Quando l’Europa fantasticava sul “prete Gianni”

Per secoli, dal medioevo in poi, un leggendario patriarca a capo di una nazione cristiana orientale alimentò cronache, romanzi e spedizioni

prete gianni
(Diogo Homem/Wikimedia)
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In Baudolino di Umberto Eco, romanzo del 2000 che mette insieme elementi storici e di finzione, al giovane protagonista della storia viene attribuita, tra le altre cose, la scrittura della lettera che rese nota in Europa per un lungo periodo del medioevo la figura leggendaria del prete Gianni. Secondo la tradizione popolare, effettivamente alimentata per secoli dalla diffusione di una lettera in latino risalente al XII secolo e tradotta in diverse lingue, il prete Gianni era un potente patriarca cristiano a capo di un esteso e imprecisato paese orientale. Il suo regno, a volte individuato nell’Etiopia e altre volte in paesi dell’Asia centrale, era raccontato e immaginato come uno dei più ricchi e meravigliosi di tutto l’Oriente, e in battaglia contro i regni musulmani nei territori confinanti.

Sebbene l’identità del personaggio e l’origine del mito non siano chiare, tra il XII e il XVII secolo il prete Gianni fu protagonista di storie e cronache che lo resero un riferimento misterioso, affascinante e molto presente nell’immaginario collettivo europeo sull’Oriente. E fu un caso di leggenda medievale in grado di stimolare non soltanto curiosità e interesse ma anche ricerche e spedizioni, tra cui la prima europea in Etiopia alla fine del Quattrocento, da parte del diplomatico portoghese Pêro da Covilhã. Il successo della leggenda è considerato inoltre un esempio del fascino esercitato nell’Europa del medioevo da una parte molto distante del mondo conosciuto ma idealmente accomunata da un interesse all’affermazione del potere universale della Chiesa e di un modello di governo teocratico cristiano.

Una delle ipotesi più accreditate colloca l’origine della circolazione della leggenda all’inizio del XII secolo, in seguito alla pubblicazione di alcuni rapporti anonimi relativi ai presunti viaggi di un arcivescovo e un patriarca delle Indie a Roma e a Costantinopoli durante il pontificato di papa Callisto II: rapporti in cui si faceva riferimento al regno del prete Gianni. Ma fu lo storico tedesco e vescovo cattolico Ottone di Frisinga a fornire una prima testimonianza scritta della leggenda, nel 1145, un anno dopo aver incontrato a Viterbo in visita dal Papa Eugenio III un emissario di Raimondo di Poitiers, principe di Antiochia, uno dei primi centri del cristianesimo, oggi territorio in parte turco e in parte siriano.

L’emissario del principe Raimondo, inviato a cercare aiuto in Occidente dopo l’assedio di Edessa da parte dell’esercito musulmano, citò il prete Gianni (“Presbyter Iohannes”) come un prezioso alleato già impegnato in precedenti battaglie vinte contro i musulmani. E lo descrisse come un sovrano con uno scettro di smeraldo, discendente dei re magi, pronto a sostenere la Chiesa nelle crociate in Terra Santa.

Una delle vittorie attribuite da Ottone di Frisinga al prete Gianni contro i musulmani, secondo alcune ricostruzioni storiche, potrebbe essere la battaglia di Qatwan, combattuta nel 1141 vicino a Samarcanda, in cui la potente dinastia turca dei Selgiuchidi fu sconfitta dalla dinastia mongola dei Kara Khitay, guidati dal re Yelü Dashi. I Khitay erano buddisti, non cristiani, ma la presenza di un’estesa comunità nestoriana – il movimento cristiano diffuso in Oriente e sorto nel V secolo a Costantinopoli per opera del patriarca Nestorio – potrebbe aver favorito la diffusione della leggenda del prete Gianni. Non avendo familiarità con il buddismo, gli europei potrebbero aver pensato che se il capo dei Khitay non era un musulmano doveva per forza essere cristiano.

La notorietà della leggenda fu straordinariamente accresciuta qualche anno più tardi dalla diffusione in Europa di diverse copie di una misteriosa lettera, probabilmente contraffatta, scritta nel 1165 dal sedicente prete Gianni e indirizzata all’imperatore bizantino Manuele I Comneno. La lettera conteneva una lunga e utopica descrizione del regno del prete Gianni, un ricchissimo territorio delle Indie a cui facevano capo 72 province, che si estendeva attraverso il deserto e fino ai confini del mondo conosciuto. Nei fiumi scorrevano acqua e pietre preziose, e le terre erano abitate da popolazioni mitologiche e favolose come Pigmei, Ciclopi e Satiri, e piene di creature bizzarre e animali di varie specie.

Tradotta in diverse lingue, incluso l’ebraico, la lettera circolò per secoli in Europa sia in versioni manoscritte sia in altre versioni dopo l’invenzione della stampa, senza che l’autenticità venisse mai messa in dubbio (fu discussa soltanto molti secoli dopo, tra i medievalisti). Rifletteva l’immaginazione e la fantasia di cronisti, viaggiatori e persone comuni affascinate dai racconti sull’Oriente, mescolando influenze bibliche e mitologia classica. Ma rifletteva anche l’ambizione di una riunificazione della Chiesa a fronte della minaccia musulmana, dopo lo scisma dell’XI secolo che aveva portato alla separazione tra la Chiesa romana di lingua e rito latino e il Patriarcato di Costantinopoli.

