È sbagliato dare a una nuova specie il nome di una persona?

È una prassi secolare ma inopportuna, secondo alcuni, a prescindere da chi sia la persona: uno scienziato, Hitler o Taylor Swift

taylor swift millepiedi
(AP Photo/Seth Wenig) (Wikimedia)
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Nell’aprile del 2022 l’entomologo statunitense Derek Hennen descrisse in un articolo scientifico pubblicato insieme a due suoi colleghi 17 nuove specie di millepiedi del genere Nannaria (detti anche millepiedi dagli artigli ritorti) scoperte nella catena montuosa degli Appalachi, nella parte orientale dell’America del Nord. Nel dare un nome a due nuove specie da lui scoperte Hennen si ispirò al nome di sua moglie Marian per una delle due (Nannaria marianae) e a quello della cantautrice Taylor Swift, di cui è un grande fan, per l’altra specie (Nannaria swiftae).

Per quanto stravagante possa sembrare in alcuni casi, la prassi di utilizzare il nome di una persona per decidere la definizione scientifica di un organismo vivente è abbastanza comune. Si stima che circa il 20 per cento di tutti i nomi in uso per le specie animali siano eponimi, cioè nomi dati in onore di una o più persone specifiche. Taylor Swift è soltanto una delle migliaia di persone famose da cui sia stato tratto il nome di una specie, di cui esiste peraltro una raccolta su Wikipedia talmente ampia da essere suddivisa per periodi storici.

A marzo, riprendendo una discussione in corso già da tempo, un gruppo internazionale di ricercatori e ricercatrici dell’Università di Porto (UP), in Portogallo, e di altre sei università in diversi paesi del mondo ha pubblicato su una rivista del gruppo Nature un articolo in cui propone di rimuovere gli eponimi dalle modalità di attribuzione dei nomi alle nuove specie. La critica condivide qualche principio con quella che all’interno del movimento “Black Lives Matter” portò nel 2020 all’abbattimento di alcuni monumenti dedicati a personaggi del passato coloniale e razzista dei paesi occidentali. Ma si basa principalmente su considerazioni più ampie e generali.

L’idea alla base dell’articolo, intitolato Non c’è più posto per gli eponimi nella nomenclatura biologica del XXI secolo, è che questa prassi sia «ingiustificabile» a prescindere da chi sia la persona a cui la nuova specie viene dedicata, perché riflette un approccio riduttivo e intrinsecamente colonialista. «La biodiversità della Terra fa parte di un patrimonio globale che non dovrebbe essere banalizzato dall’associazione con un singolo individuo umano, qualunque sia il suo valore percepito», affermano gli autori e le autrici dell’articolo, aggiungendo che l’eliminazione di questa prassi comporterebbe diversi benefici sia per la conservazione delle specie che per la società.

Altri studiosi, pur condividendo in parte questo punto di vista, sostengono che l’utilizzo degli eponimi possa essere – e di fatto è, in molti casi – un giusto riconoscimento ai ricercatori che più si sono occupati dello studio di una determinata specie e meritano di essere ricordati. Suggeriscono quindi una riforma della tassonomia degli organismi viventi che, anziché eliminare la possibilità degli eponimi, includa piuttosto un processo di valutazione preliminare dell’adeguatezza delle proposte da parte della comunità scientifica. Tale processo potrebbe tuttavia comportare di volta in volta una serie di rallentamenti e complicazioni, obiettano altri studiosi ancora, e in generale richiederebbe una valutazione “politica” che non rientra nei compiti degli scienziati.

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Avere nomi scientifici stabili e universalmente accettati è una condizione fondamentale per una condivisione e una comunicazione dei dati chiara e inequivocabile nelle scienze moderne. L’attuale classificazione tassonomica degli organismi deriva da un metodo introdotto nel XVIII secolo dall’influente naturalista e accademico svedese Carlo Linneo, basato sulle somiglianze tra gli esseri viventi. Linneo codificò una nomenclatura binomiale, in base alla quale ciascuna specie è definita dalla combinazione di due nomi: il genere a cui appartiene la specie (Nannaria, per esempio) seguito da un epiteto per distinguere quella specie dalle altre appartenenti allo stesso genere (swiftae da marianae, per esempio).

