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  • Martedì 27 dicembre 2022

Si poteva evitare l’attacco contro il Centro culturale curdo a Parigi?

L'uomo che ha sparato aveva già precedenti violenti, ma sembra che le autorità abbiano sottovalutato la sua pericolosità

(Kiran Ridley/Getty Images)
(Kiran Ridley/Getty Images)
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Il 23 dicembre William M., francese di 69 anni, ha sparato nel Centro culturale curdo “Ahmet Kaya” di rue d’Enghien, a Parigi, in una zona nota per le folte comunità di persone turche, siriane e curde che ci abitano e ci lavorano. William M. ha ucciso tre persone prima di essere arrestato dalla polizia, e di essere incriminato per omicidio e tentato omicidio per motivi di razza, etnia, nazione o religione e per detenzione abusiva di un’arma. Il movente razzista, dichiarato esplicitamente dall’uomo durante il suo primo interrogatorio, è stato confermato dalla procuratrice generale di Parigi, Laure Beccuau.

Da giorni in Francia si discute dell’attacco e della possibilità che potesse essere evitato. Nel dicembre del 2021, infatti, lo stesso uomo responsabile dell’attacco al centro “Ahmet Kaya” aveva compiuto un altro attacco simile: era entrato con una sciabola in un accampamento di migranti a Parigi e aveva ferito due persone. Ora le autorità francesi sono accusate di avere sottovalutato la pericolosità dell’aggressore, ha scritto tra gli altri il quotidiano Le Monde, e di avere agito con un «pregiudizio evidentemente discriminatorio nei confronti delle vittime».

William M. è un macchinista in pensione ed era già noto alla giustizia per tre casi. Nel 2017 il tribunale di Bobigny (nord-est di Parigi) lo aveva condannato per detenzione vietata di armi. La pena di sei mesi di carcere era stata poi sospesa, ma era rimasto valido per lui il divieto di detenzione di armi per cinque anni. L’uomo era stato nuovamente condannato il 30 giugno del 2022 a dodici mesi di reclusione per atti di violenza con un’arma commessi nel 2016, condanna contro la quale aveva presentato ricorso. Il caso è ancora in corso.

Infine, pochi giorni prima dell’attacco al centro curdo di Parigi, William M. era stato rilasciato dalla custodia cautelare per un terzo e precedente caso. L’8 dicembre del 2021, fingendo di fare jogging, si era avvicinato a un campo di migranti al Parc de Bercy, nel dodicesimo arrondissement di Parigi. Una volta entrato, aveva sguainato una sciabola e gridando «morte ai migranti» aveva cominciato a squarciare le tende in cui dormivano le persone. Aveva ferito alla schiena e all’anca un uomo, poi un minore e infine era stato bloccato da altri tre abitanti del campo che avevano usato il ramo di un albero per colpirlo. William M. era rimasto leggermente ferito.

Per questi ultimi fatti, l’uomo era stato incriminato per violenza con armi con premeditazione e a carattere razzista: il 12 dicembre era stato però rilasciato sulla parola perché era terminato il periodo massimo di un anno previsto dalla legge per l’applicazione di tale misura. Il suo rilascio era stato accompagnato da un controllo giudiziario che gli vietava il possesso di armi e che lo obbligava a ricevere delle cure psichiatriche.

Sull’effettiva applicazione di questi controlli ci sono però molti dubbi, così come sulla gestione generale del suo caso. I giornali francesi hanno provato a metterli in fila.

L’8 dicembre del 2021, dopo l’attacco con la sciabola, la polizia era arrivata sul posto e aveva arrestato tutte le persone coinvolte, comprese le vittime. Cosa ancora più sorprendente, commenta Le Monde, quattro delle cinque persone aggredite, ad eccezione del minore, erano state messe in custodia dalla polizia per quarantotto ore. «Dopo la loro detenzione, queste persone ci hanno detto di non aver ricevuto alcuna assistenza e di non aver avuto accesso nemmeno a un traduttore. A quanto pare, non li hanno nemmeno davvero interrogati», ha detto Cloé Chastel, l’ex responsabile dell’associazione Aurore che lavorava nel campo.

La polizia aveva poi inviato alla procura un fascicolo sulle vittime dell’aggressione che aveva in custodia, e la procura che aveva deciso di trasferire il loro caso a un giudice istruttore per «violenza in banda organizzata». Grazie agli avvocati d’ufficio e al lavoro delle associazioni coinvolte nel campo, il giudice aveva infine deciso di scarcerarle. Le vittime, però, erano state comunque poste sotto lo status di “testimoni assistiti” che nel diritto penale francese è una condizione intermedia tra quella di semplici testimoni e quella di persone in stato di accusa.

