Le monetine contro Craxi, trent’anni fa
La contestazione al leader socialista fuori dall'Hotel Raphaël di Roma diventò uno dei momenti più celebri e controversi di Tangentopoli
La sera del 30 aprile 1993 il leader socialista Bettino Craxi fu pesantemente contestato mentre stava uscendo dalla sua residenza romana all’Hotel Raphaël, in largo Febo. Contro di lui furono lanciate soprattutto monete, da 100 o 200 lire, e altri oggetti che colpirono anche i suoi collaboratori e i poliziotti di scorta. La contestazione passò alla storia come uno dei momenti più simbolici e allo stesso tempo controversi del periodo noto come Tangentopoli, seguito all’inchiesta Mani Pulite della procura di Milano che svelò il diffuso sistema di finanziamento illecito ai partiti e l’altrettanto diffusa corruzione presente nella gestione dell’amministrazione pubblica italiana.
Il giorno prima della contestazione la Camera dei deputati, con votazione segreta, aveva negato quattro richieste di autorizzazione a procedere contro Craxi per accuse di corruzione e ricettazione. Allora per sottoporre un parlamentare a procedimento penale il pubblico ministero che indagava era obbligato a chiedere alla camera d’appartenenza l’autorizzazione a procedere. Con la legge di riforma costituzionale pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 ottobre 1993 non è più richiesta l’autorizzazione per indagare, mentre rimane l’obbligo di richiesta di autorizzazione per l’arresto o per la perquisizione domiciliare o personale.
L’episodio dell’Hotel Raphaël viene generalmente indicato come quello che segnò il passaggio dalla Prima alla Seconda repubblica: dopo decenni in cui la politica era stata fatta dai partiti politici che si erano formati nella prima metà del Novecento, la maggior parte di questi si sciolse lasciando spazio a nuove formazioni che ne ereditarono politici e ideologie o nacquero dal nulla, come nel caso di Forza Italia di Silvio Berlusconi. Il lancio di monetine contro Craxi segnò anche la fine della carriera politica dell’ex segretario del Partito socialista italiano (si era dimesso a febbraio di quell’anno). Molti indicano quell’evento come una prima manifestazione del nascente populismo.
L’inchiesta Mani Pulite era cominciata nel febbraio 1992 con l’arresto per corruzione di un dirigente socialista, Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano, un istituto di assistenza agli anziani. Da allora si era allargata e divisa in molti filoni che avevano coinvolto tutti i partiti ma soprattutto quelli più importanti allora al governo, Democrazia cristiana e Partito socialista italiano. A Milano in particolare il Partito socialista governava ininterrottamente da molti anni e gestiva l’amministrazione pubblica: il sistema di corruzione svelato dall’indagine si rivelò imponente e ramificato. A condurre l’inchiesta era il gruppo di magistrati definiti come il pool di Mani Pulite: Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Antonio Di Pietro. Le indagini erano coordinate dal procuratore Francesco Saverio Borrelli e dall’aggiunto Gerardo D’Ambrosio.
A Bettino Craxi la procura milanese contestò vari episodi di corruzione: in tutto alla fine furono undici. Per molti mesi, nel 1992, gli organi di stampa avevano parlato dell’imminente iscrizione del leader socialista nel registro degli indagati per alcuni filoni dell’inchiesta. Nelle redazioni dei giornali spesso ci si riferiva a Bettino Craxi come al “cinghialone”, termine coniato dell’allora direttore dell’Indipendente Vittorio Feltri. Così si alludeva a quello che era considerato l’obiettivo più importante dell’indagine della procura milanese. Per Bettino Craxi il primo avviso di garanzia, e cioè la conferma della prima iscrizione nel registro degli indagati, avvenne infine il 15 dicembre 1992.
Il 29 aprile 1993 la Camera dei deputati votò su sei richieste di autorizzazione a procedere da parte della procura di Milano. Già il 3 luglio 1992, con un celebre discorso alla Camera, Craxi aveva ammesso il finanziamento illecito spiegando che coinvolgeva però tutti i partiti. In un passaggio rimasto particolarmente famoso disse:
E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. […] Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro.
Craxi sperava di riuscire a trasformare il problema del finanziamento illecito ai partiti in un problema esclusivamente politico e che la politica riuscisse a frenare l’iniziativa della magistratura. La strategia non ebbe successo: l’inchiesta Mani Pulite andò avanti e raggiunse lo stesso Craxi. Il 29 aprile alla Camera Craxi ribadì ciò che aveva detto il 3 luglio dell’anno precedente. Disse:
La criminalizzazione della classe politica, giunta ormai al suo apice, si spinge verso le accuse più estreme, formula accuse per i crimini più gravi, più infamanti e più socialmente pericolosi. Un processo che quasi non sembra riguardare più le singole persone, ma insieme ad esse tutto un tratto di storia, marchiato nel suo insieme. Un vero e proprio processo storico e politico ai partiti che per lungo tempo hanno governato il Paese.