Nel caso di moltissime specie gli epiteti sono eponimi risalenti a quel primo periodo in cui naturalisti e collezionisti classificarono migliaia di nuove specie utilizzando la nomenclatura binomiale. E queste attività rientrarono il più delle volte in più ampi programmi di colonizzazione delle potenze europee nel corso del XVIII, XIX e XX secolo. Il risultato è che nella lista degli eponimi esiste una sproporzione nettissima verso quelli derivati da nomi di comandanti, conquistatori, collezionisti e studiosi che, nel caso dell’avifauna degli Stati Uniti, per esempio, trasformarono il continente in un insieme di omaggi alla conquista e alla colonizzazione, ha scritto recentemente sull’Atlantic il giornalista scientifico Ed Yong, riassumendo la discussione in corso.

Negli ultimi anni, all’interno di un processo più ampio di rivalutazione degli effetti del colonialismo e del razzismo sistemico sulle istituzioni pubbliche, anche la scelta degli eponimi di alcune specie è stata oggetto di contestazioni. Nel 2018 gli ornitologi Robert Driver e Alexander Bond proposero all’American Ornithological Society, la principale organizzazione statunitense di ornitologia, di cambiare il nome di una specie di uccello passeriforme, lo zigolo di McCown (Rhynchophanes mccownii), ma la loro proposta fu respinta. Questa specie prende il nome da un naturalista dilettante e ufficiale dell’esercito, John P. McCown, che nel 1851 sparò a uno stormo di allodole e colpì anche un esemplare di passeriforme mai classificato prima di allora.

A parte l’idea contestabile di nominare una specie dopo che il primo europeo ne raccolse un esemplare «quando indubbiamente i popoli indigeni conoscevano quella specie da millenni», scrissero Driver e Bond, McCown fu un comandante in capo dell’esercito degli Stati confederati impegnato durante la Guerra civile nella battaglia per la conservazione della schiavitù. Condusse missioni contro diverse tribù indigene lungo il confine canadese, tra il 1840 e il 1841, e contro la popolazione dei Seminole in Florida, tra il 1856 e il 1857.

Descrivendo le ragioni del rifiuto della proposta, i membri di un comitato dell’American Ornithological Society obiettarono che «giudicare le figure storiche in base agli attuali standard morali è problematico». E si dissero preoccupati riguardo a quali potrebbero essere i criteri su «dove tracciare la linea per questo tipo di cambiamento», sostenendo che chi si occupa di tassonomia e nomenclatura dovrebbe piuttosto «lottare per la stabilità nei nomi», a meno che non ci siano motivi straordinariamente convincenti per cambiarli.

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L’orientamento dell’organizzazione cambiò nel 2020, dopo l’uccisione di George Floyd e i successivi movimenti di protesta, che coinvolsero anche il mondo dell’ornitologia nel dibattito sulle discriminazioni razziali in corso in tutto il paese. Molti naturalisti, osservatori e appassionati sostennero che fosse necessario cambiare gli eponimi problematici (sono eponimi i nomi di circa 150 specie di uccelli del Nord America). Due ornitologi, Jordan Rutter e Gabriel Foley, avviarono a giugno del 2020 la campagna Bird Names for Birds, con l’obiettivo di rinominare tutti gli uccelli americani il cui nome fosse un eponimo.

A luglio l’American Ornithological Society riconsiderò la proposta di Driver e Bond a causa «dell’accresciuta consapevolezza sulle questioni razziali», e ad agosto il nome comune dello zigolo di McCown fu cambiato in zigolo dal becco grosso. Gruppi di studiosi motivati da questi stessi sentimenti chiesero e ottennero anche in Europa una modifica dei nomi comuni di altri animali, tra cui una specie di falena (Lymantria dispar dispar) il cui nome comune gypsy moth, “falena zingara”, fu modificato in spongy moth, “falena spugnosa”.

