È iniziata la missione del telescopio spaziale Euclid

Il lancio ha segnato l'inizio di un viaggio molto atteso per studiare meglio l'Universo, e in particolare la materia oscura e l'energia oscura

di Emanuele Menietti – @emenietti

Il telescopio spaziale Euclid in un'elaborazione grafica (ESA)
Il telescopio spaziale Euclid in un'elaborazione grafica (ESA)
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Alle 17:11 (ora italiana) di oggi un razzo Falcon 9 della compagnia spaziale privata SpaceX ha trasportato oltre l’atmosfera terrestre Euclid, il nuovo telescopio spaziale dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), per studiare due delle caratteristiche più sfuggenti dell’Universo: la materia oscura e l’energia oscura. Il lancio è avvenuto da Cape Canaveral in Florida (Stati Uniti) e il telescopio impiegherà circa un mese per raggiungere il proprio punto di osservazione a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra. La missione è molto attesa perché potrebbe offrire dati importanti per capire meglio l’evoluzione e la struttura dell’Universo.

Oscuro
Siamo fatti di materia e circondati dalla materia, di conseguenza ne abbiamo un’esperienza diretta in ogni istante della nostra esistenza, tanto da non farci nemmeno caso. La materia è tantissima, ma in termini cosmologici – cioè dello studio dell’Universo nel suo complesso – è poca roba: si stima che costituisca meno del 5 per cento dell’Universo conosciuto. Tutto il resto, secondo le teorie più condivise, è formato per il 25 per cento circa di materia oscura e per il 70 per cento di energia oscura. Entrambe sono completamente invisibili sia ai nostri occhi sia agli strumenti e non sappiamo nemmeno di preciso che cosa siano né come funzionino. Al tempo stesso, siamo ormai abbastanza certi che esistano, perché in loro assenza non si potrebbero spiegare alcuni dei fenomeni che invece riusciamo a osservare e che conosciamo ormai piuttosto bene.

Rappresentazione schematica di che cosa si intende per “materia” in rapporto alle altre forme “oscure” ipotizzate (ESA)

Quando nel Novecento si iniziarono a calcolare le caratteristiche dell’Universo, e ad applicare modelli teorici per spiegarne le peculiarità, divenne evidente che la quantità di materia che ci è visibile non era sufficiente per spiegare il modo in cui l’Universo è strutturato e sta insieme.

Un esempio che viene spesso utilizzato per dare l’idea del problema parte dalle galassie, i grandi sistemi che comprendono stelle, pianeti e materiale interstellare soprattutto sotto forma di gas e polveri. La quantità di materia osservabile di una galassia è però relativamente poca: sulla base delle conoscenze di cui disponiamo, non è sufficiente per far sì che le stelle che ne fanno parte restino insieme senza sparpagliarsi per l’Universo (c’è una stretta relazione tra massa e gravità). Uno dei modi per trovare una spiegazione è ipotizzare che ci sia qualcos’altro dentro e intorno alle galassie che ne favorisce la coesione. Qualcosa che non emette o riflette luce e che non si fa rilevare, ma che comunque esiste e aggiunge ulteriore massa: la materia oscura.

La galassia NGC 5005 visibile nella costellazione dei Cani da Caccia (NASA, ESA e L. Ho, Peking University; Gladys Kober, NASA/Catholic University of America)

La sua esistenza aiuterebbe a spiegare molte cose, ma non tutto sul funzionamento dell’Universo. Circa un secolo fa l’astrofisico statunitense Edwin Hubble scoprì che l’Universo si sta espandendo mentre studiava il modo in cui appaiono le galassie più distanti da noi. Quasi 70 anni dopo, si sarebbe scoperto che l’Universo è in una fase di espansione accelerata, cioè che la velocità a cui si sta espandendo aumenta nel tempo. Era una scoperta rivoluzionaria e inattesa, perché contraddiceva alcune parti del modello teorizzato fino ad allora per descrivere l’Universo, secondo il quale la gravità avrebbe via via portato l’espansione a rallentare.

Da quella scoperta è passato circa un quarto di secolo e ancora non sappiamo che cosa determini l’accelerazione, ma ci sono comunque diverse teorie. Una delle più condivise ipotizza che ci sia un particolare tipo di energia – cioè l’energia oscura – che contrasta in qualche modo la gravità e che fa sì che l’Universo acceleri nella propria espansione. È una forma di energia ipotetica che sarebbe distribuita omogeneamente nello Spazio e che come nel caso della materia oscura non riusciamo a rilevare direttamente.

