Nonni e nonne sono sempre più importanti

Con l'invecchiamento della popolazione e la diminuzione della fertilità hanno un ruolo sempre più centrale nel benessere delle famiglie, in contesti demografici anche molto diversi tra loro

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Una scena del film del 2017 “Coco”
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L’invecchiamento della popolazione nei paesi sviluppati è da tempo descritto come il cambiamento demografico più evidente e significativo degli ultimi decenni. Ed esiste una discussione molto estesa sulle numerose conseguenze di questo fenomeno e su quali misure e politiche potrebbero renderlo meno problematico e più vantaggioso per la popolazione in generale.

Una parte della discussione si è soffermata in tempi recenti sul ruolo sempre più centrale delle persone più anziane all’interno delle famiglie, stando ad alcune grandi tendenze demografiche. Da una parte le persone vivono sempre più a lungo, e dall’altra le famiglie sono sempre meno numerose. Dal 1960 al 2019 l’aspettativa di vita nel mondo è passata da 51 a 72 anni, mentre il tasso di fecondità totale – il numero medio di figli per ogni donna – è sceso da 5 a 2,4.

Nelle famiglie, insomma, ci sono mediamente sempre più nonni viventi e sempre meno bambini. Ed è sempre più condivisa ed empiricamente sostenibile la tesi secondo cui la presenza dei nonni – delle nonne, soprattutto – determini diversi benefici economici e sociali all’interno delle famiglie: sia in termini di guida e sostegno per i nipoti, su cui i nonni e le nonne possono concentrare maggiori attenzioni individuali che in passato, sia in termini di ripercussioni significative sull’occupazione femminile delle figlie. Soprattutto le nonne sono sempre più coinvolte nella cura dei nipoti piccoli, e sono spesso considerate dai loro figli e dalle loro figlie una risorsa gratuita e spesso disponibile con breve preavviso.

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Poiché non ci sono molti dati affidabili riguardo al numero di nonni viventi nel mondo, in un recente articolo di approfondimento l’Economist ha citato alcune stime di riferimento ottenute dal centro di ricerca demografica del Max Planck Institute in Germania. A fornirle è stato il ricercatore Diego Alburez-Gutiérrez, che in tempi recenti si è a lungo occupato delle sovrapposizioni generazionali di nonni, genitori e figli in tutto il mondo.

Sulla base delle stime elaborate dal Max Planck Institute, ci sono all’incirca 1,5 miliardi di nonni nel mondo, e dal 1960 a oggi la percentuale sulla popolazione mondiale è passata dal 17 al 20 per cento. Nello stesso arco di tempo, il rapporto tra nonni e bambini con meno di 15 anni è passato da 0,46 a 0,8. Le previsioni del centro di ricerca indicano che entro il 2050 i nonni saranno 2,1 miliardi, e cioè il 22 per cento della popolazione, e che il numero di nonni supererà quello di bambini con meno di 15 anni.

Sebbene esistano tra un paese e l’altro profonde differenze demografiche a seconda della variazione del tasso di fecondità e dell’aspettativa di vita, la presenza dei nonni è considerata un vantaggio in molti contesti. Lo è anche laddove i nonni sono ancora relativamente pochi rispetto a quanto sono numerose le famiglie: come in Senegal, dove il numero medio di figli per ogni donna è 4,5 (era 7,3 nel 1980).

In molti paesi dell’Africa occidentale e subsahariana la presenza dei nonni si traduce in un aiuto fondamentale, e non soltanto per i valori culturali e le tradizioni che contribuisce a tramandare di generazione in generazione. Uno studio del 2002 condotto nelle zone rurali in Gambia dimostrò che avere una nonna materna, anche in assenza di una madre e di sorelle maggiori, aumentava le probabilità di sopravvivenza dei bambini nei primi anni di vita (avere un padre, una nonna paterna, un nonno o fratelli maggiori non aveva invece alcun effetto significativo su quelle probabilità).

