Le polemiche sui ritardi nei soccorsi al naufragio in Calabria

Stanno emergendo nelle ricostruzioni delle autorità coinvolte, e si parla di rimpalli di responsabilità che avrebbero rallentato tutto

Un membro della Guardia Costiera italiana a Steccato di Cutro, in Calabria (AP Photo/Valeria Ferraro)
Un membro della Guardia Costiera italiana a Steccato di Cutro, in Calabria (AP Photo/Valeria Ferraro)

Nelle ultime ore stanno emergendo sempre più elementi che fanno pensare che i soccorsi al peschereccio con a bordo circa 150 migranti naufragato domenica in provincia di Crotone, in Calabria, siano arrivati con diverse ore di ritardo. Anche il procuratore capo di Crotone, Giuseppe Capoccia, in un’intervista a Repubblica pubblicata mercoledì ha ipotizzato che «forse qualcosa si poteva fare, per salvare quelle persone». Martedì sera i morti nel naufragio sono diventati 66.

Il nodo principale riguarda le decisioni prese dalle autorità italiane fra la serata di sabato 25 febbraio e le prime ore di domenica 26: i quotidiani raccontano di ritardi, rimpalli di responsabilità e decisioni operative che potrebbero avere avuto un ruolo nel naufragio, quindi nella morte di 66 persone che si trovavano a bordo.

Intorno alle 22:30 di sabato il peschereccio in questione era stato avvistato a circa 70 chilometri dalle coste calabresi da un piccolo aereo di Frontex, l’agenzia di frontiera dell’Unione Europea. Essendo un’agenzia che si occupa principalmente di sicurezza, Frontex è in contatto soprattutto con le forze dell’ordine italiane come Carabinieri e Guardia di Finanza. Per questo sabato sera aveva avvisato diverse forze dell’ordine italiane, e solo per conoscenza aveva incluso fra i destinatari anche la Guardia Costiera italiana.

Repubblica ha pubblicato stralci di questa comunicazione. Frontex segnalò un barcone «con una persona sul ponte e possibili altre persone sottocoperta, nessun giubbotto di salvataggio visibile, buona navigabilità a 6 nodi, nessuna persona in acqua […]. Il sistema di monitoraggio satellitare di Eagle 1 rileva una telefonata partita dalla barca verso la Turchia, i portelloni di bordo aperti e una significativa risposta termica», cioè una ingente presenza di persone osservate con le telecamere a rilevazione termica. Al momento della segnalazione di Frontex il mare in quella zona era stimato a forza 4 su 9 della scala Douglas, quindi molto mosso e con onde fra 1,25 e 2,5 metri.

Il regolamento del 2014 dell’Unione Europea con cui venne modificato il mandato di Frontex prevede all’articolo 9 che va considerata in pericolo qualsiasi imbarcazione la cui «efficienza operativa è stata compromessa al punto di rendere probabile una situazione di pericolo». Per chi lavora con i soccorsi in mare un’imbarcazione verosimilmente piena di migranti, in mare aperto, senza tracce di giubbotti di salvataggio, viene considerata in difficoltà e quindi bisognosa di essere soccorsa.

Ma dopo la segnalazione di Frontex, sabato sera, venne presa la decisione di avviare un’operazione di sicurezza, e non di soccorso di eventuali persone in difficoltà (sono le cosiddette operazioni SAR, Search And Rescue). Vengono quindi inviate incontro al peschereccio due imbarcazioni della Guardia di Finanza, e non la Guardia Costiera. In un comunicato stampa pubblicato domenica la Guardia di Finanza definisce la sua operazione come «di intercetto»: quindi rivolta a fermare l’imbarcazione e catturare eventuali scafisti e trafficanti, più che a soccorrere le persone che si trovavano a bordo.

– Leggi anche: Il naufragio in Calabria poteva essere evitato?

Non è chiaro chi abbia preso questa decisione. Repubblica scrive «qualcuno da Roma», suggerendo sia stata una decisione del governo di destra guidato da Giorgia Meloni, notoriamente ostile nei confronti dei migranti che arrivano via mare. Questa ricostruzione però non è corroborata da altri giornali né da conferme ufficiali.

La Stampa scrive inoltre che dal momento in cui viene presa la decisione di fare intervenire la Guardia di Finanza, sabato sera, si decide anche di aspettare due ore, in modo che il peschereccio entri nell’area di competenza della Guardia di Finanza. La Stampa scrive che quest’area comprende 12 miglia nautiche di acque territoriali italiane: in realtà comprenderebbe anche le 12 miglia nautiche della cosiddetta zona contigua, per un totale di 24 miglia nautiche, ma l’Italia non ha mai applicato la legge che la istituisce. Al momento della segnalazione il peschereccio si trovava a 40 miglia nautiche, quindi fuori sia dalle acque territoriali sia dalla zona contigua italiana. Anche su questa ricostruzione però non ci sono altre conferme.

Fra la mezzanotte e le due del mattino di domenica 26 due navi della Guardia di Finanza hanno provato a raggiungere il peschereccio, ma non ci sono riuscite per via del maltempo. Il Corriere della Sera fa notare che nel porto di Crotone erano presenti alcune motovedette della Guardia Costiera «specializzate proprio nel recupero di persone in difficoltà e capaci di affrontare mare forza 7-8», cioè onde più alte di quelle registrate nella notte fra sabato e domenica nell’area dove si trovava il peschereccio.

Quelle motovedette però sono state utilizzate soltanto diverse ore dopo, intorno alle 5:30, dopo che alcune persone a bordo del peschereccio avevano chiamato il numero di emergenza della Guardia Costiera italiana, il 1530. In una telefonata in particolare, secondo quanto scrivono i giornali, gli operatori hanno sentito soltanto una parola in inglese, assieme ad alcune urla confuse: help, “aiuto”.

Alle 5:30 però era già troppo tardi per evitare il naufragio: molte persone erano già cadute in acqua. Lo ha raccontato alla Stampa il pescatore Antonio Conbariati, chiamato a intervenire sul posto da «un amico della Guardia Costiera».

«C’erano corpi dappertutto, bambini, ragazzi, donne, e noi al buio che provavamo ad afferrarli. O li prendi subito o la spiaggia se li risucchia e non li trovi più. […] Mi butto in acqua vestito e mi metto a pescare cadaveri tra le onde. Ne prendevamo il più possibile, io e il mio amico. A un certo punto pesco un bambino di due-tre anni, respirava ancora, ma è morto subito dopo in spiaggia. Nel frattempo, dopo una quindicina di minuti arrivano i soccorsi. Prima gli uomini della guardia costiera, poi la polizia, i carabinieri, la guardia di finanza, e i vigili del fuoco della Sas, il nucleo con la muta, addetto al soccorso in mare, e si buttano tra le onde. Ma ormai è tardi, il peggio è già successo».