Non ci sono più i cattivi Disney di una volta

Il semplice conflitto tra “bene” e “male” è sempre meno centrale nelle storie, che sono diventate più complesse e sfaccettate

(Disney)
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A fine maggio è uscito al cinema La Sirenetta, remake in live action (quindi con attori in carne e ossa, insieme alla grafica digitale) del classico film d’animazione Disney del 1989, che a sua volta è basato molto liberamente sull’omonima fiaba di Hans Christian Andersen. Il film è stato molto discusso sia molto prima della sua uscita per la scelta di un’attrice nera, Halle Bailey, nel ruolo della protagonista Ariel, sia da chi l’ha visto: la critica più comune è che la storia, semplicemente, non si presti a essere raccontata altrettanto bene in un’ambientazione realistica in cui i pesci parlanti assomigliano a veri pesci e l’oceano è buio e un po’ triste, invece che coloratissimo come nel cartone animato. Il film ha piuttosto suscitato in molti spettatori una certa nostalgia nei confronti dell’originale, che è uno dei più amati del catalogo Disney, memorabile tra le altre cose anche per l’antagonista: Ursula, gigantesca strega metà donna e metà polpo e acerrima nemica del padre di Ariel, Tritone.

Ursula rientra a pieno titolo in una categoria di personaggi su cui la Disney ha investito moltissimo per decenni: quella del “cattivo Disney”, che è sempre un individuo eccentrico, dall’estetica molto distinta e riconoscibile rispetto al resto dei personaggi, apparentemente cattivo ed egoista per il gusto di esserlo, spesso introdotto da una canzone molto orecchiabile in cui racconta i propri piani di vendetta o conquista del mondo. Il ritorno sugli schermi di Ursula ha quindi portato molti spettatori a notare come, nell’ultimo decennio, la Disney abbia investito soltanto su film d’animazione che non contengono più “cattivi” veri e propri, preferendo delle storie che partono da conflitti interpersonali e differenze valoriali tra i personaggi.

Per decenni, il “cattivo” è stato un caposaldo delle storie raccontate nei film Disney. Nel primissimo cartone animato dello studio d’animazione – Biancaneve, del 1937 – era la Regina Cattiva, che vuole avvelenare Biancaneve soltanto perché secondo uno specchio parlante è più bella di lei, ma nel tempo ci sono stati Capitan Uncino (il cattivo di Peter Pan) e Malefica (La Bella Addormentata), Jafar (Aladdin) e Scar (Il Re Leone), Crudelia De Mon (La carica dei 101) e Ade (Hercules), Shere Khan (Il libro della Giungla) e Frollo (Il Gobbo di Notre Dame).

Il loro scopo è quello di indirizzare la trama del film in una specifica direzione, favorendo lo sviluppo del personaggio principale. Non è importante sapere come mai Crudelia voglia farsi un cappottino con decine di cuccioli di Dalmata: è lì per raffigurare una figura tangibile da sconfiggere per poter vedere il bene trionfare sul male, nonché per mostrare, di contrasto, le qualità dei protagonisti.

«Da quando sono usciti i film di Frozen [rispettivamente nel 2013 e nel 2019, ndr] la Disney sta attraversando un periodo un po’ sperimentale, e si occupa di storie e narrazioni che non si esauriscono nel tradizionale schema che contrappone il bene e il male», ha spiegato però il critico Zach Gass. Nel primo film della saga di Frozen, Il regno di ghiaccio, c’è un personaggio cattivo – il principe Hans, intenzionato a sposare la principessa Anna soltanto per diventare re di Arendelle – ma non c’è “un cattivo”: al centro del film c’è la necessità che la protagonista, Elsa, accetti sé stessa e si lasci avvicinare dalla sorella Anna e da altre persone che potrebbero volerle bene.

Lo stesso si può dire del secondo film di Frozen, Il segreto di Arendelle, che è se possibile ancora più astratto: lì il nodo da sciogliere è l’eredità controversa lasciata dal nonno di Elsa e Anna, Runerd, che aveva volontariamente distrutto la situazione di equilibrio con gli elementi naturali in cui viveva una popolazione confinante per paura che questa potesse prendere il controllo del suo regno. «Se in Frozen 2 c’è un cattivo, è l’imperialismo», ha scritto su Vox il giornalista Tom Smyth. «Vediamo la tensione e l’effetto che le azioni imperialistiche compiute dal regno di Arendelle in passato hanno sul presente, ma non c’è nessuna persona a cui si possa davvero addossare la colpa, dal momento che il nonno di Anna ed Elsa è morto».

Scandagliando i vari film d’animazione prodotti dai Walt Disney Studios – talvolta in co-produzione con Pixar, altro studio appartenente alla Walt Disney Company che ha però mantenuto una netta individualità negli anni – Smyth mostra come tutti abbiano abbandonato il semplice conflitto tra “bene assoluto” e “male assoluto” per raccontare storie più complesse, meno scontate ma talvolta anche meno immediate.

In Luca, film del 2021 co-prodotto da Pixar e Disney e ambientato in una città di fantasia molto simile ai paesini delle Cinque Terre, ci sono sicuramente degli antagonisti, come il bulletto Ercole o, in una certa misura, anche il padre di Giulia, Massimo. Ma «il conflitto dominante nella storia ruota attorno alla xenofobia: quella del paese di Portorosso contro la popolazione di tritoni, e quella dei genitori di Luca contro il mondo esterno. E la xenofobia non si risolve soltanto battendo Ercole, “sconfiggendo” il tipo cattivo di turno», scrive Smyth. «La vera risoluzione sta nel fatto che le persone discriminate imparano a trovare sostegno dagli altri e orgoglio in sé stesse, rendendo il conflitto molto più interiore che esteriore».

