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  • Giovedì 20 luglio 2023

Ci sono molti precedenti di persone statunitensi arrestate in Corea del Nord

La storia del soldato che ha oltrepassato il confine si aggiunge ad altre che in passato hanno avuto esiti molto diversi

(Chung Sung-Jun/Getty Images)
(Chung Sung-Jun/Getty Images)
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Martedì 18 luglio un soldato statunitense di 23 anni, Travis T. King, è entrato in Corea del Nord oltrepassando senza autorizzazione la linea di confine che dal 1953 divide il paese dalla Corea del Sud. King stava partecipando a una visita guidata alla Joint Security Area – l’unico punto in cui gli eserciti delle due Coree sono a diretto contatto – quando, con ragioni ancora da chiarire, ha superato volontariamente il confine. Il soldato è al momento detenuto in Corea del Nord.

Non è la prima volta che un cittadino statunitense attraversa illegalmente la linea di confine o che viene detenuto in Corea del Nord. I casi di attraversamento deliberato coinvolgono prevalentemente personaggi stravaganti, soldati ma anche turisti, motivati ad andare in Corea del Nord per diverse ragioni: il fascino di visitare un paese di cui sappiamo molto poco, il proselitismo religioso o il rifiuto del modello di vita occidentale. In altri casi, il regime nordcoreano ha arrestato e detenuto cittadini statunitensi accusati di aver violato la legge.

Charles Jenkins, sergente dell’esercito statunitense, stava prestando servizio in Corea del Sud quando nel 1965, a 24 anni, disertò e fuggì verso la Corea del Nord. Successivamente raccontò che quel giorno aveva bevuto dieci birre perché stressato dalla routine del pattugliamento di confine, e che era spaventato dall’idea che potessero mandarlo a combattere in Vietnam. Il regime dittatoriale di Kim Il-sung sfruttò la sua storia per fini propagandistici: Jenkins divenne una specie di celebrità, in quanto cittadino occidentale che aveva preferito andare a vivere in Corea del Nord.

Ad aumentare la sua fama contribuì anche la sua partecipazione, obbligata, al film Unsung Heroes (1978). Un film di venti ore che attraverso la storia di una spia nordcoreana inviata a Seul racconta la prospettiva del partito sulla guerra di Corea. Jenkins interpreta il ruolo del cattivo: il Dr. Kelton, un funzionario della CIA, capitalista, guerrafondaio e artefice della guerra di Corea. Jenkins non fu l’unico cittadino statunitense ad apparire nel film: negli anni Sessanta altri soldati avevano disertato ed erano fuggiti in Corea del Nord tra cui James J. Dresnok, che stanco della sua vita aveva deciso di scappare e restò nel paese fino alla sua morte, nel 2016. La sua storia è raccontata in un documentario britannico del 2006, Crossing the Line.

La vita di Jenkins in Corea del Nord fu fortemente controllata e determinata dal partito: dovette imparare la lingua, leggere i libri di partito e subì torture fisiche e mentali. Nel 1980 il regime lo obbligò a insegnare l’inglese a una ragazza giapponese, Hitomi Soga, rapita dagli agenti nordcoreani per farla diventare una spia. Il partito sollecitò Jenkins a sposare Soga e la coppia ebbe anche due figli.

Nel 2002, su pressione del governo giapponese, Soga e i suoi figli poterono tornare in Giappone, mentre a Jenkins fu permesso di lasciare il paese solo nel 2004. Arrivato in Giappone, fu congedato con disonore dai militari statunitensi e condannato a 25 giorni di carcere. Una volta rilasciato andò a vivere con la famiglia sull’isola di Sado, lungo la costa occidentale del Giappone, il posto in cui sua moglie Soga era stata rapita. Nel 2008 scrisse un libro sulla sua esperienza intitolato The Reluctant Communist: My Desertion, Court-Martial, and Forty-Year Imprisonment in North Korea. Tra le altre cose raccontò che in Corea del Nord soffrì la fame e il freddo, perché la sua casa spesso non veniva riscaldata e il cibo era razionato. Morì in Giappone nel 2017.

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Jeffrey Fowle, cittadino americano originario di Miamisburg (Ohio), aveva invece 56 anni quando fu arrestato e incarcerato per aver lasciato una Bibbia in un locale della città portuale di Chongjin, in Corea del Nord, dove il possesso o la distribuzione della Bibbia sono severamente puniti. Anche se la Costituzione nordcoreana garantisce la libertà religiosa, i cristiani sono soggetti a severe misure restrittive. L’evangelizzazione infatti mina le basi dell’ideologia di partito, che promuove il culto della personalità: il leader Kim Jong-un, così come suo padre e suo nonno, hanno uno status quasi divino.

