La Cina limiterà l’esportazione di alcuni materiali usati per la produzione di microchip

Nel contesto di una guerra tecnologica e commerciale con gli Stati Uniti che va avanti da tempo

(Annabelle Chih/Getty Images)
(Annabelle Chih/Getty Images)
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Il ministero del Commercio cinese ha annunciato che a partire da agosto la Cina metterà dei limiti all’esportazione di gallio e germanio, due metalli necessari per la produzione di semiconduttori, utili a loro volta per la produzione di microchip, componenti fondamentali in moltissimi prodotti tecnologici di uso quotidiano. L’obiettivo, dicono le autorità cinesi, è di proteggere la sicurezza e l’interesse nazionale. Questa decisione si inserisce in una guerra commerciale cominciata da tempo tra Cina e Stati Uniti, in cui i due paesi continuano a limitare l’esportazione di tecnologia ritenuta strategica per non fornire conoscenza tecnologica all’altra parte. In questo contesto gli Stati Uniti stanno esortando i paesi alleati a fare lo stesso.

Nel caso del gallio e del germanio la Cina non ha annunciato propriamente un divieto di esportazione perché le aziende cinesi potranno continuare a vendere all’estero questi materiali, ma prima dovranno ottenere un apposito permesso rilasciato dal ministero. L’annuncio è stato diffuso in un momento in cui secondo il Wall Street Journal e altri media statunitensi il governo degli Stati Uniti starebbe valutando di bloccare l’esportazione verso la Cina di chip utilizzati per i software di intelligenza artificiale e dopo che venerdì il governo olandese ha deciso di limitare le esportazioni in Cina dell’azienda ASML, che produce apparecchiature all’avanguardia per la produzione di semiconduttori.

Queste decisioni hanno un impatto concreto non solo nel mercato dei semiconduttori ma anche nella produzione di cose di uso quotidiano. I semiconduttori sono componenti necessari per la produzione di microchip, che a loro volta sono essenziali per far funzionare computer e smartphone, così come qualsiasi altro apparecchio che abbia almeno una parte elettronica, tra cui le automobili.

Potrebbe avere conseguenze anche quest’ultima decisione della Cina di limitare le esportazioni di gallio e germanio, visto che è il primo paese al mondo per l’estrazione e garantisce la quasi totalità dell’offerta dei due metalli: secondo uno studio della Commissione europea produce il 94 per cento di tutto il gallio in circolazione e l’83 per cento del germanio. L’Unione europea importa il 71 per cento del suo gallio e il 45 del suo germanio dalla Cina.

Il primato della Cina non si deve tanto al fatto che questi metalli siano particolarmente rari o difficili da reperire, quanto all’essere riuscita a tenerli a buon mercato benché prevedano un processo di estrazione particolarmente costoso: gallio e germanio non si trovano in natura ma sono il sottoprodotto di altre lavorazioni, come quelle dello zinco e dell’alluminio. Il loro mercato non è neanche particolarmente vasto rispetto a quello delle altre materie prime, ma sono fondamentali per alcune importanti produzioni industriali.

I due metalli sono strategici per una vasta gamma di produzioni, a partire da quella dei chip, ma anche per quella di apparecchiature per le telecomunicazioni e la difesa. Il gallio è utilizzato nei cosiddetti semiconduttori composti, che combinano più elementi per migliorare la velocità e l’efficienza di trasmissione, negli schermi di TV e smartphone, nei pannelli solari e nei radar. Il germanio è usato per le comunicazioni in fibra ottica, nelle produzioni di occhiali per la visione notturna e dei materiali per l’esplorazione dello spazio: la maggior parte dei satelliti è alimentata con celle solari a base di germanio.

Da tempo la Cina sta cercando di competere per il dominio tecnologico, soprattutto nel caso della produzione di semiconduttori e chip. Negli ultimi tre anni aveva investito grandi somme ed energie per costruire un settore domestico dei microchip in grado di rivaleggiare con quello statunitense e degli altri paesi asiatici, con l’ambizione di diventare autosufficiente a livello tecnologico. Secondo i maggiori esperti non sarebbe ancora arrivata all’obiettivo e la guerra commerciale in corso con gli Stati Uniti ne rallenterà il raggiungimento.

Le misure che hanno preso gli Stati Uniti nell’ultimo anno sono state senza precedenti e sono indicative del fatto che la Cina doveva essere molto avanti in questo processo di autosufficienza tecnologica. Secondo molti esperti, questa è la prima volta che il governo statunitense tenta in maniera così esplicita di “contenere” lo sviluppo economico e tecnologico cinese. Tra i vari provvedimenti approvati nei mesi scorsi ci sono: il divieto di vendere ad aziende cinesi chip avanzati prodotti negli Stati Uniti; quello di vendere chip avanzati prodotti in altri paesi, ma che comprendano tecnologia o software statunitensi; il divieto a ogni azienda del settore che voglia avere rapporti commerciali con gli Stati Uniti di vendere tecnologie a un insieme di aziende che appartengano alla “Lista Non Verificata” (sono oltre 500 e comprendono tutte le imprese cinesi del settore, ma anche aziende di hardware e di software); e il divieto ai cittadini statunitensi di lavorare per aziende cinesi del settore dei semiconduttori.

Gli Stati Uniti hanno esortato gli alleati in Europa e in Asia a prendere provvedimenti simili, con un certo successo. La decisione del governo olandese di limitare le esportazioni in Cina dell’azienda ASML va proprio in questa direzione.

Le misure statunitensi e le ritorsioni cinesi si inseriscono oltretutto in un contesto molto complicato per l’industria: c’è una tendenza abbastanza evidente per cui i paesi di tutto il mondo stanno lavorando per liberare le loro catene di approvvigionamento dalla dipendenza dalle forniture e dalle tecnologie estere.

L’Unione europea sta cercando con una serie di provvedimenti di mettere in sicurezza il suo approvvigionamento di materie prime strategiche. L’Unione non vuole rivivere le stesse conseguenze economiche di quando la Russia ha invaso l’Ucraina lo scorso anno, ossia un aumento dell’inflazione e timori concreti che intere industrie potessero crollare mentre ci si affrettava a procurarsi nuove forniture di petrolio e gas. Alcuni paesi membri erano combattuti su come rispondere alla Russia, dato che alcuni dipendevano moltissimo dal petrolio e dal gas russo.

La stessa dinamica si sta verificando anche con la politica dell’Unione europea nei confronti della Cina, con alcune nazioni che non sono disposte a mettere a rischio le loro relazioni commerciali, soprattutto nel caso di forniture così strategiche per la transizione energetica, come quelle delle cosiddette terre rare e dei metalli come il gallio e il germanio.

L’Unione europea ha proposto recentemente il Critical Raw Materials Act per facilitare i finanziamenti e le autorizzazioni per nuovi progetti di estrazione e raffinazione, oltre che per stringere alleanze commerciali in ottica di ridurre la dipendenza dai fornitori cinesi.

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