Mi chiedo come e quando tutto questo si concili con la verità, che rapporto abbia con la verità storica, con gli avvenimenti e le fasi diverse e travagliate che abbiamo attraversato e nelle quali molti di noi hanno avuto responsabilità politiche di governo di primo piano. Davvero siamo stati protagonisti, testimoni o complici di un dominio criminale?
E concluse il suo discorso dicendo:
Nel mio caso la Camera può concedere o negare l’autorizzazione a procedere dopo aver accertato se nei miei confronti è stata violata una norma, o sono state violate più norme che proteggono i miei diritti di parlamentare e i miei diritti di cittadino. Mi auguro che gli onorevoli deputati vorranno farlo, nel modo più franco e libero, con tutto il senso di giustizia di cui sono capaci.
Con votazione segreta, la Camera bocciò quattro delle sei richieste di autorizzazione a procedere. Per Craxi fu una vittoria, che però provocò fortissime reazioni. Gran parte dei giornali il giorno dopo titolarono contro la decisione del parlamento con toni molto accesi. Il Partito democratico della sinistra, allora guidato da Achille Occhetto, ritirò la sua delegazione dal governo appena formato. Si trattava del governo guidato dall’ex governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, il primo governo italiano guidato da un non parlamentare. A farne parte era entrato anche il PDS, erede del Partito comunista italiano: anche questo non era mai accaduto prima. I ministri indicati dal Pds, quello delle Finanze Vincenzo Visco, dei Rapporti con il parlamento Augusto Barbera, e dell’Università e della Ricerca Luigi Berlinguer, si dimisero, come fece Francesco Rutelli, allora leader dei Verdi e ministro dell’Ambiente e delle Aree urbane.
Il 30 aprile si svolsero in tutta Italia manifestazioni di protesta contro la decisione del parlamento indette dal Partito democratico della sinistra. La più importante si tenne in piazza Navona, a Roma. Al termine del comizio di Achille Occhetto, molti manifestanti si spostarono davanti al vicino Hotel Raphaël dove da sempre Bettino Craxi aveva la sua residenza romana. A quei manifestanti, secondo le cronache successive, si aggiunsero anche semplici passanti e militanti del Movimento sociale italiano, il partito fondato nel 1946 da ex fascisti e membri della Repubblica Sociale Italiana che poi si sarebbe trasformato in Alleanza Nazionale e da cui è nato Fratelli d’Italia, oggi guidato dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni. L’MSI aveva tenuto una manifestazione poco lontano. Anche la Lega Nord aveva manifestato quel giorno a Roma.
Bettino Craxi verso le 20 uscì dall’Hotel Raphaël. I responsabili della sicurezza gli avevano consigliato di farlo da un’altra porta, che non si affacciava su largo Febo dove erano concentrati i manifestanti. Craxi volle invece uscire dalla porta principale. Le immagini furono riprese da un telegiornale della Rai e del Tg4. Largo Febo è uno spazio molto ristretto: i contestatori non erano numerosissimi ma le grida e i cori risultarono amplificati. Il lancio di monete durò pochi secondi ma fu molto fitto. I manifestanti cantavano «Vuoi anche queste, Bettino vuoi anche queste?» sulla melodia della canzone cubana “Guantanamera”, agitando banconote da mille lire. Quella contestazione rispecchiava una forte ostilità nei confronti della politica, dei partiti e di Bettino Craxi in particolare che si era diffusa in quei mesi in tutta Italia.
Quella sera Craxi fu ospite del giornalista Giuliano Ferrara nella trasmissione L’istruttoria, in onda su Canale 5. Disse:
Mi hanno insultato per due ore, i miei collaboratori sono stati aggrediti. Volevano a ogni costo che uscissi dalla porta posteriore dell’albergo, ma sono uscito davanti, tra le urla sghignazzanti. Per la prima volta nella mia vita ho provato sulla pelle lo squadrismo.
Nei trent’anni successivi quella protesta fu ricordata da molti con orgoglio, come un momento in cui la classe politica corrotta fu contestata con efficacia e forza dalla cittadinanza. Ma altri l’hanno presa a esempio dei limiti e delle derive giustizialiste che emersero durante Tangentopoli, spesso considerata un momento in cui l’Italia azzerò con troppa foga e con pochi distinguo una classe dirigente che era formata anche da persone e partiti di grande statura e valore, per sostituirla con un’altra non all’altezza.
Per tutto il 1993 le inchieste in cui Craxi era coinvolto continuarono e anzi si ampliarono. Nella primavera del 1994 l’ex leader socialista non si ricandidò alle elezioni. Con l’inizio ufficiale della nuova legislatura, il 15 aprile 1994, decadde la sua condizione di parlamentare e quindi la sua immunità: avrebbe potuto essere arrestato. Il 12 maggio fu deciso il ritiro del suo passaporto. Da alcuni giorni però Craxi era in Tunisia, nella sua casa di Hammamet. Il 21 luglio fu dichiarato latitante.
Dalla primavera del 1994 Bettino Craxi non abbandonò più la Tunisia. Morì ad Hammamet il 19 gennaio 2000.