Durante il fermo, i poliziotti avevano verificato che una delle persone aggredite, di nazionalità marocchina, non aveva il permesso di soggiorno: avevano dunque allertato la prefettura che aveva a sua volta emesso un obbligo di uscita dal territorio francese (OQTF, Obligation de quitter la France) nella sua forma più dura, senza cioè la concessione dei 30 giorni di tempo per adempiere all’obbligo. L’OQTF senza i 30 giorni viene decisa, tra le altre cose, se la persona coinvolta è a rischio di fuga o se rappresenta una minaccia per l’ordine pubblico. Nel documento dell’OQTF si specificava che la vittima dell’aggressione al campo migranti aveva commesso «violenza volontaria con un’arma»: di fatto, si era difeso con un ramo da un uomo che cercava di ucciderlo con una sciabola.

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Il giorno dopo l’attacco al campo (che ospitava una sessantina di persone, tra cui dei minori) i volontari delle associazioni che lavoravano al suo interno avevano chiesto alle forze dell’ordine di mettere in sicurezza lo spazio. In attesa che questo accadesse avevano deciso di andare sul posto in gruppo per rassicurare e sostenere le persone migranti rimaste e colpite dall’episodio. «Invece, abbiamo visto le BRAV (Brigades de répression de l’action violente motorisées, cioè poliziotti in motocicletta che si mobilitano in modo specifico durante le manifestazioni, ndr) arrivare in massa per multare gli attivisti presenti per manifestazione non autorizzata», ha raccontato Cloé Chastel. Diciannove attivisti hanno ricevuto multe pari a 135 euro ciascuna.

Quanto al campo, le richieste di messa in sicurezza avanzate dalle associazioni alla prefettura si sono concretizzate solo un mese dopo il giorno dell’aggressione. Nel frattempo, il minore ferito, non accompagnato e di origine eritrea, è stato accolto in un centro dedicato, mentre i migranti messi inizialmente in custodia «sono stati abbandonati a loro stessi»: se ne sono fatte carico varie associazioni, dice Le Monde, che hanno fatto il possibile per ospitarli e provvedere al loro sostegno psicologico. L’uomo ferito da William M., un rifugiato sudanese, ha ricevuto un certificato di malattia di dieci giorni, anche se per l’episodio traumatico che aveva vissuto non è stato in grado di lavorare per molto più tempo.

Il procedimento giudiziario relativo a questo caso è tuttora in corso. Secondo Le Monde, ci fu una evidente sottovalutazione della pericolosità di William M: di fatto, quanto accaduto al Parc de Bercy «fu trattato più come una rissa che come un tentato omicidio».

Il reato contestato a William M. al Parc de Bercy è «violenza con un’arma»: poiché è punibile con una pena inferiore a dieci anni di carcere, il presunto autore non poteva rimanere in custodia cautelare per più di un anno. Ma se l’uomo fosse stato accusato di «tentato omicidio», lo scorso 23 dicembre, quando ha attaccato il centro curdo di Parigi, si sarebbe trovato ancora in custodia cautelare. Ci sono dubbi inoltre sulle cure psichiatriche che avrebbe dovuto ricevere l’uomo: lui stesso durante l’interrogatorio in procura ha detto che il suo dichiarato «odio per gli stranieri» aveva una dimensione «patologica». Suo padre ha detto a diversi media che il figlio era «completamente pazzo».

Non ci sono infine risposte chiare su come William M. abbia fatto a ottenere una pistola, quando non solo le condizioni del suo rilascio dalla custodia cautelare ma anche la condanna del 2017 glielo avrebbero dovuto impedire.

Dopo l’attacco al centro migranti, William M. non era stato segnalato con alcuna “fiche”, cioè le categorie con le quali in Francia possono essere schedate e monitorate le persone sospettate di aver commesso qualche reato o che rientrano in specifiche tipologie: la “fiche S”, ad esempio, riguarda le persone sospettate di minacciare la sicurezza pubblica o la sicurezza dello stato, ma che non sono necessariamente già state condannate. Sebbene William M. non sembri essere affiliato a nessuna delle organizzazioni di estrema destra recentemente dichiarate illegali in Francia, le sue convinzioni e i suoi precedenti erano noti da tempo.

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