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  • Lunedì 11 settembre 2023

Il ruolo degli Stati Uniti prima, durante e dopo il colpo di stato in Cile

Non parteciparono direttamente, ma fecero tutto quanto possibile per far cadere il presidente Allende e sostenere il generale Pinochet

Documenti statunitensi relativi a Pinochet (AP Photo/Jon Elswick)
Documenti statunitensi relativi a Pinochet (AP Photo/Jon Elswick)
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Ad agosto il parlamento cileno ha votato quasi all’unanimità una richiesta al ministro degli Esteri: si chiedeva di sollecitare il governo degli Stati Uniti a desecretare i documenti dei servizi segreti relativi a «interferenze nella sovranità del Cile, prima, durante e dopo il colpo di stato del 1973». L’iniziativa politica arrivava in vista del 50° anniversario del golpe che portò alla morte del presidente Salvador Allende e all’inizio della dittatura di Augusto Pinochet, l’11 settembre 1973.

Il 25 agosto la CIA, principale agenzia di intelligence degli Stati Uniti, ha reso pubblici due documenti destinati all’allora presidente Richard Nixon, datati 8 settembre (tre giorni prima del golpe) e 11 settembre: le due note con cui l’agenzia informava il presidente dei fatti cileni non aggiungono fatti particolarmente rilevanti alle ricostruzioni storiche degli ultimi anni, ma confermano che il governo degli Stati Uniti era al corrente dell’imminente colpo di stato militare prima che avvenisse, e che guardava a questa possibilità con favore.

Il ruolo degli Stati Uniti nel creare un clima favorevole al colpo di stato che portò il Cile a vivere per 17 anni sotto una feroce dittatura è chiaro ormai da tempo: in varie occasioni, e soprattutto sotto la presidenza di Bill Clinton e Barack Obama, migliaia di documenti riservati del governo degli Stati Uniti e delle agenzie di intelligence sono stati resi pubblici. Da questi è stato possibile ricostruire come l’amministrazione di Richard Nixon e il consigliere per la Sicurezza nazionale Henry Kissinger lavorarono attivamente con l’obiettivo prima di evitare che Allende fosse eletto, poi di provocarne la caduta. A 50 anni di distanza però molti dei passaggi restano ancora oscuri o segreti, perché tali sono ancora molti dei documenti.

Gli Stati Uniti hanno sempre negato di aver avuto un ruolo operativo nel colpo di stato del 1973, ma hanno prima finanziato e poi accolto con favore l’ascesa di Pinochet, sostenendolo anche nella repressione del dissenso e nell’ottenere un riconoscimento internazionale, soprattutto a livello economico. Nonostante l’assenza di libertà, la violenza e le torture che hanno caratterizzato la gestione del potere della giunta militare, questa veniva considerata uno strumento utile per mantenere l’intero Sudamerica all’interno della propria area di influenza, in un contesto come quello della Guerra Fredda in cui il governo americano temeva che altri paesi dell’America Latina, dopo Cuba, si avvicinassero all’Unione Sovietica.

Molte delle ricostruzioni storiche che hanno portato alla certezza del coinvolgimento degli Stati Uniti nel sovvertimento della democrazia in Cile sono state possibili grazie all’analisi di migliaia di documenti resi pubblici soprattutto a partire dal 1998, dopo l’arresto di Pinochet. Quest’opera è stata svolta in particolare da uno studioso dell’Archivio di Sicurezza Nazionale (NSA) con sede a Washington. Peter Kornbluh lavora dal 1986 allo studio dei documenti relativi ai rapporti fra Stati Uniti e Cile (oltre che fra Stati Uniti e Cuba): sull’argomento ha scritto libri e girato documentari, contribuendo a ricostruire eventi e rapporti.

Dai documenti si può desumere che gli Stati Uniti consideravano il candidato socialista Salvador Allende potenzialmente pericoloso per i propri interessi in Sudamerica sin dalle elezioni presidenziali del 1964, quando finanziarono segretamente la campagna elettorale del suo avversario. Questi timori aumentarono in vista delle elezioni del 1970, in cui Allende era fra i favoriti: il consigliere per la Sicurezza nazionale Henry Kissinger, preoccupato dalla buona relazione del candidato cileno con il leader cubano Fidel Castro, ordinò uno studio «sulle conseguenze di una vittoria di Allende alle imminenti elezioni».

