla l’allontanamento viene valutato durante la fase di allarme in base alla direzione dei venti e alla potenza dell’eruzione.

La Protezione civile stima che il tempo complessivo per portare a termine l’evacuazione è di 72 ore: le prime 24 per permettere alle persone di prepararsi, le successive 48 per la partenza da tutti i comuni della zona rossa. La partenza è la fase più delicata per via del rischio di ingorghi che potrebbero rallentare le operazioni e diffondere il panico.

Una nuova forte scossa a inizio ottobre
Lunedì 3 ottobre c’è stato un nuovo terremoto di magnitudo 4.0, di intensità paragonabile a quella di mercoledì 27 settembre, che era stata una delle più alte degli ultimi 40 anni. La scossa è stata sentita anche in vari quartieri di Napoli, sia nella parte occidentale, quella più vicina ai Campi Flegrei, sia nel centro storico.

L’epicentro del sisma era al confine fra il comune di Pozzuoli e Agnano Terme, una frazione di Napoli. Qui la scossa è stata avvertita in modo particolarmente forte, e si sono staccati alcuni calcinacci da una casa, l’unico danno segnalato finora. I vigili del fuoco hanno comunque ricevuto moltissime chiamate di persone che segnalavano il terremoto. In vari quartieri occidentali di Napoli e nei comuni circostanti la gente è scesa in strada per l’allarme. La scossa è stata seguita da una serie di sismi di minore intensità.

Il decreto-legge del governo per i Campi Flegrei
Giovedì 5 ottobre il Consiglio dei ministri ha approvato il cosiddetto “decreto Campi Flegrei”, che contiene «misure urgenti di prevenzione del rischio sismico connesso al fenomeno bradisismico nell’area». Prevede lo stanziamento di 52,2 milioni di euro per l’analisi del rischio nelle zone interessate e per l’allestimento di infrastrutture di emergenza. Entro tre mesi inoltre governo, Protezione civile, Regione Campania, prefettura di Napoli ed enti locali elaboreranno un piano di evacuazione di emergenza.

Il piano contenuto nel decreto prevede uno studio sulla sismicità delle differenti sottozone, un monitoraggio più intenso e costante della sismicità e dello stato delle strutture e l’analisi del rischio sugli edifici pubblici e privati della zona. I fondi stanziati saranno utilizzati anche per potenziare il sistema della Protezione civile, per organizzare un sistema di trasporti di emergenza e per preparare strutture temporanee per accogliere la popolazione nel caso in cui sia necessaria un’evacuazione. Verranno fatti test, esercitazioni e prove di evacuazione, partendo dagli ospedali.