I sette tassisti di Roma

«Al momento di comporre il numero del centralino si spalancano le porte dell’Ade. L’ultima volta che ho avuto l’incoscienza di farlo ho aspettato diciassette minuti e ventidue secondi. Una volta arrivato il taxi, il conducente si è sganasciato dalle risate: “Ma no, signo’, ancora cor centralino? Ormai deve chiama’ er tacsi co’ la appe, sennò ce se fa vecchia”. “La appe?” “La appe, la appe. Cor cellulare”».

Manifestazione dei tassisti a Montecitorio, 21 febbraio 2017, Roma (Vincenzo Livieri - LaPresse)
Manifestazione dei tassisti a Montecitorio, 21 febbraio 2017, Roma (Vincenzo Livieri - LaPresse)
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Di tutte le categorie professionali controverse, quella dei tassisti romani è la più interessante dal punto di vista et(n)ico e tassonomico. Il mestiere dell’uomo che ti porta dove devi andare in cambio di qualcosa è trasversale alle epoche e alle città, ma a Roma ha spesso assunto i contorni di una filosofia grottesca e – a tratti – feroce. Quando ogni altra soluzione è preclusa, quando pur di sfuggire alla metropolitana e alle sue sette maledizioni si è perfino disposti a prendere un taxi a Roma (esistono diverse compagnie) al momento di comporre il numero del centralino si spalancano le porte dell’Ade. L’ultima volta che ho avuto l’incoscienza di farlo, ho aspettato diciassette minuti e ventidue secondi. Una volta arrivato, il tassista si è sganasciato dalle risate: «Ma no, signo’, ancora cor centralino? Ormai deve chiama’ er tacsi co’ la appe, sennò ce se fa vecchia».
«La appe
«La appe, la appe. Cor cellulare».
Un ottimo suggerimento che mi ha restituito fiducia e speranza nei confronti di queste creature metà umane e metà tassametro, quasi tutte devote al dio del calcio. Ciò detto, una volta varcata la soglia dell’abitacolo, tutto torna surreale. Non esiste appe in grado di modificare la struttura ontologica del tassista romano. A parte i conducenti gentili, valenti, onesti – ormai la maggioranza – esistono sette tipologie di professionisti che resistono e guidano per noi, fino alla fine della corsa. E sì, corsa è, in questo caso, una grande metafora della vita.

1) Il non credente
Di qualsiasi cosa si parli, il non credente non ci crede. «È rosso». «Macché rosso, nun ce credo». «Guardi che il Muro Torto è tutto bloccato, faccia una strada alternativa». «Macché bloccato, nun ce credo». «Piove». «Macché piove, nun ce credo». In linea di massima, il non credente ha sempre la spiegazione giusta, quella a cui nessuno di noi, poveri mortali, ha mai pensato. Il non credente non ha passioni: non crede alla musica, non crede al calcio, non crede allo sport, non crede ai libri e non crede al cinema. Di contro, questo scetticismo pànico va a braccetto con l’onniscienza, perché il non credente sa tutto: sa che la politica è un complotto ordito dai poteriforti, sa che i mezzi di informazione canonici non sono attendibili, sa che è in atto un lavaggio del cervello di massa, sa che le persone sono cattive, prevaricatrici e sa che tutti pensano solo al proprio orticello. Poi finisce la corsa, tu chiedi di pagare col POS e lui dice: «Ancora co’ ’sto POS! Qui dovemo campa’ tutti, però. No, non me funziona. È rotto. Se vòle l’accompagno a un bancomat». Senza bloccare il tassametro. Da non crederci.

