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  • Mercoledì 26 aprile 2023

Il progetto per far convivere pastori, lupi e orsi in montagna

Con l'aiuto di giovani volontari, spesso provenienti dalle città, e con misure di prevenzione per difendere mucche e pecore

di Valerio Clari

Una delle passate edizioni del progetto Pasturs (Pasturs.org)
Una delle passate edizioni del progetto Pasturs (Pasturs.org)
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La convivenza fra uomini e grandi predatori nelle zone montane è un argomento di cui si è discusso molto nelle ultime settimane, dopo l’aggressione mortale da parte dell’orsa JJ4 a un escursionista in Trentino. Il progetto Pasturs, promosso dalla cooperativa Eliante, da ormai otto anni lavora proprio per rendere un po’ più semplice questa convivenza, e lo fa concentrandosi su una porzione specifica degli abitanti delle zone alpine e appenniniche interessati dalla presenza di lupi e orsi: pastori e allevatori che utilizzano i pascoli in quota durante la stagione estiva.

Pastori e allevatori hanno un rapporto ancora più complesso con gli animali selvatici: non c’è solo la paura di un incontro fortuito, ma anche la necessità di proteggere le proprie mandrie e le proprie greggi, soprattutto dai lupi. Gli eventi di predazione, cioè gli attacchi al bestiame, sono numerosi nei territori in cui predatori e allevatori convivono: nel 2019, ultimo anno per cui sono a disposizione dati nazionali, sono stati oltre 10.000 i capi attaccati (per i quali è stata effettuata denuncia). Gli allevatori danneggiati possono chiedere un rimborso alle Regioni, ma le associazioni di categoria a varie riprese li hanno definiti non sufficienti.

Pasturs da anni seleziona e affianca volontari ad alcuni pastori che operano sull’arco alpino (e da quest’anno anche sull’Appennino) durante la stagione estiva: opportunamente istruiti, forniscono un aiuto ai pastori e alle loro famiglie per periodi che possono andare da una settimana a tre mesi (di solito un paio di settimane). In particolare, li aiutano a mettere in atto le misure di prevenzione per proteggere il bestiame da lupi e orsi: i pastori possono contare sulla collaborazione, sul lavoro e sulla compagnia dei volontari, mentre questi ultimi vivono un’esperienza diversa di vita in montagna.

I volontari possono arrivare da ogni parte d’Italia e non hanno bisogno di conoscenze pregresse o di aver lavorato nel campo: spesso sono ragazzi di città e di “pianura”, che vengono istruiti da Pasturs. Viene richiesta solo volontà di collaborare e una disponibilità all’adattamento: può mancare l’acqua corrente, può non esserci campo per il telefono, si mangia e si dorme con i pastori, secondo tempi diversi e con comfort limitati.

Il progetto, nato sulle alpi Orobie, in provincia di Bergamo, ora si sviluppa lungo tutto l’arco alpino, dal Trentino alla Valle d’Aosta, ma anche nel Parco delle Foreste casentinesi, sull’Appennino tosco-emiliano. Un corrispettivo è presente anche fra Austria e Baviera (LIFEstockProtect) e Pasturs fa parte di un progetto europeo più ampio, LIFE EuroLargeCarnivores. Da qualche giorno sono partite le selezioni online degli aspiranti pastori estivi, che nel mese scorso avevano mandato le loro candidature.

Anna Crimella, coordinatrice di Pasturs per la Valle d’Aosta, spiega la filosofia alla base del progetto: «Eliante è una cooperativa che si occupa di conservazione ambientale, e questa passa da una convivenza fra natura e persone. Siamo quindi partiti da un dialogo con chi vive la montagna per lavoro, come pastori e allevatori. Per almeno tre mesi l’anno fanno una vita molto dura e più di tutti hanno da perdere dal rapporto con i predatori: aiutarli ad assumere le misure preventive corrette e invogliarli a farlo è per noi la direzione corretta».

Volontari nelle passate edizioni (PASTURS.ORG)

L’altro fine del progetto è, dice sempre Crimella, «far incontrare mondi che normalmente non si parlano: esiste una dicotomia forte fra chi vive la montagna saltuariamente, per vacanza e per sport, e chi ci lavora. Sfruttano spesso gli stessi spazi, ma si incontrano poco: noi cerchiamo di unirli».