Si convinse che un presidente socialista democraticamente eletto avrebbe potuto causare un “effetto domino” in tutta l’area sudamericana e non solo: gli effetti di una possibile svolta verso posizioni di sinistra, socialiste o comuniste dei paesi della regione era ritenuto un pericolo grave nell’ottica della contrapposizione fra Stati Uniti e Unione Sovietica.

L’amministrazione Nixon iniziò quindi un’opera per scongiurare la sua elezione che andava oltre ai finanziamenti nascosti degli avversari. Fra le altre cose nel settembre del 1970 il presidente incontrò alla Casa Bianca Agustín Edwards, proprietario del gruppo media conservatore El Mercurio: con questi, in collaborazione con la CIA, fu valutata la possibilità di un coinvolgimento dei vertici militari cileni per bloccare l’insediamento del presidente Allende, che aveva vinto le elezioni, seppur non ottenendo la maggioranza assoluta.

Il piano per un colpo di stato immediato fu considerato impraticabile e l’amministrazione Nixon dovette ripiegare su una graduale opera di condizionamento, economico e politico, del governo socialista cileno. Le aziende americane furono costrette a ritirarsi dal mercato cileno e Nixon in alcuni documenti desecretati diede l’indicazione di «far piangere l’economia». Furono stanziati dieci milioni di dollari per operazioni segrete nel paese, condotte «dai migliori agenti, operativi a tempo pieno» (sempre da indicazioni del presidente rese pubbliche alcuni decenni più tardi). Una delle prime e più clamorose di queste operazioni fu il tentativo di rapimento del generale René Schneider, capo delle forze armate: era considerato un costituzionalista e quindi un potenziale oppositore di un colpo di stato militare. Organizzato dal generale in pensione Roberto Viaux il rapimento di Schneider si complicò: il generale provò a difendersi e fu ucciso. Viaux e altri complottanti furono arrestati, uno di loro riuscì a scappare e fu in seguito retribuito con 35.000 dollari dalla CIA.

Il fallito rapimento ebbe come effetto collaterale la mobilitazione di gran parte della società civile della popolazione cilena a difesa del presidente democraticamente eletto e della costituzione, ma gli Stati Uniti continuarono a finanziare i partiti di opposizione, a mantenere rapporti con i generali, a creare ostacoli economici all’opera del governo di Allende, per esempio bloccando ogni tipo di credito dalla Banca Mondiale e quella InterAmericana.

Augusto Pinochet in una foto del 1988 (AP Photo/Santiago Llanquin)

Gli Stati Uniti coinvolsero altri paesi nelle operazioni di spionaggio e boicottaggio, nonché in azioni volte a preparare un possibile colpo di stato. Nel 2021 l’Australia ha desecretato migliaia di documenti che testimoniano la collaborazione con la CIA dei propri servizi segreti (agenzia ASIS), per una durata di 18 mesi a partire dal 1971.

Nel dicembre del 1971 Nixon invece ricevette alla Casa Bianca il generale Emilio Garrastazu Medici, presidente della giunta militare del Brasile che aveva preso il potere nel 1964. Con quest’ultimo si stabilì una collaborazione per far sì che Allende cadesse, come era avvenuto con il presidente brasiliano Joao Goulart. L’amministrazione Nixon disse a Medici che la giunta brasiliana poteva fare «cose che noi non possiamo fare» e garantì un finanziamento delle operazioni. Il livello di coinvolgimento dei militari brasiliani nel seguente colpo di stato non è ancora chiaro, anche perché tutti i documenti relativi a quella questione continuano a essere coperti dal segreto di stato.

