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  • Mercoledì 18 gennaio 2023

L’ergastolo ostativo e il 41-bis non sono la stessa cosa

I due regimi detentivi, spesso applicati ai mafiosi, sono stati sovrapposti in questi giorni, persino da Giorgia Meloni

Totò Riina (LaPresse Torino/Archivio storico)
Totò Riina (LaPresse Torino/Archivio storico)
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Martedì mattina il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha firmato il decreto per la detenzione in regime di 41-bis di Matteo Messina Denaro, il boss mafioso catturato lunedì dopo trent’anni di latitanza. Il 41-bis è un articolo dell’ordinamento penitenziario che se applicato sospende alcune libertà e alcuni diritti che normalmente spettano alla persona detenuta, ed è anche detto “carcere duro”. Pensato inizialmente per gestire situazioni di rivolta ed emergenza in carcere, nel 1992 fu esteso a chi è detenuto per reati di mafia, con lo scopo di restringere le libertà dei mafiosi in carcere e impedire loro di comunicare con l’esterno.

Mercoledì mattina, però, nelle titolazioni di alcuni giornali si è sovrapposto il regime di 41-bis con l’ergastolo ostativo confondendo due questioni diverse. In particolare è successo nell’intervista sulla Stampa al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, a cui si chiedeva dell’ergastolo ostativo, mentre il titolo parlava di “carcere duro”, cioè il nome con cui solitamente ci si riferisce al 41-bis. L’ergastolo ostativo è un regime di detenzione diverso, previsto dall’articolo 4-bis dello stesso ordinamento penitenziario. Non solo, anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva fatto la stessa sovrapposizione intervenendo lunedì sera alla trasmissione di Rete4 Quarta Repubblica.

Il 41-bis dispone un regime carcerario particolarmente severo, incentrato sull’isolamento delle persone detenute che potrebbero mettere a rischio la sicurezza pubblica dentro e fuori dal carcere. Come è spiegato nell’ultimo numero di Cose spiegate bene dedicato al tema della giustizia, chi è sottoposto al 41-bis è incarcerato in istituti appositi o in sezioni speciali, separate dal resto del carcere, senza accesso agli spazi comuni. Inoltre dorme in una cella singola, ha solo due ore d’aria al giorno, è costantemente sorvegliato e la sua posta viene controllata sia in entrata sia in uscita.

Il regime di 41-bis fu introdotto nel 1986 dalla legge Gozzini, che prendeva il nome dal senatore comunista Mario Gozzini e riformò il sistema carcerario per migliorarne l’aspetto rieducativo rispetto a quello punitivo. Inizialmente il 41-bis era previsto soltanto «in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza». Nel 1992, dopo la strage di Capaci in cui morì il giudice Giovanni Falcone, venne però approvato un decreto-legge che permetteva al ministero della Giustizia di assegnare il 41-bis anche ai detenuti per reati particolarmente violenti: in pratica, da quel momento potevano essere sottoposti al 41-bis anche i detenuti per reati di mafia.

L’articolo 4-bis invece è una cosa differente e venne introdotto nel 1991: impedisce alle persone condannate all’ergastolo per alcuni reati di accedere alla libertà condizionale e ai benefici penitenziari, come i permessi premio, il lavoro all’esterno e la semilibertà. I reati che «ostano» all’accesso a questi benefici (da qui l’espressione “ergastolo ostativo”) sono, tra gli altri, l’associazione di stampo mafioso, il terrorismo e l’associazione finalizzata al traffico di droga. L’ergastolo ostativo si applica anche ai condannati per mafia, a meno che questi collaborino con la giustizia e diventino “pentiti”.

Secondo le cifre fornite dal Garante nazionale delle persone private della libertà nel 2021, in Italia i detenuti per reati ostativi sono 1.259, il 70 per cento degli ergastolani totali. In pratica, le persone detenute che scontano un ergastolo “normale” sono una netta minoranza.

