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  • Lunedì 19 giugno 2023

Le proteste in Serbia si sono allargate

Erano state organizzate dopo due sparatorie di massa: da allora si tengono ogni sabato e partecipano migliaia di persone, che hanno obiettivi ambiziosi

(AP Photo/Marko Drobnjakovic)
(AP Photo/Marko Drobnjakovic)
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All’inizio di maggio in Serbia, dopo due sparatorie di massa nel giro di pochi giorni, furono organizzate alcune manifestazioni per chiedere leggi più severe contro la vendita di armi, e contro una cultura popolare di esaltazione della violenza che secondo alcuni è molto presente a vari livelli della società serba. Da allora quelle proteste si sono allargate: ogni sabato nelle principali città serbe, soprattutto nella capitale Belgrado, sfilano migliaia di persone per protestare contro il governo e il presidente Aleksandar Vučić, accusandoli di comprimere la libertà di opinione e gli spazi dell’opposizione.

Secondo Euronews le proteste di questi giorni sono le più grandi da quelle che nel 2000 spinsero l’allora presidente Slobodan Milošević ad accettare la sconfitta subita alle elezioni politiche del 2000. L’anno successivo Milošević fu poi arrestato ed estradato nei Paesi Bassi: da anni era accusato di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità compiuti durante la guerra in Bosnia-Erzegovina.

In Serbia negli ultimi anni l’opposizione a Vučić aveva provato spesso a organizzare proteste anti-governative di massa, ma per varie ragioni nessuna aveva mai attecchito. «Queste proteste sono qualcosa di nuovo e diverso rispetto a quelle degli anni scorsi. Stanno scendendo per strada persone che hanno opinioni politiche varie, e appartengono a generazioni e classi sociali differenti», ha detto a Balkan Insight Robert Kozma, parlamentare di opposizione e leader delle proteste di questi giorni.

La Serbia è un paese che per molti versi si trova in un limbo. Da anni mantiene una politica di equidistanza fra l’Unione Europea, a cui appartengono o aspirano di farlo quasi tutti i paesi della penisola balcanica, e la Russia, con cui la Serbia ha tradizionalmente importanti legami culturali ed economici. A oggi è l’unico paese europeo che non si è unito alle sanzioni contro la Russia decise dall’Unione Europea dopo l’invasione dell’Ucraina.

È uno dei paesi con l’economia più stabile della regione, ma difficilmente potrà aspirare a entrare nell’Unione Europea – e migliorare ulteriormente le proprie condizioni economiche – prima di risolvere le questioni territoriali legate al Kosovo, paese che non ha mai riconosciuto ufficialmente dopo la proclamazione di indipendenza dallo stato serbo.

Da dieci anni la politica serba è dominata da Vučić. Ha 53 anni e un passato da nazionalista radicale: era ministro durante l’amministrazione Milošević. Nel 2014 era diventato primo ministro e dal 2017 è il presidente del paese. Nel 2022 è stato rieletto con ampio margine.

Anche se il presidente in Serbia ha poteri soprattutto formali, in questi anni Vučić grazie al suo ruolo è riuscito a consolidare enormemente il controllo esercitato dal proprio partito sulla politica e sulla società serba. Le tv e i giornali, sia pubblici sia privati, sono pieni di persone vicine a Vučić, che usa una retorica simile a quella di altri governi autoritari dell’Europa orientale sui diritti dei migranti e della comunità LGBT+. L’anno scorso il governo serbo cancellò l’EuroPride, la manifestazione internazionale per i diritti delle persone appartenenti alla comunità LGBT+, citando pressioni da partiti di destra e dalla potentissima Chiesa ortodossa locale. Alcuni membri dell’opposizione accusano inoltre il governo di avere legami con le gang criminali responsabili di violenze, estorsioni e traffici illegali in varie zone del paese.

I manifestanti di queste settimane stanno protestando sia contro il controllo indiretto che Vučić ha imposto ai media, sia più in generale per il clima che si è creato contro chi si oppone al governo e alle sue politiche. «Il governo sparge veleno e paura in tutta la Serbia: il tempo gioca a nostro favore, e a prescindere da quanto ci metteremo, andremo avanti e perseguiremo i nostri obiettivi», ha detto a Reuters sabato scorso un manifestante, l’economista Vladimir Savic.

I manifestanti chiedono in particolare che il governo rimuova le frequenze a due tv private filo-governative, Pink e Happy TV, che garantisca maggiore libertà per i quotidiani di opposizione – secondo alcuni calcoli ne sono rimasti appena due – e che si dimettano sia il capo dell’intelligence sia il ministro dell’Interno per la gestione della violenza e della criminalità, definita poco efficace.

Non è chiaro esattamente quali sviluppi potranno esserci a breve. La prima ministra Ana Brnabić, vicinissima a Vučić e considerata una delle figure più dialoganti del governo, si è offerta di accogliere i manifestanti e ascoltare le loro proposte: ad oggi però i manifestanti hanno rifiutato, chiedendo prima dei passi concreti da parte del governo. Vučić ha fatto intuire che potrebbe indire elezioni anticipate per sperimentare il suo consenso, ma non lo ha ancora confermato ufficialmente.