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Fowle era andato in Corea del Nord per una vacanza organizzata di dieci giorni in gruppo con altre persone. Durante gli ultimi giorni lasciò una una copia bilingue (inglese-coreana) della Bibbia nel bagno del locale dove stavano cenando. Tra le pagine erano riportate anche sue informazioni personali, come il nome, il numero di telefono e foto della sua famiglia. La Bibbia fu poi trovata da un addetto delle pulizie che la consegnò alle autorità. Il giorno seguente Fowle fu arrestato, e si giustificò dicendo che la Bibbia gli era accidentalmente caduta.

La stampa locale dell’Ohio raccontò che Fowle frequentava la chiesa e un club di lettura della Bibbia, ma non era un missionario. I suoi compagni di viaggio però aggiunsero che la sera della cena Fowle gli aveva confessato di aver lasciato la Bibbia intenzionalmente, affinché altre persone potessero leggerla. Fu liberato nell’ottobre del 2014, dopo sei mesi di carcere. Le trattative furono mediate dal governo svedese, dal momento che gli Stati Uniti non hanno formali relazioni diplomatiche con la Corea del Nord.

Un mese dopo, a novembre del 2014, fu liberato un altro cittadino americano, Matthew Miller, un californiano di 24 anni entrato in Corea del Nord otto mesi prima con un viaggio turistico organizzato. Una volta atterrato a Pyongyang, Miller aveva strappato il suo visto. I funzionari dell’aeroporto lo sollecitarono a prendere un volo e uscire dal paese ma Miller rifiutò, chiedendo anzi asilo politico al governo nordcoreano. Fu arrestato, detenuto e successivamente condannato a sei anni di lavori forzati con l’accusa di violazione delle leggi sul turismo e l’aggravante di spionaggio. Durante la detenzione gli fu permesso di dare alcune interviste (con domande e risposte concordate con il partito) a media internazionali come CNN. Miller non disse molto sulle ragioni delle sue azioni, ma disse che era arrivato in Corea del Nord con l’intenzione di violare le leggi del paese e di questo si scusava con il governo.

Prima di partire Miller aveva cercato di cancellare molte informazioni sul suo passato e sulla sua famiglia: all’agenzia di viaggio con cui era andato in Corea del Nord, per esempio, aveva lasciato dei contatti di emergenza falsi. Nel tempo emerse che aveva trascorso un periodo in Corea del Sud, dove insegnava inglese fingendosi un britannico di nome Preston Somerset. Probabilmente Miller aveva violato la legge nordcoreana per restare un periodo più lungo in Corea del Nord e conoscere così la reale situazione del paese. Inoltre, durante il suo processo farsa in Corea del Nord, fu reso noto che al momento dell’arresto Miller aveva con sé un taccuino dove dichiarava di essere coinvolto con WikiLeaks e di aver tentato di accedere a segreti militari della Corea del Sud. Non era vero, ma non è mai stato chiarito se Miller avesse scritto quelle cose sul taccuino per farsi arrestare o se fu la Corea del Nord a inventarsi questa storia per presentarlo come più prezioso e importante di quanto fosse.

Miller riuscì a tornare negli negli Stati Uniti nel novembre del 2014. A settembre dello stesso anno, intervistato da CNN, aveva detto che la sua situazione in Corea del Nord era molto grave e che per questo aveva scritto lettere a politici statunitensi per richiamare l’attenzione sul suo caso e chiedere aiuto. Secondo il New Yorker il rilascio di Miller rientrò all’interno di una strategia del regime nordcoreano, già utilizzata in passato, che si serviva di questi casi come pretesto per costringere gli Stati Uniti a trattare con il governo nordcoreano e mostrare la sua forza nel gestire le relazioni diplomatiche con l’Occidente. È quello che accadde nel 2009 e nel 2010, quando il regime chiese – e ottenne – che solo con la visita di un presidente statunitense sarebbe stato possibile liberare degli americani detenuti (l’amministrazione Obama inviò prima Bill Clinton e poi Jimmy Carter, due ex presidenti).

Uno degli ultimi cittadini statunitensi detenuti in Corea del Nord era stato Otto Warmbier, uno studente di 22 anni dell’Università della Virginia. Warmbier era arrivato nel paese insieme ad altri turisti a gennaio del 2016, con un tour guidato. Fu arrestato per aver tentato di rubare un poster di propaganda dall’albergo in cui soggiornava. A marzo del 2016 fu condannato a 15 anni di detenzione e lavori forzati.

Il caso di Warmbier fu particolarmente eclatante per l’inconsistenza del reato di cui era accusato e perché durante la prigionia subì evidenti torture. Dopo circa un anno di carcerazione, infatti, il governo nordcoreano riferì che Warmbier si trovava in coma: non furono fornite spiegazioni sulle cause, ma solo avviate le trattative per il suo rilascio. Warmbier tornò negli Stati Uniti nel 2017. Un importante funzionario statunitense riferì che aveva subito un grave trauma celebrale e che secondo lui era stato ripetutamente picchiato durante la prigionia. Morì sei giorni dopo il suo rientro, quando i genitori acconsentirono a disattivare le macchine che lo tenevano in vita.