Pasturs pubblicizza le sue iniziative nelle zone interessate e spesso nelle università, ma poi il passaparola, la stampa, i social negli anni hanno portato in alpeggio figure anche molto diverse. Solo per il progetto valdostano quest’anno le candidature per fare i volontari sono state circa 140: molti hanno sostenuto un primo colloquio conoscitivo online, una cinquantina faranno l’esperienza in montagna la prossima estate.

Prima parteciperanno a una giornata di formazione obbligatoria, che dovrà fornire un minimo di competenze di base: l’attrezzatura che è necessario portarsi, come ci si comporta in montagna, come interagire con i turisti, i pericoli e i rischi, le caratteristiche del contesto locale, le regole dei parchi. Una seconda parte del corso racconta la natura dei predatori, come si comportano e come relazionarcisi, ma anche le caratteristiche delle razze degli animali domestici che si incontreranno: segue una sezione pratica in cui i volontari apprenderanno come smontare e montare le reti o come svolgere altre operazioni necessarie. L’obiettivo è rendere i volontari un aiuto reale per i pastori, oltre che prepararli a un’esperienza che molti comunque raccontano come una “vacanza speciale”.


Per proteggere il bestiame dalle incursioni degli orsi (più rare, e limitate a certa parte delle zone montane) e dei lupi (più frequenti), i metodi più efficaci sono sorvegliare continuamente mandrie e greggi, utilizzare cani da guardiania, ricoverare il bestiame di notte, proteggerlo con recinzioni elettrificate specialmente di notte, ma in certe situazioni anche di giorno. Fare queste cose prevede qualche investimento iniziale ma soprattutto un aggravio di lavoro, a cui viene incontro l’intervento dei volontari del progetto Pasturs.

Due esemplari di lupo del Parco nazionale della Maiella, in Abruzzo (ANSA / DBA)

Pastori e allevatori in questione sono quelli che attuano un allevamento tradizionale, cioè portano mandrie e greggi in altura in estate, spostandosi quasi ogni giorno, per fornire al bestiame nuovi prati da brucare. In questi casi, per quel che riguarda le pecore, ogni sera è necessario costruire intorno al gregge un recinto elettrificato e alimentato da un generatore portatile, a seconda di dove gli animali si sono spostati. Bisogna piantare i pali e tirare le reti, e poi smontarli al mattino: la collaborazione dei volontari diventa fondamentale. I recinti evitano l’attacco dei lupi (e degli orsi, dove presenti). Dice Crimella: «Nell’area del Parco Mont Avic, in Valle d’Aosta, la presenza di almeno un branco di lupi è abbastanza stabile, anche se un branco si muove su un territorio di 150-200 chilometri quadrati. Anche di giorno il rischio non è nullo, con greggi di dimensioni non eccessive i pastori spesso allestiscono i recinti elettrificati anche di giorno».

Pecore all’interno di recinzioni elettrificate in Baviera (Peter Kneffel/dpa)

Gli attacchi alle mucche sono più rari, ma possibili: alcuni branchi cercano di far scappare alcuni esemplari, aspettano e sfruttano eventuali isolamenti o cadute. Le razze presenti negli alpeggi del parco del monte Avic, che da tre anni ospita il progetto Pasturs, sono dotate di corna, che è un buon deterrente.


Anche attuando tutti i metodi di prevenzione, le predazioni da orso e da lupo non possono essere ridotte a zero. Tranne rare eccezioni, tutti gli animali d’allevamento sono dotati di un microchip e la loro uccisione da parte di un predatore che faccia parte di una specie protetta (quali sono lupi e orsi) è indennizzata dalla Regione, secondo accordi e importi decisi localmente. L’Eco di Bergamo di recente ha raccolto le richieste di indennizzo avvenute in Lombardia: a Bergamo negli ultimi quattordici anni ci sono state 29 richieste di indennizzo per danni da orso e 8 da lupo, a Brescia 77 richieste per l’orso e 55 per il lupo, a Sondrio 63 per l’orso e 31 per il lupo.

I numeri nazionali sono notevolmente superiori (l’area lombarda non è quella con più presenze di predatori) e sono comunque da considerare inferiori alle aggressioni effettivamente avvenute: non tutte vengono denunciate e indennizzate. Per farlo bisogna richiedere l’intervento di polizia provinciale o carabinieri forestali, non bisogna spostare gli animali morti e va compilata una domanda entro 30 giorni. Gli animali messi in fuga dai predatori, dispersi o caduti in dirupi spesso non rientrano in questi conteggi.