Tra le istituzioni scientifiche responsabili dell’approvazione dei nomi delle nuove specie esistono posizioni generalmente meno inclini all’introduzione di cambiamenti. Secondo il ricercatore portoghese Luis Ceríaco, membro della Commissione internazionale di nomenclatura zoologica (International Commission on Zoological Nomenclature, ICZN), un gruppo di 26 scienziati che fornisce le linee guida per la denominazione degli organismi viventi, l’obiettivo della nomenclatura deve essere garantire l’uniformità in diversi campi di ricerca. Le regole, ha detto Ceríaco alla rivista Undark, dovrebbero «consentire alle persone di sapere davvero di cosa stanno parlando quando si riferiscono alle specie».

Per questo motivo la tendenza dell’ICZN, così come quella della International Association for Plant Taxonomy, l’organizzazione internazionale che si occupa di tassonomia e nomenclatura nella botanica, è di dare priorità ai nomi che esistono da più tempo e modificarli soltanto per motivi scientifici. I nomi possono cambiare perché una specie viene riclassificata o suddivisa in diverse nuove specie, per esempio, o quando gli scienziati scoprono un nome alternativo che era stato assegnato in precedenza e poi dimenticato. Le proposte di modificare i nomi delle specie per ragioni sociali o politiche sono invece controverse: criticate da alcuni e sostenute da altri.

Ceríaco è uno dei commissari dell’ICZN autori di un articolo pubblicato a febbraio scorso sulla rivista Zoological Journal of the Linnean Society e contrario alla ridenominazione delle specie per motivi etici da parte dell’ICZN. Decidere quali eponimi debbano essere modificati perché percepiti come offensivi, secondo Ceríaco e gli altri, non è un compito della commissione. «A causa della natura intrinsecamente soggettiva di queste valutazioni, sarebbe inopportuno per la commissione esprimere giudizi su tali questioni di moralità, perché non esistono parametri specifici per determinare le soglie di offensività di un nome scientifico per una determinata comunità o individuo, nel presente o nel futuro».

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Un esempio citato spesso tra i più problematici è quello di una rara specie di coleottero cieco, l’Anophthalmus hitleri, presente soltanto in alcune grotte in Slovenia. A scegliere il nome di questo coleottero fu un naturalista austriaco, Oskar Scheibel, che lo scoprì nel 1933 e decise di dedicarlo al neocancelliere tedesco Adolf Hitler, che apprezzò la scelta e scrisse a Scheibel per ringraziarlo. A causa di questo particolare eponimo, al di là delle considerazioni di tipo etico, gli esemplari di questo coleottero sono diventati nel corso del tempo un obiettivo di molti collezionisti di cimeli nazisti, e questa specie è attualmente considerata a rischio di estinzione.

Nemmeno il caso dell’Anophthalmus hitleri è stato ritenuto dall’ICZN un esempio di ragioni appropriate per cambiare il nome di una specie, nonostante le numerose richieste. «Siamo assolutamente fermi nel non regolamentare sulla base dell’etica, non è il nostro mandato», ha spiegato all’Atlantic il presidente della commissione Thomas Pape.

In un numero del 2010 della rivista American Entomologist l’importante entomologa statunitense May Berenbaum scrisse che la logica nel preservare “hitleri” è che il nome di per sé non è offensivo. «Francamente, però, un nome scientifico che condanni una specie all’estinzione per mano di fanatici collezionisti di cimeli fascisti provoca un’offesa considerevole, almeno per me», aggiunse Berenbaum, suggerendo che il coleottero «meriterebbe di essere liberato dalla sua sfortunata storia etimologica».

Un esempio problematico citato in botanica riguarda l’estesa e da alcuni criticata diffusione della radice linguistica “rhodes-” nella nomenclatura delle piante, in onore dell’imprenditore e politico inglese Cecil John Rhodes, a cui fu intitolata l’intera colonia britannica della Rhodesia (che occupava il territorio dello stato oggi chiamato Zimbabwe). Arrivato in Sudafrica alla fine del XIX secolo, Rhodes ebbe un ruolo rilevantissimo nell’evoluzione storica dell’Africa coloniale e nell’ispirazione delle politiche segregazioniste. Nel 2015, a fronte delle proteste di centinaia di studenti, la statua di Rhodes posta davanti all’università sudafricana di Città del Capo venne rimossa su richiesta del consiglio dell’università.