Nell’Africa subsahariana, secondo uno studio del 2017, i bambini di età compresa tra 7 e 15 anni che vivono con un nonno o una nonna hanno maggiori probabilità di frequentare la scuola rispetto agli altri bambini: del 15 per cento, in caso di convivenza con un nonno, e del 38 per cento, in caso di convivenza con una nonna. Spesso questa forma di assistenza permette inoltre a molte madri di avere un lavoro retribuito, in contesti in cui ne ha o ne cerca uno soltanto la minoranza delle donne in età lavorativa (appena un terzo, in Senegal).

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Un discorso simile vale anche in paesi relativamente più ricchi e con meno nascite rispetto all’Africa subsahariana, come il Messico, dove il tasso di fecondità totale dal 1960 a oggi è passato da circa 7 a 2. Insieme ad altre tendenze demografiche concomitanti, questo fa sì che ci siano in Messico molti più nonni e nonne per ciascun nipote di quanti ce ne siano in Senegal.

Le nonne sono la principale fonte di assistenza non genitoriale in Messico. Si prendono cura del 40 per cento dei bambini fino ai sei anni: tanto quanto scuole e asili messi insieme, secondo uno studio pubblicato a dicembre scorso dall’economista messicano Miguel Ángel Talamas Marcos, della Banca interamericana di sviluppo, la banca internazionale con sede a Washington che si occupa dello sviluppo economico e sociale dei paesi dell’America meridionale e caraibica.

Lo studio di Talamas Marcos, come altri dello stesso tipo, indica che le madri che possono contare sulla collaborazione delle nonne guadagnano più di quanto farebbero altrimenti. E lo dimostra cercando di osservare e misurare cosa succede quando le nonne muoiono. Talamas Marcos ha stimato che la morte della nonna nelle famiglie messicane – l’abuela – riduca il tasso di occupazione delle madri del 27 per cento e i loro guadagni del 53 per cento. Gli effetti di questo evento – che non ha invece ripercussioni sul tasso di occupazione dei padri – sono più contenuti laddove siano disponibili asili nido pubblici o asili nido privati ma con costi più convenienti.

I benefici della presenza dei nonni possono assumere forme diverse ed essere più o meno chiari a seconda del contesto culturale. In uno studio del 2020 sull’occupazione femminile nelle zone rurali dell’India, dove le coppie abitano tradizionalmente con i genitori del marito, le economiste statunitensi Madhulika Khanna della Georgetown University e Divya Pandey della University of Virginia sostengono che la convivenza con le suocere (mummyji) possa in parte limitare la libertà delle donne di lavorare fuori casa. Questo perché le suocere tendono a ribadire e riaffermare in casa antiche norme sociali specifiche di genere, che attribuiscono alla donna compiti da casalinghe e badanti.

Allo stesso tempo, osservano Khanna e Pandey, la presenza della suocera in casa tende comunque ad avere un’influenza rilevante in termini di aiuto e di responsabilità che la suocera si assume nel lavoro domestico quotidiano, permettendo alla nuora di avere più tempo a disposizione da dedicare al lavoro retribuito fuori casa. Attraverso strumenti di analisi simili a quelli utilizzati da Talamas Marcos, lo studio di Khanna e Pandey mostra che nelle zone rurali dell’India la morte della suocera è correlata al 10 per cento in meno di probabilità della nuora di avere o cercare un lavoro retribuito. E la causa più probabile di questa correlazione è la richiesta di maggiori forze nei lavori domestici e nella cura dei figli.

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Nei paesi più ricchi i servizi per l’infanzia permettono generalmente alle persone di destreggiarsi più facilmente tra la cura dei figli e il lavoro. Ma questo non significa che i nonni e le nonne non siano coinvolti più o meno regolarmente e considerati una fonte di assistenza gratuita all’infanzia. Negli Stati Uniti, secondo dati forniti dall’ufficio del censimento, i nonni si occupano con regolarità del 24 per cento dei bambini in età scolare e prescolare. E secondo un sondaggio citato dall’Economist a trascorrere del tempo settimanale con i nonni sono mediamente il 50 per cento dei bambini in età prescolare, il 35 per cento di quelli in età scolare e il 20 per cento degli adolescenti.

