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  • Mercoledì 5 aprile 2023

Nel calcio la Cina non è dove voleva essere

Aveva grandi piani per diventare una delle migliori Nazionali asiatiche entro il 2030: qualcosa non ha funzionato

(Wang He/Getty Images)
(Wang He/Getty Images)
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Nel 2015 Xi Jinping, che era diventato presidente della Cina un paio di anni prima, si disse grande appassionato ed ex giocatore di calcio e annunciò di voler trasformare la Nazionale cinese in una delle migliori al mondo. Quelle parole, in cui il calcio era presentato come qualcosa che «fortifica sia il corpo che la mente», arrivarono quando la Nazionale cinese era intorno all’ottantesimo posto nella classifica FIFA di tutte le Nazionali di calcio del mondo e furono seguite da grandi investimenti nazionali e internazionali, per spingere la crescita del movimento calcistico cinese.

Otto anni dopo la Cina è ancora all’ottantesimo posto della classifica FIFA, dietro il Gabon e appena davanti all’Honduras. La federazione calcistica cinese è da mesi al centro di vari casi di corruzione, molti dei suoi investimenti nel calcio estero sono stati bloccati e il suo campionato nazionale, parecchio ridimensionato negli ultimi anni, è in gravi difficoltà. Ancora non si sa come sarà e chi giocherà il prossimo, la cui partenza è prevista a giorni. I grandi piani calcistici della Cina sembrano essere falliti, o comunque fin qui inadeguati e forse perfino controproducenti: e non c’entra solo la pandemia.

Come ha scritto il New York Times, le cose sono molto cambiate «da quando il successo calcistico della Cina sembrava solo una questione di soldi e determinazione di un paese per cui lo sport più popolare al mondo era diventato un progetto nazionale». Secondo il Wall Street Journal questo fallimento è stato un «autogol», un grande passo falso che «ha messo in luce tutti i limiti del controllo con cui Xi Jinping vuole gestire il paese».

Nel 2015 le dichiarazioni di Xi sul calcio erano state seguite da un programma in 50 punti e dalla volontà di rendere entro il 2030 la Nazionale cinese una delle migliori in Asia, ed entro il 2050 una delle migliori al mondo. Fu anche annunciata l’intenzione di rendere il calcio uno sport giocato da decine di milioni di studenti e di costruire un campo da calcio ogni 10mila abitanti.

Wuhan, Cina, nel 2019 (Wang He/Getty Images)

Tra il 2016 e il 2017 le squadre della Chinese Super League, il principale campionato del paese, spesero il corrispettivo di oltre 400 milioni di euro, convincendo giocatori che un paio di anni prima non avrebbero mai pensato di finire a giocare in Cina, grazie ad altissimi ingaggi allora fuori portata per quasi ogni altra squadra al mondo. Oltre ai giocatori stranieri, alcuni dei quali scelti per naturalizzarli così che potessero giocare per la Nazionale cinese, in Cina arrivarono anche due tra gli allenatori italiani più vincenti di sempre: Fabio Capello e Marcello Lippi.

(Kevin Frayer/Getty Images)

Mentre il governo diffondeva immagini di Xi che guardava partite o calciava palloni, si parlò della possibilità che dopo le Olimpiadi estive e invernali la Cina potesse ospitare anche i Mondiali di calcio. Già nel 2011, ancor prima di diventare presidente, Xi aveva parlato peraltro dei «tre sogni della Coppa del Mondo»: ritornarci il prima possibile, ospitarne una e vincerla entro i successivi trent’anni.

Xi Jinping nel 2012 (AP Photo/Brendan Moran/Pool/Sportsfile)

Una buona sintesi dei grandi piani cinesi per il futuro è in uno spot pubblicitario fatto da Nike nel 2018, che immagina un futuro prossimo per molti versi allineato con le ambiziosissime intenzioni cinesi, in cui il nuovo Cristiano Ronaldo è cinese, il Manchester City ha diversi giocatori cinesi e i tifosi dell’Inghilterra si disperano preoccupati dopo aver scoperto che ai Mondiali saranno nello stesso girone della Cina.


Tuttavia da un paio di anni la bolla di investimenti cinesi nel calcio si è sgonfiata, cosa che ha portato al fallimento di decine di squadre o al notevole ridimensionamento di altre, tra le quali il Jiangsu Suning e il Guangzhou Evergrande, fino a poco prima tra le più ricche e vincenti. In tre anni il valore complessivo delle squadre di Chinese Super League, il campionato cinese, si è più che dimezzato e la maggior parte dei migliori calciatori stranieri aveva lasciato il paese già prima della pandemia. Le aziende cinesi sono rientrate dalla maggior parte dei loro investimenti esteri, che nel 2017 superavano i due miliardi e mezzo di euro e che perfino il governo cinese era arrivato a giudicare «irrazionali».

Un altro segno delle molte cose che non vanno sono i casi di corruzione, o quantomeno il fatto che il governo abbia accusato di corruzione i dirigenti del calcio cinese: un’ammissione implicita dei gravi problemi generali del movimento. A febbraio è stato arrestato Chen Xuyuan, il presidente della federazione calcistica cinese; a marzo si è parlato di nuovi casi riguardanti altri importanti dirigenti.