– Leggi anche: Non ci sono più le utopie di una volta

In seguito al successo della lettera la figura del prete Gianni fu oggetto di ipotesi fantasiose e suggestive. Si pensò che fosse un discendente di san Tommaso apostolo, che secondo le tradizioni era andato a predicare il Vangelo nelle Indie. E alcune rovinose sconfitte dei musulmani contro l’Impero mongolo guidato dal condottiero e sovrano Gengis Khan, in un primo momento, furono erroneamente attribuite dai cristiani che vivevano negli Stati crociati a un presunto discendente del prete Gianni (re David).

La leggenda del prete Gianni generò una curiosità estesa e duratura fino all’epoca delle grandi scoperte geografiche del XIV e XV secolo, fornendo un’ulteriore motivazione, per quanto secondaria e laterale, alle molte esplorazioni europee verso i vasti territori dell’Asia centrale. Il fallimento dei tentativi di individuare il regno in quei territori indusse gli esploratori, a partire dal XIV secolo, a concentrare l’attenzione verso l’Africa.

In particolare l’Etiopia, all’epoca conosciuta in Europa come Abissinia, presentava molte caratteristiche del regno descritto dal prete Gianni. Era un impero cristiano fin dalla metà del IV secolo d.C., in seguito alla conversione del re Ezanà da parte del vescovo etiope Frumenzio, uno dei santi più importanti per la Chiesa ortodossa etiope. Rappresentava inoltre un argine al crescente dominio musulmano sul Mar Rosso, ed era ispirato a un modello di governo monarchico teocratico guidato da una figura a metà tra l’imperatore e il patriarca: il negus neghesti (“re dei re”).

mappa africa etiopia prete gianni 1559

Una mappa disegnata nel 1559 circa dal cartografo portoghese Diogo Homem, con un’illustrazione del prete Gianni su un trono in Africa orientale (Wikimedia)

I primi europei a mettersi in contatto con l’Impero etiope e considerare quei sovrani i discendenti del prete Gianni furono i diplomatici e gli esploratori portoghesi, tra cui Pero da Covilhã, il primo a giungere alla corte d’Etiopia nel 1493. L’associazione tra quell’impero e il regno descritto nella lettera fu a un certo punto così convincente e frequente che “prete Gianni” diventò un titolo stesso, utilizzato dai portoghesi per riferirsi al sovrano etiope.

Nella sostanza, come ricostruito dall’influente studioso inglese di storia africana Adrian Hastings, i contatti tra i portoghesi e gli etiopi furono favoriti da reciproci interessi politici ed economici. I primi cercavano, a parte il regno del prete Gianni, soprattutto nuovi potenziali accessi alle rotte commerciali delle Indie. Gli etiopi, da parte loro, vedevano nei viaggiatori europei possibili alleati cristiani contro l’espansione delle potenze musulmane nel continente.

Partito nel 1487 da Santarém in Portogallo, dopo sei anni Pero da Covilhã raggiunse l’Etiopia e conobbe l’imperatore Eskender, che gli attribuì terre, titoli e altre onorificenze, ma non gli permise di ripartire, come prescritto da alcune tradizioni seguite nel regno. Covilhã trascorse lì il resto della sua vita, si sposò e mise su famiglia, e mantenne con il re portoghese Giovanni II una corrispondenza stabile in cui descrisse le ricchezze e le tradizioni dell’Etiopia. A rafforzare ulteriormente le associazioni tra l’impero etiope e il regno del prete Gianni contribuì in seguito anche un resoconto di viaggio redatto da Francisco Álvares, cappellano portoghese giunto in Etiopia nel 1520 e parte di una spedizione attivamente richiesta da un emissario etiope in Portogallo.

La leggenda del prete Gianni è citata anche nel Milione di Marco Polo, riguardo alle difficoltà nel trovare il regno del prete.

Man mano che i viaggiatori europei si allontanavano dall’Occidente, il Prete Gianni recedeva verso lontananze sempre più mitiche: dagli Urali alla Persia e all’India, dalla Mongolia alla Cina, all’Indocina e alla Manciuria. Ciò che restava fissa era la strabiliante ricchezza del Prete e la sua volontà di accostarsi alla dottrina di Roma. […] Poi, quando l’Asia sembrò non offrire nuovi appigli alle speranze di trovarvi un potente correligionario disposto a trasformarsi in valido alleato, fu la volta dell’Africa: l’Egitto prima, la Nubia dopo, infine l’Etiopia.

Sebbene l’Etiopia sia stata indicata per molti anni come il luogo di origine della leggenda del prete Gianni, la maggior parte degli studiosi moderni ritiene che, come successo per altre ipotesi che nel corso dei secoli avevano collocato il regno in Asia centrale, la leggenda sia stata in realtà introdotta nel continente dagli europei e adattata a posteriori dai viaggiatori stessi. Quando nel 1751 il missionario francescano ceco Remedius Prutky chiese del titolo di prete Gianni all’imperatore etiope Iyasu II, l’imperatore si mostrò stupito e disse che «i re d’Abissinia non erano mai stati abituati a chiamarsi con questo nome».