2) Il New Age
Il tassista-filosofo vive e lotta con noi. È una mutazione recente, probabilmente dovuta alle frustrazioni accumulate nel traffico cittadino. Sia come sia, il New Age scorge un messaggio nascosto in tutto, sorride, è ciarliero, ti dà dritte favolose sulla vita e sul lavoro. «Io so’ gentile co’ tutti. I colleghi me dicono che me va sempre tutto bene, ma è perché quando uno sorride s’attira le cose belle». «Giusto». Le cose belle sarebbero corse lunghe, mance sostanziose, clienti generosi. Il New Age guarda il Ponte Spizzichino e vede il futuro. Non esiste niente di negativo, per il New Age: c’è un ingorgo sulla Nomentana? E che sarà mai, si vede che era destino. Intanto chiacchieriamo, no? Ti licenziano? Si vede che non era il lavoro giusto per te. Ti consiglia tanti bei libri sulla fortuna di essere sfigati. Il New Age ti trita il cervello e ci fa il pane perché lui – al contrario del non credente – crede a tutto, in particolare a quello che non si vede. Ma quando finisce la corsa e tu chiedi di pagare col POS, lui dice: «Io ai soldi che nun se vedono nun ce credo».

3) Il Padre di Famiglia
Per il padre di famiglia guidare il taxi è un sacrificio necessario, ma non ci mette il cuore. La sua non è una vocazione: le ore passate nel traffico sono solo tempo sottratto ai figli. Il Padre di Famiglia disprezza gli altri colleghi, si sente diverso, vuole distinguersi. E di solito si distingue descrivendo la sua giornata-tipo e i suoi problemi al passeggero (talvolta, il Padre di Famiglia ha dei tratti in comune con il Non Credente), che subisce tutte quelle informazioni con un incredulo sorriso di circostanza, tentando in modo maldestro di confortare il suo simile. La corsa è spesso inframmezzata da telefonate in vivavoce con madre/moglie/figli, informazioni su chi deve andare a fare questo o quell’altro. La chiamata si conclude invariabilmente con imprecazioni più o meno colorite, ma sempre molto precise. Non importa quanto il passeggero sia solidale con le traversie del tassista: alla fine della corsa, quando il tapino chiederà di pagare con il POS, la risposta sarà: «A Signo’, ’o sa perché se dice POS? Perché quando il cliente te lo chiede, je devi risponde solo “te POSsino”».

4) L’Affarista
La tipologia del tassista-affarista vive perennemente al telefono. Talvolta ha la decenza di ricorrere agli auricolari, ma succede anche che decida di sbrigare le sue compravendite in vivavoce. Spesso le trattative vertono sulle macchine – usate, nuove, in comodato d’uso – da rivendere. Spesso, il passeggero lo trova al telefono. «Signo’ che je dà fastidio si finisco sta telefonata?». «Ma si figuri, faccia pure». E così, il passeggero viene a sapere che il tassista è l’unico al mondo in possesso di un bionico esemplare di SUV Tesla e che lo rivende ar mejo amico suo per la modica cifra di cinquemila euro trattabili. Avrebbe anche un cellulare ricondizionato da proporre, nel caso in cui l’interlocutore fosse così pezzente da non potersi permettere il SUV. La corsa scivola via così, tra televisori a centodieci pollici intonsi e pc siderali presi direttamente dalla fabbrica, rivenduti al prezzo di due banane mature. Quando, giunto al termine di questo viaggio nell’alta finanza, il cliente chiederà di pagare col POS, la risposta sarà: «Scusi ma er POS nòvo ’o devo ritira’ domani da ’n collega, ho fatto n’affarone, anzi, se je dovesse servi’…».

