Per i politici di destra scegliere la colonna sonora dei comizi è un problema

È successo di recente con Eminem, ma la lista è lunga: i musicisti raramente vogliono essere associati alle istanze conservatrici

Eminem
(AP Photo/Chris Pizzello, File)
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Lunedì la casa discografica di Eminem ha intimato a Vivek Ramaswamy, uno dei candidati Repubblicani alla presidenza degli Stati Uniti, di smettere di cantare le canzoni del rapper statunitense durante gli eventi della sua campagna elettorale. Quello che coinvolge Eminem e Ramaswamy non è il primo caso di cantanti che si infastidiscono o minacciano azioni legali perché le loro canzoni vengono usate durante i comizi elettorali in politica senza la loro autorizzazione. Episodi simili hanno riguardato tra gli altri Boris Johnson, John McCain e soprattutto l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

La maggior parte di queste storie è accomunata da una cosa: i politici sono di destra o centrodestra, i musicisti no. Se spesso infatti band e cantanti tollerano che partiti di sinistra o centrosinistra usino le loro canzoni per motivi elettorali, sono quasi sempre restii, se non del tutto contrari, all’eventualità che servano in qualche modo a fare propaganda ai conservatori. I motivi sono intuitivi: tendenzialmente, artisti e musicisti appartengono a ambienti progressisti, e ci tengono a rimanere associati a istanze politiche che condividono. Una propria canzone che precede o segue un discorso di un politico che, per esempio, vorrebbe negare dei diritti alle minoranze, può essere una pessima pubblicità per un cantante, e rischia di alienare una parte del suo pubblico. È più difficile invece che un musicista si consideri danneggiato dall’essere collegato a un partito progressista, a meno che il musicista in questione sia esplicitamente schierato a destra, e abbia un pubblico a sua volta tendenzialmente conservatore (ma sono meno, e meno famosi).

Nella gran parte dei casi le controversie si sono risolte con semplici lettere di diffida e con la sospensione dell’utilizzo delle canzoni. In qualche caso però è andata diversamente.

In queste settimane Ramaswamy sta partecipando ai primi incontri elettorali per le primarie del Partito Repubblicano, e durante un evento in Iowa gli era capitato di mettersi a cantare “Lose Yourself”, una delle canzoni più famose di Eminem. 38 anni, figlio di immigrati indiani e cresciuto nell’area di Cincinnati, Ramaswamy dice di essere un grande fan di Eminem, e di recente ha spiegato che “Lose Yourself” è «la colonna sonora della sua vita», paragonando per certi versi la sua storia a quella del rapper. A ogni modo, la casa discografica ha fatto sapere che d’ora in poi considererà qualsiasi riproduzione delle canzoni di Eminem durante la sua campagna elettorale come «una violazione» e che eventualmente sarà pronta a fargli causa.

Nel 2014 sempre Eminem e la sua casa discografica fecero causa per violazione di copyright al Partito Nazionale neozelandese, di centrodestra, perché l’allora primo ministro John Key aveva usato la stessa canzone per un evento: il partito smise di usare la canzone, ma tre anni dopo un tribunale gli ordinò comunque di risarcire l’equivalente di circa 330mila euro al cantante come rimborso danni.

Che i politici siano fan di questi cantanti o meno, casi simili si verificano da tempo, ma sono stati frequenti soprattutto negli ultimi vent’anni, e non solo negli Stati Uniti.

– Leggi anche: La canzone stranamente in cima alle classifiche musicali statunitensi

Nel 1984 Bruce Springsteen rifiutò a Ronald Reagan il permesso di usare la celeberrima “Born in the USA” per la sua campagna elettorale in vista delle elezioni presidenziali. Nel 2008 l’etichetta discografica degli ABBA invece contestò l’uso di “Take a Chance on Me” nella campagna elettorale del candidato alla presidenza Repubblicano John McCain. L’anno successivo l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy dovette pagare circa 30mila euro alla band MGMT per aver usato la canzone “Kids” senza permesso durante un evento (la somma fu poi devoluta a un’associazione per i diritti degli artisti).

Nel 2011 i Dandy Warhols protestarono contro l’uso della loro “Bohemian Like You” da parte della conservatrice Theresa May, che cinque anni più tardi sarebbe diventata prima ministra del Regno Unito. Negli anni seguenti casi simili hanno riguardato anche i suoi successori. Quando Boris Johnson arrivò sul palco di un evento del Partito Conservatore accompagnato da una canzone dei Friendly Fires nel 2021, la band indie-rock scrisse sarcasticamente su Twitter che se il primo ministro voleva «qualcosa che lo facesse sentire sollevato, avrebbe potuto usare i suoni di un banco alimentare molto frequentato», un riferimento a una vecchia e criticata dichiarazione del politico conservatore Jacob Rees-Mogg.

Nel 2022 la prima ministra Liz Truss, che prese il suo posto come leader del partito e premier, fece arrabbiare la band M People per aver usato una sua canzone del 1993, “Moving On Up”, che come ha notato con un certo sarcasmo la BBC a suo tempo era rimasta nella classifica Top 20 più a lungo di quanto Truss fosse rimasta in carica.

Ed Sheeran non fu affatto contento che la sua canzone “Small Bump” (l’espressione che si usa per indicare la pancia di una donna in gravidanza che si vede appena) venisse usata dagli attivisti contrari al diritto all’interruzione di gravidanza in occasione del referendum sull’aborto in Irlanda del 2018. Più di recente anche il famoso rapper Dr. Dre, a lungo collaboratore di Eminem, è riuscito a far smettere alla deputata Repubblicana di estrema destra Marjorie Taylor Greene di usare le sue canzoni nei video promozionali.