Henry Kissinger e il ministro degli Esteri cileno Ismael Huerta Diaz nel 1974 (AP Photo/Ed Kolenovsky)

Allo stesso modo non è mai stato rivelato come il presidente Nixon rispose a uno dei “memo” che la CIA gli consegnò nelle ore immediatamente precedenti al colpo di stato di Pinochet: questo conteneva la richiesta di un membro chiave del gruppo militare che pianificava l’azione. Si chiedeva ufficialmente al governo statunitense di definire la propria disponibilità a fornire un qualche genere di aiuto: gli storici sono piuttosto concordi nel ritenere che questo aiuto non arrivò a livello operativo nei giorni del colpo di stato. In quelli immediatamente successivi Kissinger disse a Nixon che gli Stati Uniti «non avevano fatto» il colpo di stato, ma ne avevano «creato le condizioni il più possibile».

Nonostante le condanne formali a livello ufficiale, gli Stati Uniti si prodigarono sin dai primi momenti per legittimare e sostenere il nuovo potere cileno: nel febbraio 1974 il vicedirettore della CIA Vernon Walters fu inviato da Nixon a Santiago per incontrare in segreto Pinochet. Walters portò «amicizia e sostegno» e comunicò il desiderio del governo statunitense di «aiutare in modo discreto». Pinochet chiese aiuto alla CIA per «formare» la polizia segreta, la DINA (Dirección de Inteligencia Nacional), che negli anni della dittatura sarebbe stata protagonista di violazioni dei diritti dell’uomo, incarcerazioni di massa, torture, uccisioni e sadismo. Il colonnello Manuel Contreras sarebbe diventato direttore di questa polizia segreta, nonché riferimento del governo americano in Cile: da metà degli anni Settanta, come rivelato in seguito, Contreras divenne un informatore diretto e un collaboratore stipendiato della CIA.

Gli Stati Uniti erano anche al corrente delle operazioni di repressione delle opposizioni portate avanti dal regime di Pinochet, anche all’estero. La più clamorosa fu l’omicidio a Washington dell’ex ministro della Difesa di Allende Orlando Letelier: era fuggito in esilio dopo il colpo di stato, e il 21 settembre 1976 fu ucciso da un’autobomba con il suo collaboratore statunitense Ronni Karpen Moffitt. Documenti desecretati rivelano come il governo statunitense sapesse che quell’attentato era stato autorizzato direttamente da Pinochet. Solo un paio di mesi prima Henry Kissinger era andato in visita a Santiago dal presidente cileno. Le trascrizioni dei colloqui sono state rese pubbliche nel 2021: «Siamo solidali con quello che lei sta facendo qui: ha fatto un grande servizio all’Occidente mettendo fine alla presidenza Allende».

Salvador Allende con Orlando Letelier a Quito, in Ecuador, nel 1971 (AP Photo, File)

Il Cile fu un paese chiave all’interno della cosiddetta “Operazione Condor”, portata avanti da alcune dittature sudamericane di destra come quelle di Argentina, Brasile, Bolivia, Uruguay, con la collaborazione degli Stati Uniti, per eliminare ogni forma di opposizione e dissenso tramite la violenza politica e omicidi mirati. L’organizzazione era formata da forze di polizia, agenti segreti, militari e attivisti di destra e si occupava di tre tipi di operazione. La prima era lo scambio di informazione e la sorveglianza reciproca degli elementi considerati sovversivi. La seconda era il rapimento, la tortura e l’imprigionamento di elementi sovversivi che avessero abbandonato il paese d’origine in favore di un paese che partecipava all’operazione. La terza, e più segreta, era la cosiddetta Fase 3, cioè l’assassinio degli oppositori politici oltre le frontiere.

Lo studioso Peter Kornbluh e ampie porzioni dell’opinione pubblica cilena da anni ritengono fondamentale che il governo statunitense renda disponibili tutti i documenti segreti sul suo coinvolgimento in Cile e sul suo sostegno del generale Pinochet. Questo potrebbe chiarire anche l’entità dei fondi che il generale aveva raccolto per sé e per la sua famiglia in conti esteri: le inchieste aperte dalla magistratura su questo argomento non sono mai arrivate a una conclusione condivisa, contribuendo alla forte divisione ancora presente nella società cilena sulla valutazione della sua figura. Soprattutto negli ultimi anni la destra cilena tende a presentare il dittatore in un’ottica assolutoria e di opposizione a una presunta deriva comunista del paese.