Le richieste di modificare la nomenclatura hanno tuttavia portato alcuni tassonomisti a sostenere che l’introduzione di valutazioni politiche nella tassonomia aprirebbe una serie di questioni spinose. In un articolo pubblicato nel 2022 il botanico ucraino Sergei Mosyakin si è chiesto quali dovrebbero essere le linee di demarcazione utili per gli scienziati per distinguere gli epiteti buoni da quelli cattivi. «Dovremmo sbarazzarci dei nomi scientifici delle piante associate alla regina Vittoria, che governò il più grande impero coloniale del XIX secolo?», si è chiesto Mosyakin. In questo caso servirebbe trovare nuovi nomi, «politicamente neutri», sia a tutto un genere di piante acquatiche dedicato alla regina Vittoria, il genere Victoria, che a numerose specie tra cui l’Agave victoriae-reginae e il Dendrobium victoriae-reginae. E un discorso simile vale anche per George Washington e Thomas Jefferson.

Esiste un codice etico fornito dall’ICZN in base al quale nessuno scienziato dovrebbe consapevolmente scegliere un nome offensivo per una nuova specie, ha detto Ceríaco a Undark. Ma la commissione è comunque molto attenta a lasciare alle persone una certa libertà nella scelta dei nomi, ragione per cui anche quelli che potrebbe infrangere il codice etico tendenzialmente non vengono modificati.

«Raccomandiamo vivamente alle persone di essere sicure che ciò che sceglieranno non offenderà nessuno», ha detto Ceríaco, sostenendo che scegliere in alternativa di giudicare quali nomi siano accettabili e quali no scoperchierebbe «un vaso di Pandora». Sottoporre la scelta dei nomi a una valutazione collettiva di questo tipo, secondo Ceríaco, influenzerebbe significativamente il lavoro dei ricercatori in tutto il mondo, che dipende da un quadro tassonomico stabile. E cambiare i nomi finirebbe probabilmente per provocare più complicazioni che mantenerli.

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Consapevoli del fatto che cambiare tutti gli eponimi problematici già in uso da secoli sarebbe impraticabile, gli autori e le autrici dell’articolo pubblicato a marzo su Nature Ecology and Evolution sostengono che l’ICZN potrebbe rafforzare le regole del codice per limitare al massimo l’utilizzo degli eponimi in futuro. E potrebbe incaricare i tassonomisti delle regioni native delle varie specie di rinominare le proposte che giungono alla commissione.

Il problema della prassi degli eponimi, secondo il gruppo, è che è indissolubilmente legata alla storia coloniale della scienza: ragione per cui molte specie finirono per prendere il nome da europei bianchi, maschi e di classe elevata. In Africa 1.565 specie di uccelli, rettili, anfibi e mammiferi (ossia un quarto dei vertebrati endemici) sono eponimi, osservano gli autori e le autrici dello studio, e «i ricercatori delle ex colonie potrebbero sentirsi giustamente a disagio, risentiti o addirittura arrabbiati per i continui richiami ai regimi imperiali e/o politici che si riflettono nei nomi delle specie autoctone ed endemiche».

Finché gli organismi prenderanno il nome da persone, secondo la ricercatrice portoghese Patrícia Guedes, coautrice dell’articolo, queste discussioni continueranno. «Sono sicura che esistono altri modi di onorare le persone che hanno contribuito alla scienza, diversi dall’attribuire il loro nome a un altro essere vivente», ha detto Guedes.

Secondo altri studiosi, la prassi di attribuire degli eponimi alle nuove specie può però avere anche risvolti positivi. Scegliere personaggi famosi può coinvolgere la comunità e attirare l’attenzione verso scoperte e ricerche che potrebbero passare altrimenti inosservate, come per esempio quella di una specie di vipera che prende il nome da James Hetfield dei Metallica (Atheris hetfieldi) o quella di un serpente non velenoso che prende il nome da Leonardo DiCaprio (Sibon irmelindicaprioae).

Inoltre, come del resto sostenuto anche dagli autori e dalle autrici dell’articolo uscito a marzo, gli eponimi danno ai ricercatori la possibilità di scegliere come nome da dare a una nuova specie quello di scienziati dei paesi in cui quelle specie vengono scoperte, come per esempio un geco endemico in Angola (Pachydactylus maiatoi) che prende il nome dal biologo angolano Francisco Maiato Gonçalves.