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  • Martedì 9 maggio 2023

Le grosse proteste contro la violenza da armi da fuoco in Serbia

Hanno coinvolto decine di migliaia di persone, dopo i due attacchi armati della settimana scorsa in cui erano state uccise 17 persone 

Persone che protestano a Belgrado, in Serbia (AP Photo/Darko Vojinovic)
Persone che protestano a Belgrado, in Serbia (AP Photo/Darko Vojinovic)

Lunedì in Serbia decine di migliaia di persone hanno protestato contro la violenza da armi da fuoco, dopo che la settimana scorsa nel paese ci sono stati due attacchi armati che hanno provocato la morte di 17 persone, tra cui molti bambini, e il ferimento di diverse altre.

Le proteste, pacifiche, si sono concentrate soprattutto a Belgrado, la capitale, e a Novi Sad, città nel nord della Serbia. Sono state indette da una serie di partiti di opposizione al governo populista del Partito Progressista Serbo, di centrodestra: i manifestanti hanno chiesto le dimissioni del ministro dell’Interno Bratislav Gasic e di Aleksandar Vulin, a capo dell’intelligence serba, oltre all’imposizione di divieti a una serie di trasmissioni televisive che secondo chi ha protestato promuoverebbero la violenza.

Con un presidio davanti alla sede del governo a Belgrado, i manifestanti hanno anche chiesto le dimissioni del presidente serbo Aleksandar Vucic, sempre del Partito Progressista Serbo, che negli ultimi anni ha rafforzato e consolidato sempre di più il proprio controllo sulla politica e la società serba. Vucic, da parte sua, ha accusato l’opposizione di servirsi delle sofferenze causate dai due attacchi armati della settimana scorsa a fini politici, definendo i suoi avversari degli «avvoltoi».

Nonostante le sue norme per la detenzione di armi siano piuttosto rigide e prevedano una serie di requisiti e accertamenti, la Serbia è il primo paese in Europa e il terzo al mondo per armi possedute: secondo un sondaggio realizzato nel 2018 dal Graduate Institute di Ginevra, un istituto di ricerca, in Serbia ci sono 39 armi ogni cento persone, la maggior parte delle quali detenute senza una valida licenza. Molte sono armi conservate da chi aveva combattuto nelle guerre jugoslave degli anni Novanta.

I due attacchi armati che hanno provocato le proteste si sono verificati mercoledì e giovedì scorso, rispettivamente in una scuola di Belgrado e a Mladenovac e Dubona, circa 40 chilometri più a sud. Nel primo caso a compiere l’attacco è stato uno studente tredicenne della stessa scuola, Kosta Kecmanovic, che aveva con sé due pistole sottratte al padre: Kecmanovic si è consegnato spontaneamente alla polizia dopo l’attacco. Nel secondo caso un uomo di 21 anni ha sparato ad alcuni passanti con un’arma automatica mentre era a bordo di un’auto, ed è stato arrestato il giorno dopo.

I due attacchi hanno provocato reazioni molto intense da parte dell’opinione pubblica, e l’annuncio da parte del governo di voler adottare nuove misure per rendere ancora più restrittive le norme sul possesso di armi.

Tra le altre cose, venerdì Vucic ha concesso un’amnistia a tutte le persone che possiedono illegalmente armi, invitandole a riconsegnarle alla polizia senza venire punite. L’amnistia è iniziata lunedì e durerà 30 giorni: la polizia serba ha detto che solo nel primo giorno sono state consegnate circa 1.500 armi da fuoco. In passato iniziative del genere avevano funzionato: nel 2012, per esempio, un’amnistia di questo tipo aveva portato alla consegna volontaria di oltre 170mila armi.