Nel 2012, quando Cyndi Lauper scoprì che il comitato Democratico degli Stati Uniti aveva usato la sua “True Colors” per uno spot contro il Repubblicano Mitt Romney ci rimase male, e scrisse su Twitter «che non voleva che la canzone venisse usata per quello scopo», anche perché «il signor Romney riesce a screditarsi da solo senza sfruttare il mio lavoro». Lo spot venne rimosso da YouTube.

Nel 2004 il dj inglese Fatboy Slim si arrabbiò moltissimo quando venne usata la sua celebre “Right Here, Right Now” durante la conferenza dei Laburisti britannici, che avevano sostenuto l’attacco militare in Iraq, di cui lui era un grande critico. Elton John, tra i cantanti più famosi di sempre, ha detto di non volere che la sua musica abbia niente a che fare con la politica.

In Italia qualche anno fa anche Vasco Rossi si era lamentato dell’ex senatore del Movimento 5 Stelle Gianluigi Paragone, che aveva usato la sua famosissima “C’è chi dice no” nel video in cui esprimeva il proprio dissenso all’accordo di governo PD-M5S.

 

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E poi c’è Trump, con la lunghissima lista di cantanti, artisti e musicisti che dalla campagna elettorale per le presidenziali del 2016 a quella del 2020 hanno chiesto al suo comitato elettorale di smettere di usare le loro canzoni per dissociarsi dalle sue posizioni politiche. Phil Collins ha chiesto che non venisse usata più la sua “In the Air Tonight”, mentre Brian May ha detto che Trump non aveva mai ottenuto il permesso di usare “We are the Champions” dei Queen, la stessa cosa che ha detto un portavoce di Adele rispetto alle canzoni della famosissima cantante inglese. A questi artisti si aggiungono, tra gli altri, gli Aerosmith, i Creedence Clearwater Revival, i Rolling Stones, i REM, i Guns N’ Roses e i Panic! at the Disco.

Durante la campagna per le elezioni del 2020 perse contro il candidato Democratico Joe Biden, tra l’altro, Neil Young fece causa al comitato elettorale di Trump per aver usato “Rockin’ in the Free World” e “Devil’s Sidewalk” durante un comizio a Tulsa, in Oklahoma. Nel giro di pochi mesi però ritirò le accuse (non è chiaro se il caso si risolse con un accordo extragiudiziale). Nel 2018, quando Rihanna scoprì che le sue canzoni venivano trasmesse durante la campagna per le elezioni di metà mandato di Trump, scrisse su Twitter che la cosa non sarebbe andata avanti «ancora per molto…», aggiungendo che «né io né la mia gente ci avvicineremmo mai a uno di quei terribili comizi».

Anche la vedova di Luciano Pavarotti, Nicoletta Mantovani, e le tre figlie maggiori del tenore protestarono affinché negli eventi di Trump non venisse fatta suonare la sua versione di “Nessun dorma” di Giacomo Puccini. Nel 2020 la famiglia del cantautore Tom Petty, morto tre anni prima, disse che Trump non era stato autorizzato a usare la sua “I Won’t Back Down” sempre durante un comizio a Tulsa, un po’ come dissero gli eredi di Prince delle sue canzoni. Nel 2000 sempre Tom Petty aveva minacciato di fare causa al futuro presidente degli Stati Uniti George W. Bush sostenendo che usare una sua canzone in un evento politico sembrava suggerire che il cantante lo appoggiasse. Anche Sting aveva chiesto a Bush di non usare le sue canzoni.

Nel 2008 nonostante i Foo Fighters gli avessero chiesto di smettere di usarla, il comitato elettorale del candidato Repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti John McCain continuò a far suonare la loro “My Hero”, sostenendo di avere i diritti per farlo. Sostenne la stessa cosa la candidata Repubblicana alla vice presidenza Sarah Palin a proposito della canzone degli Heart “Barracuda”, che era il suo soprannome al liceo.

Negli Stati Uniti i politici non sono sempre tenuti a chiedere il permesso diretto degli artisti per usare le loro canzoni. In qualche caso infatti il loro comitato elettorale o i loro collaboratori comprano apposite licenze da società di intermediazione del diritto d’autore, come la BMI e la ASCAP, ottenendo così accesso a più di 20 milioni di canzoni che possono essere usate anche per eventi politici. Gli artisti hanno diritto a togliere i loro brani da quelle liste, come hanno fatto per esempio i Rolling Stones e starebbe pensando di fare anche Eminem: il problema è che spesso i meccanismi che permettono l’utilizzo di queste canzoni sono poco chiari, e a volte gli artisti non ne sono pienamente consapevoli.

Nel 2020 più di 50 cantanti, musicisti e artisti tra cui i Green Day, i Pearl Jam, Elton John, Lorde, Sia e Blondie hanno firmato una lettera aperta per lamentarsi delle condizioni imposte da queste società, sostenendo che lo sfruttamento della loro musica per fini politici possa «confondere e deludere i loro fan e persino compromettere i loro guadagni sul lungo periodo» e che «soprattutto, non è corretto». «I politici che vogliono la fiducia del pubblico devono fare di meglio, ottenendo il consenso prima di sfruttare l’immagine o il lavoro di un artista o di un cantautore», dice il comunicato.

– Leggi anche: Un cantante può impedire a un politico di usare una sua canzone?