Gli allevatori poi segnalano che le cifre corrisposte non sono sempre congrue, mentre i tempi per ottenerle possono variare molto: nel 2019 ci volevano in media circa 200 giorni, in alcune regioni gli indennizzi arrivavano entro 30 giorni, in altre i tempi erano superiori all’anno. I fondi a disposizione per gli indennizzi sono decisi a livello regionale, e sono legati a bandi “ad esaurimento”: possono non bastare per tutti i casi.

La Coldiretti, associazione di categoria degli agricoltori italiani, già a maggio 2022 aveva richiesto un “Piano nazionale per la difesa dal lupo”: «Ora occorre salvare le migliaia di pecore e capre sbranate, mucche sgozzate e asinelli uccisi lungo tutta la Penisola dove la presenza del lupo si è moltiplicata negli ultimi anni con il ripetersi di stragi negli allevamenti che hanno costretto alla chiusura delle attività e all’abbandono della montagna».

Pasturs non è ovviamente una risposta complessiva a questa situazione, opera su un numero limitato di allevatori e di aree, ma si propone anche di fare informazione su questo argomento e di promuovere i prodotti degli allevatori che lavorano cercando di rendere il più possibile sostenibile la convivenza. La sua opera è anche di mediazione e aggiornamento “culturale” nei confronti di allevatori e pastori, categorie in cui convivono visioni diverse, più o meno aperte a modificare comportamenti tradizionali, più o meno preoccupate o ostili rispetto alla presenza dei predatori.

Un cartello illustrativo del progetto in alpeggio (pasturs.org)

Il progetto è nato prendendo ispirazione da un’iniziativa simile francese, PastoraLoup: nei primi anni è stato decisivo un finanziamento della banca Cariplo, poi sono stati utilizzati anche dei fondi di progetti europei, della Commissione ambiente e biodiversità. Oggi Pasturs si basa principalmente sul supporto degli enti locali e dei parchi interessati (Parco Orobie Bergamasche e il Parco Mont Avic), nonché sui contributi di Coldiretti Bergamo e WWF. I volontari non pagano e non vengono pagati, pastori e allevatori forniscono vitto e alloggio, negli anni passati grazie a progetti europei ottenevano le recinzioni in comodato d’uso e cani pastore in donazione.

I volontari sono coperti da una polizza assicurativa, anche se gli organizzatori raccontano che gli incidenti sono stati pochi, nelle oltre 800 esperienze fin qui vissute. Uno è accaduto lo scorso anno, quando lo studente Matteo Carminati, 25 anni, è morto precipitando per oltre 100 metri nella zona del Vaccarizza, in Val Seriana, in provincia di Bergamo. Era esperto di montagna e si era allontanato dall’alpeggio per un’escursione solitaria, come può accadere, in alcuni momenti non particolarmente pieni della giornata. L’incidente è avvenuto durante il progetto, ma non è strettamente collegabile ad esso, che per quasi tutti i volontari è un’esperienza molto positiva.

Una delle ex volontarie ha deciso di far diventare l’allevamento un lavoro, altre tre ora collaborano con la cooperativa Eliante, e i casi di chi ha abbandonato volontariamente l’esperienza senza portare a termine il periodo sono molto limitati, grazie anche all’opera di selezione preventiva. Per quasi tutti l’esperienza è l’occasione per conoscere un mondo di cui è difficile avere esperienza diretta e per passare una porzione di estate a stretto contatto con la natura. Gli incontri con i predatori, soprattutto lupi, sono possibili, ma sempre a distanza di sicurezza e con la necessaria preparazione.

Una ex volontaria sentita dal Post racconta: «Il valore aggiunto, per chi vive la gran parte dell’anno in città, è anche riorganizzarsi su ritmi completamente diversi. Ti svegli quando sorge il sole, perché i cani iniziano a fare rumore, la sera ti ritrovi in un alpeggio senza luce elettrica e quindi dopo aver mangiato non resta che andare a letto. Durante la giornata devi seguire le pecore, il telefono non prende: o parli con pastori e passanti oppure c’è tempo per non fare niente. Io non mi ero portata libri, che pesano durante la salita verso l’alpeggio, mi sono ritrovata a leggere con soddisfazione numeri di quotidiani locali di qualche anno prima, che il pastore usava per accendere il fuoco».