5) Il Rimorchione Ossessivo-Compulsivo
Quando non impone alla passeggera una stazione radio a un volume che supera l’umana soglia del dolore – per esempio: radioamoreecorna 118.0, dolcecomeilmiele 69.9. per agevolare l’aggancio –, il Rimorchione Ossessivo-Compulsivo dardeggia sguardi lascivi alla sua preda dallo specchietto retrovisore. A volte la povera ignara apprezza la gentilezza e ricambia con un sorriso di circostanza. Convinto di aver fatto colpo, il Rimorchione insiste con i suoi assi nella manica: «Ma sa che lei è proprio una bella donna?». «Eh, sarebbe bello proseguire questa corsa al mare…» (sospirando). «MA DAVVERO HA CINQUANT’ANNI? GUARDI… anzi scusa, ti posso dare del tu?». Tutte tecniche ben rodate, da raffinato dongiovanni, che non hanno mai dato – e continuano a non dare – alcun risultato. Ma il Rimorchione, indefesso, insiste: «Certo, era proprio destino che salivi sur taxi mio, ve’?» – ovviamente passando al tu con un triplo salto mortale carpiato. A quel punto gioca la carta più struggente ed efficace, con tutta la delicatezza che il suo ruolo gli impone: «CHE ME DAI ER CELLULARE TUO?». Così, fino alla fine della corsa. Chemedaiercellularetuo, chemedaiercellularetuo.  Il Rimorchione non accetta un no – e nemmeno il silenzio – come risposta. Quando si arriva a destinazione, esala l’ultimo sospiro del cuore infranto: «Che peccato che mo finisce tutto…».  A quel punto, chiedergli di poter pagare col POS espone la passeggera a un ricatto: «SI ME DAI ER CELLULARE TUO, TIRO FORI ER POS». Radio gattinamia 84.3 fa da colonna sonora a questo dubbio amletico.

6) Il Razzista
Questa è la categoria più trasversale. Il tassista-razzista arriva dal cielo alla terra per mettere alla prova la resistenza di quasi tutti i passeggeri. Il tassista-razzista ha qualche tratto in comune con il Non Credente, con il Padre di Famiglia, con l’Affarista, ma non si identifica con nessuno di loro. Al contrario del Non Credente, infatti, lui crede fortemente che tutti siano al mondo per fregare il prossimo. «Soprattutto i negri, i gialli e i giudei». Al contrario del Padre di Famiglia, lascia i figli alla moglie o alla compagna e si limita a portare a casa la pagnotta e va bene così perché «senza madre a casa i fiji crescono sbandati, se sa». Al contrario dell’Affarista, non contratta mai: o si accettano le sue condizioni, oppure sei ’n ladro. Il tassista-razzista odia tutti: gli immigrati, le colleghe, le regole, gli sconti per le donne che viaggiano sole, le tasse, Uber, il governo, le corse troppo brevi. Se chiedi di pagare con il POS è probabile che tu venga insultato in ogni lingua conosciuta da Linda Blair ne L’esorcista. Una razza in via di estinzione e, a suo modo, patetica.

7) Il Pigro
Non si può prevedere se il tassista che ti sta accompagnando appartenga a questa categoria: lo si scopre solo a destinazione. Non è raro che il Pigro sia gentile, simpatico, che chiacchieri il giusto e che si metta a disposizione del passeggero. La corsa può essere piacevole, in sua compagnia. Le critiche del Pigro al traffico/Roma/mezzi pubblici/caos cittadino/istituzioni/crisi economica sono quasi sempre equilibrate, a differenza di quelle del tassista-razzista. Il problema sorge quando ci si avvicina alla mèta. «A Signo’, che je dispiace se la lascio qui?». Laddove «qui» equivale a una distanza che va dai duecento ai cinquecento metri dalla destinazione stabilita. «Perché se m’infilo qua nun esco più». «Ma io ho chiamato il taxi proprio perché…». «E su, signo’, abbia pazienza, che je costa?». Il dedalo tentacolare di strade cui il Pigro si riferisce non coincide necessariamente con il centro storico, o con Trastevere o con il Pigneto o con Boccea. Il Pigro evita le complicazioni, i sensi unici, la fatica. Il Pigro ti molla dove dice lui, anche se opponi qualche flebile protesta, tentando di far valere i tuoi diritti. Quando, alla fine della corsa, chiederai di pagare con il POS, il Pigro ti risponderà: «Signo’, il POS è un casino, paghi in contanti, su, che je costa».

Gaja Cenciarelli
Gaja Cenciarelli

Vive e lavora a Roma. È specializzata in scritture femminili, in letteratura anglo-irlandese e dei paesi di lingua inglese. Sta ritraducendo tutta l'opera di Flannery O'Connor. Tiene corsi di traduzione e insegna lingua e letteratura inglese. Il suo ultimo romanzo è Domani interrogo (Marsilio).

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