Abitare nelle vicinanze della casa dei nonni può semplificare molto la vita dei genitori di bambini piccoli ma, allo stesso tempo, limitare le possibilità di lavorare altrove e avere un salario migliore. Analizzando i dati del censimento americano, la ricercatrice Janice Compton e il ricercatore Robert Pollak hanno concluso che vivere non più lontano di 40 chilometri da casa della nonna è correlato a un incremento di 4-10 punti percentuali nell’occupazione delle donne sposate con bambini piccoli.

Tuttavia, secondo uno studio condotto dalle ricercatrici Eva Garcia-Moran dell’Università di Würzburg e Zoe Kuehn dell’Università autonoma di Madrid sulla popolazione femminile della Germania occidentale, le donne che abitano vicino ai genitori o ai suoceri guadagnano circa il 5 per cento in meno rispetto alle loro coetanee e trascorrono più tempo in viaggio per andare e tornare dal lavoro.

Esistono anche altri rischi e svantaggi nell’affidare i figli ai nonni. Secondo una ricerca inglese citata dall’Economist, i bambini affidati ai nonni corrono maggiori rischi di sicurezza in casa rispetto a quelli che frequentano gli asili nido o stanno con una tata. E secondo diversi studi condotti negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Cina e in Giappone, i bambini sotto la cura dei nonni hanno maggiori probabilità di essere obesi, sebbene non sia del tutto chiaro quali siano i fattori alla base di questa correlazione.

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C’è poi una questione relativa al reddito netto della famiglia “allargata”. Se da una parte il coinvolgimento delle nonne nella cura dei bambini piccoli incrementa le possibilità di ingresso delle madri nel mondo del lavoro, dall’altra induce le nonne a lavorare meno fuori casa o ad andare prima in pensione. Una recente ricerca condotta in Brasile ha mostrato che, quando veniva data (casualmente) a bambini di età compresa tra 0 e 3 anni la possibilità di frequentare l’asilo nido pubblico, la famiglia aveva un reddito collettivo più alto: principalmente perché sia i nonni sia eventuali fratelli e sorelle adolescenti del bambino erano liberi di lavorare.

A parte la questione del reddito, conclude l’Economist, prendersi cura dei bambini tende a essere un bene per i nonni: quelli che trascorrono del tempo con i loro nipoti riferiscono, per esempio, di soffrire meno di solitudine e depressione. Ma per quanto riguarda i nonni o le nonne single che si occupano dei nipoti altri studi suggeriscono un rischio più alto di problemi di salute fisica e mentale rispetto al rischio associato ai genitori single.

La Svezia, primo paese al mondo a convertire il congedo di maternità in congedo parentale, già nel 1974, è considerato un esempio di luogo in cui i nonni e le nonne hanno più tempo libero, non dovendosi generalmente occupare dei loro nipoti. Questo avviene sia per ragioni culturali che di efficienza delle politiche sociali: potendo usufruire di sedici mesi (480 giorni) di congedo parentale retribuito, le coppie svedesi molto raramente si affidano ai nonni per la cura dei bambini piccoli. E la cospicua presenza di asili nido pubblici permette anche ai genitori di trasferirsi con meno difficoltà per trovare un lavoro migliore e allontanarsi da casa dei nonni.

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Avere dei nonni a disposizione è chiaramente un vantaggio anche in Svezia. «Ogni tanto un nonno può andare a prendere un bambino all’asilo o fare da babysitter, ma non sempre», ha detto all’Economist Andreas Bergh, docente di economia all’università di Lund. Altre volte, più che permettere alla loro figlia di tornare a lavorare, il fatto che i nonni possano occuparsi dei nipoti permette alla loro figlia di uscire a cena con suo marito senza cercare babysitter.

La maggior parte delle persone in Svezia si dice solitamente soddisfatta del proprio sistema, ma ci sono anche persone anziane che riferiscono di soffrire la solitudine. Quasi la metà delle famiglie in Svezia, ricorda l’Economist, è formata da una sola persona: il livello più alto in Europa dopo la Finlandia. Circa 900 mila persone, su una popolazione di 10,4 milioni, hanno più di 60 anni e vivono da sole. Un quinto di queste persone non incontra amici né familiari più di due volte al mese, vivendo quindi in una condizione di sostanziale isolamento sociale.