Studiare qualcosa che non è osservabile è molto difficile, ma nel corso del tempo chi si occupa di astrofisica ha trovato qualche soluzione. Una di queste è raccogliere dati estremamente precisi su quello che invece riusciamo a osservare e confrontarlo con ciò che dovrebbe succedere secondo i modelli teorici, in modo da capire che cosa manca nella realtà per completare il quadro. Il telescopio spaziale Euclid ha proprio questo compito: effettuare misurazioni molto precise e di una enorme porzione di cielo per trovare indizi su ciò che nemmeno i suoi strumenti possono vedere.

Com’è fatto Euclid
Euclid è stato costruito da Thales Alenia Space a Torino e da Airbus Defence and Space a Tolosa, in Francia. Il telescopio vero e proprio è un cilindro alto circa 4 metri con un diametro di 1,2 metri ed è collegato al “modulo di servizio”, una base rettangolare che contiene al proprio interno sistemi per gestire e trasmettere verso la Terra i dati raccolti, per la propulsione e per la distribuzione dell’energia elettrica. Telescopio e base messi insieme fanno raggiungere a Euclid un’altezza di 4,7 metri e una larghezza di 3,7 metri. La massa complessiva è di 2 tonnellate, più o meno quanto un SUV di grandi dimensioni.

Il telescopio spaziale Euclid nelle ultime fasi di preparazione: si notano il telescopio vero e proprio (il cilindro bianco centrale) e i pannelli fotovoltaici (ESA)

A un lato del modulo di servizio è assicurato un grande pannello che serve a proteggere il telescopio spaziale dalla radiazione solare e a raccogliere l’energia elettrica, attraverso pannelli fotovoltaici, per alimentare i sistemi di Euclid. Lo schermo ha la funzione di evitare che si scaldino troppo i due principali strumenti del telescopio, che devono funzionare rispettivamente a -120 e a -180 °C.

Lo strumento VIS (VISible instrument) serve per realizzare immagini nello spettro visibile, cioè la porzione di luce che riusciamo a cogliere con i nostri occhi. NISP (Near-Infrared Spectrometer and Photometer) è invece uno strumento per le osservazioni nell’infrarosso, la parte della radiazione elettromagnetica che non riusciamo a vedere perché ha una frequenza inferiore a quella della luce visibile. Entrambi gli strumenti sono stati forniti dallo Euclid Consortium, una collaborazione internazionale di scienziati cui partecipano 14 paesi europei e altri gruppi di ricerca da Stati Uniti, Canada e Giappone. Il progetto ha coinvolto più di duemila persone con vari gruppi di ricerca e di lavoro anche in Italia.

Superata l’atmosfera terrestre, Euclid ha iniziato un lungo viaggio che gli permetterà di raggiungere il punto di Lagrange “L2” a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra, in direzione opposta rispetto al Sole. È un punto di osservazione particolare che in sostanza permette di seguire la Terra a grande distanza, in modo da compiere osservazioni nello Spazio profondo. L2 è utilizzato spesso per questo tipo di missioni e da più di un anno ospita anche il James Webb Space Telescope, il telescopio spaziale più potente e che compie attività di osservazione in buona parte diverse da quelle che farà Euclid.

Il viaggio di Euclid verso L2 durerà circa un mese. Una volta arrivato a destinazione il telescopio attiverà i propri strumenti e seguiranno un paio di mesi di test e di calibrazioni. Terminata questa fase di avvio, a ottobre il telescopio sarà pronto per iniziare a osservare e rilevare dati su galassie lontane miliardi di chilometri. Il suo obiettivo sarà mappare circa un terzo del cielo, creando una mappa tridimensionale molto precisa, che potrà essere impiegata per calcolare l’espansione dell’Universo.

Il telescopio spaziale sfrutterà anche un effetto particolare chiamato “lente gravitazionale”, che si verifica quando la luce emessa da una galassia arriva distorta a chi la sta osservando a grandissima distanza, a causa delle concentrazioni di materia che trova lungo il proprio percorso. Questa materia che devia la luce è costituita da altre galassie – che possono quindi essere osservate – e per una parte consistente dalla materia oscura, che non può essere invece rilevata.

Grazie a misurazioni molto accurate si può ricostruire quanta materia sia necessaria per determinare una lente gravitazionale, indagare quanta materia “normale” sia stata coinvolta e dedurre quanta materia oscura abbia contribuito al fenomeno. In questo modo si può inferire la presenza della materia oscura e soprattutto scoprire come è distribuita nella porzione di Universo osservato.

I dati raccolti da Euclid saranno processati dalla parte scientifica dello Euclid Consortium e messi poi a disposizione della comunità scientifica. Immagini, dati sulla luminosità delle galassie e molto altro potranno essere utilizzati per nuove ricerche e per pianificare future nuove missioni spaziali, alla ricerca di cosa non riusciamo a vedere.