Un esempio ancora più plateale è Encanto, film d’animazione del 2021 che ha anche vinto l’Oscar e il Golden Globe nella propria categoria. Il film racconta la storia di una famiglia colombiana, i Madrigal, guidata da una matriarca i cui figli e nipoti ricevono doni magici che li aiutano a servire una comunità rurale chiamata Encanto. Una delle nipoti, Mirabel, è però apparentemente priva di un dono magico: nel cercare di scoprire cosa le sta succedendo, Mirabel si rende conto che tutti i membri della famiglia stanno perdendo i propri poteri e la loro casa incantata sta cadendo a pezzi. Né la casa né la famiglia sono però minacciati da un “cattivo” in senso stretto: a rovinare l’armonia sono piuttosto le aspettative della matriarca, Abuela Alma, che convive da anni con il trauma della perdita del marito e si è a lungo preoccupata esclusivamente del fatto che i figli e i nipoti si distinguessero solo per i loro doni magici, senza rendersi conto di aver alienato così diversi membri della famiglia.

«La sua influenza sulla famiglia e il conseguente crollo della casa non derivano dalla cattiveria di Abuela, ma piuttosto da quanto sia accecata da quello che crede essere il modo corretto di fare le cose», scrive Smyth. «Abuela ha involontariamente allontanato “le imperfezioni” della famiglia, come Bruno e Mirabel. Sebbene ciò non la assolva dalle sue colpe, rende estremamente difficile etichettarla banalmente come “cattiva”. Il conflitto in Encanto si risolve attraverso la comunicazione, il che mostra un serio allontanamento dall’approccio tipico della Disney, resistendo a qualsiasi impulso di puntare il dito e chiamare “malvagio” qualcuno. Le persone sbagliano, ovviamente. Ma Encanto mostra che con il supporto e la comunicazione adeguati, tutti possono imparare a vedere i propri errori e a migliorare».

«Questo allontanamento dal personaggio che incarna intere “ideologie cattive” per consentire a tutti i personaggi di essere più umani e bilanciati ha portato ad alcuni dei film Disney più ricchi di sfumature della sua storia», ha scritto la critica Emily Kavanagh sul sito dedicato alla cultura pop Collider. Il nuovo approccio incoraggia piuttosto il pubblico a provare empatia nei confronti dei vari personaggi: «mostra che i problemi non sono tutti in bianco e nero, e che di solito non possono essere risolti rimuovendo una singola persona cattiva da una situazione. Che dev’esserci uno sforzo comune basato in larga parte sulla comunicazione. Che le persone non sono cattive solo per il gusto di essere cattive: ci sono motivazioni dietro le loro azioni, anche se sono dannose».

La causa di questo allontanamento della Disney dalla narrazione classica e manichea che contrappone chiaramente buoni e cattivi è difficile da identificare, ma si inserisce all’interno di un più ampio tentativo della Disney di “modernizzare” le proprie storie. Secondo Smyth, parte di questa evoluzione si può spiegare con l’avvicinamento tra Disney e Pixar dopo l’acquisto della seconda da parte della prima nel 2006. Fin da Toy Story, uscito nel 1995, Pixar ci ha tenuto a raccontare storie meno convenzionali rispetto a quelle della Disney, ottenendo grosse soddisfazioni in termini di accoglienza critica e di passione da parte del pubblico: «il successo dei film della Pixar probabilmente ha dato ai cineasti il ​​permesso di uscire dal tracciato e ripensare a ciò che un film d’animazione Disney avrebbe potuto essere», scrive Smyth. «Questo nuovo e più ampio percorso, che ha portato la Disney a film acclamati come Oceania ed Encanto, si è rivelato un successo commerciale e di critica e ha portato a storie rivoluzionarie raccontate in modi nuovi ed entusiasmanti. E a volte questo vuol dire mettere da parte i cattivi».

Secondo Molly Edwards di GamesRadar+, che ha analizzato lo stesso tema, in molti casi la mancanza di un cattivo vero e proprio va di pari passo con la volontà di raccontare storie non eurocentriche, radicate profondamente in culture specifiche finora poco rappresentate nei prodotti d’animazione di massa, come la Colombia di Encanto, il Messico di Coco o la comunità sino-canadese di Red, altro cartone animato che parla, in fin dei conti, di traumi intergenerazionali.

All’uscita di Red, Emily St. James su Vox si era domandata come mai così tanti film contemporanei, d’animazione o meno, decidano di trattare storie simili: la sua ipotesi era che «molti millennial [che scrivono e producono film] sono cresciuti e hanno figli propri, e quando cominci ad avere figli è naturale pensare al modo in cui i tuoi genitori ti hanno cresciuto. In un’epoca in cui Internet e la cultura pop hanno ampiamente alimentato la discussione sulla natura e il peso dei traumi intergenerazionali, è molto più facile di una volta esaminare la propria storia familiare e vedere come i propri genitori sono stati influenzati dai loro genitori e così via».

– Leggi anche: “Coco”, i bambini e la morte

Questo non vuol dire che i cattivi non servano a niente: spesso, anche nei classici film Disney, la loro presenza aveva lo scopo di portare il protagonista a compiere un viaggio interiore, a crescere e a capire meglio sé stesso. La Sirenetta, scrive Smyth, è un ottimo esempio: «proprio come Oceania o Frozen, il film parla di un personaggio che fatica a trovare un equilibrio tra l’amore per la famiglia e il desiderio di lasciarla alle spalle per cercare qualcosa di più. Ursula serve a facilitare il viaggio interiore di Ariel e a rappresentarlo in modo più lineare».