La corruzione c’era già prima, anche ai livelli più alti. Un ex presidente della federazione disse che in passato era stato possibile comprare presenze nella nazionale cinese per 100 mila yuan, pari a circa 13mila euro. Adesso però la sensazione è che sia aumentata di pari passo con l’aumentare dei flussi di denaro diretti verso le società e la federazione.

(AP Photo/Mark Schiefelbein)

Hu Xijin, ex direttore del Global Times, un giornale sotto il diretto controllo dal Partito Comunista Cinese, ha scritto di recente che il calcio cinese è «marcio fino al midollo». Dopo i casi di corruzione un altro giornalista cinese ha parlato di «una casa allagata su cui inizia a piovere», di «una nave in ritardo che si mette a navigare controvento».

A tutto questo si aggiunge l’evidenza che la Nazionale di calcio maschile della Cina è praticamente allo stesso livello in cui era otto anni fa, senza che si vedano particolari miglioramenti nemmeno a livello giovanile. L’unica sua partecipazione ai Mondiali fu nel 2002, in buona parte favorita dall’assenza dai gironi di qualificazione asiatica di Giappone e Corea del Sud, qualificate di diritto in quanto paesi organizzatori. Nelle qualificazioni per gli ultimi Mondiali la Cina è finita quinta in un girone da sei squadre, dietro all’Oman e davanti al Vietnam. Nella sua partita più recente, un’amichevole, è stata battuta dalla Nuova Zelanda.

(Elias Rodriguez/Photosport via AP)

Le interpretazioni sul perché il piano di crescita calcistica cinese sia andato così male sono tante e tra loro talvolta divergenti. Alcune parlano di un tentativo di crescere troppo in fretta, senza controllo e senza calcoli precisi. Altre sono più pratiche e chiamano in causa il fatto che sebbene si sia dimostrata capace di dominare molti sport, anche alcuni con cui storicamente c’entrava poco o nulla, la Cina è da sempre poco performante negli sport di squadra. Inoltre tradizionalmente, almeno prima della nuova fase avviata da Xi, la Cina non era abituata a praticare il calcio, per motivi storici, culturali e pratici: per esempio perché veniva considerata una distrazione, o una scelta secondaria legata anche al timore di infortuni o fallimenti personali.

Chi in Cina ha allenato ha altri punti di vista ancora. Marco Pezzaiuoli, ex allenatore delle giovanili del Guangzhou Evergrande, disse alcuni anni fa che era «raro vedere bambini per strada che giocano a calcio», segno di una scarsa passione di base. Più di recente il tedesco Lars Isecke, al tempo responsabile per la federazione cinese della diffusione del calcio nelle scuole, ha detto a Deutsche Welle che in Cina, soprattutto a livello giovanile, si vede spesso «un calcio robotico», eseguito in modo meccanico e senza fantasia, che anche a livelli più alti è «monodimensionale».

Una scuola calcio a Qingyuan (by Kevin Frayer/Getty Images)

L’editorialista Minxin Pei ha paragonato invece gli insuccessi calcistici ad altri tecnologici (legati allo sviluppo dei microchip) e ha scritto che la Cina fatica a fare «cose grandi» quando vengono meno certe precondizioni che permettono di controllare o influenzare un certo contesto e quando entrano in gioco fattori come «collaborazione, innovazione, competizione, autonomia e creatività».

Senza dubbio è molto complicato, anche facendo le cose giuste, pensare di poter primeggiare in pochi anni nel calcio maschile, visto quanto è popolare e diffuso in gran parte del mondo. Pur tra tanti tentativi, per esempio, finora non ci sono mai davvero riusciti nemmeno gli Stati Uniti.

Mark Dreyer, autore di un libro sulle ambizioni cinesi di potenza sportiva, ha detto al New York Times di vedere un futuro cupo per il calcio cinese in cui «per come stanno le cose ora la situazione è perfino destinata a peggiorare». Ci sono tuttavia alcuni segnali del fatto che la Cina voglia continuare (o ricominciare) a puntare sul calcio: qualche settimana fa Gao Zhidan, il direttore dell’agenzia governativa che gestisce lo sport cinese, ha parlato della necessità di cambiamenti radicali e ha detto di voler «curare la malattia con una medicina potente».

Qualche soddisfazione, in prospettiva, potrebbe darla per esempio la Nazionale di calcio femminile, dove i tempi e gli investimenti per arrivare ai massimi livelli sono inferiori e in cui la Cina era già in grado di farsi valere in passato: nel 1991 ospitò i Mondiali femminili, nel 1999 arrivò in finale. La Nazionale cinese si è inoltre qualificata per i Mondiali di quest’anno, in programma da luglio in Australia e Nuova Zelanda. La sensazione è che la Cina voglia puntare sul calcio femminile magari per mettere alla prova – con maggiori speranze di successo e in un contesto meno complesso – sistemi e approcci da replicare poi a livello maschile.

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