Il motivo per cui questo regime detentivo è molto contestato è che rende l’ergastolo una pena le cui condizioni non possono essere migliorate dal detenuto, rimuovendo la funzione “rieducativa” della pena stessa e quella di “reinserimento” di chi è condannato, e crea una discriminazione illegittima nei confronti di chi vi è sottoposto. La conseguenza è certamente un peggioramento della pena inflitta, ma questo discende da ragioni e norme diverse da quelle a cui ci si riferisce con l’espressione “carcere duro”, cioè il 41-bis.

A partire dagli anni Sessanta, una serie di riforme introdusse anche per le persone condannate all’ergastolo la possibilità di accedere alla liberazione condizionata, a patto che avessero scontato 28 anni di pena, poi ridotti a 26 con la legge Gozzini del 1986. La stessa legge prevede poi che il condannato all’ergastolo possa uscire dal carcere per il lavoro esterno e per i permessi premio “tenendo conto del percorso rieducativo” dopo aver espiato 10 anni di pena, mentre dopo 20 può usufruire della semilibertà. Infine, sempre la legge Gozzini stabilisce che la persona condannata all’ergastolo che dia prova di partecipazione all’opera di rieducazione possa avere, come gli altri detenuti, una riduzione della reclusione di 45 giorni per ogni semestre di pena scontata.

L’ergastolo ostativo, invece, escludendo questi aspetti di fatto esclude il reinserimento sociale della persona: contravvenendo così all’importante principio costituzionale scritto nell’articolo 27, secondo cui le pene «devono tendere alla rieducazione del condannato».

Proprio per questo motivo nel 2021 la Corte costituzionale italiana si espresse sull’ergastolo ostativo dichiarandolo contrario ai principi costituzionali, e invitando il parlamento a modificarlo. Poco dopo essere entrato in carica, il governo Meloni è intervenuto con un decreto-legge che di fatto mantiene il 4-bis, ma modifica le modalità di accesso ai benefici penitenziari: non più solo attraverso la collaborazione con la giustizia, ma anche dimostrando di aver interrotto qualsiasi legame con la criminalità organizzata e di aver mantenuto una condotta carceraria corretta. Questa modifica non si applica però alle persone detenute in regime di 41-bis (“carcere duro”).

– Leggi anche: Qual è la nuova questione sull’ergastolo ostativo

La questione dell’ergastolo ostativo è stata discussa in occasione dell’arresto di Messina Denaro per via delle rinnovate attenzioni nei confronti di una vecchia intervista a un collaboratore di giustizia, Salvatore Baiardo. Nell’intervista, andata in onda a novembre, Baiardo suggeriva allusivamente e senza fornire prove che la mafia avrebbe potuto offrire allo Stato qualcosa di grosso – la cattura di Messina Denaro – in cambio dell’abrogazione dell’ergastolo ostativo. Rivista a posteriori l’intervista è sembrata a molti premonitrice e sono circolate teorie infondate secondo cui l’arresto di Messina Denaro sia stato frutto di una trattativa segreta tra Stato e mafia.

Lunedì sera Nicola Porro, il conduttore di Quarta Repubblica, ha parlato di queste teorie a Meloni, che ha risposto così:

Il primo provvedimento in assoluto assunto da questo governo è la difesa del carcere ostativo, la difesa del carcere duro. Matteo Messina Denaro andrà al carcere duro perché quell’istituto esiste ancora grazie a questo governo. Quindi qualcuno deve spiegarmi su che cosa si sarebbe fatta un’eventuale trattativa.

Meloni insomma ha fatto riferimento al decreto-legge che ha mantenuto l’ergastolo ostativo – che di fatto prolunga la durata di una pena e limita i benefici, ma non ha regimi di maggiore severità delle condizioni di detenzione – ma parlando di “carcere duro”, come è chiamato invece il regime del 41-bis.

– Leggi anche: Per i detenuti lo sciopero della fame è l’unica protesta non violenta possibile