• Italia
  • Mercoledì 7 dicembre 2022

Tutti i problemi dei consultori in Calabria

La mancanza di personale e macchinari è un problema che riguarda molte regioni italiane, ma in Calabria si sono aggiunte altre questioni, come il commissariamento della sanità

di Alessandra Pellegrini De Luca

Una sala del consultorio di Locri, in Calabria (Il Post)
Una sala del consultorio di Locri, in Calabria (Il Post)
Caricamento player

Nel consultorio familiare di Locri, in provincia di Reggio Calabria, c’è un’ampia sala con dentro un semicerchio di sedie colorate: il personale le usa per svolgere corsi di preparazione al parto e gruppi di discussione e di ascolto con le utenti e gli utenti della struttura. Nella sala d’attesa ci sono alcuni giochi per bambini e l’atmosfera, confortevole e informale, fa capire piuttosto bene cosa oggi dovrebbe essere un consultorio: non un ambulatorio medico, ma un presidio territoriale socio-sanitario dedicato alla cura e alla salute sia fisica che psicologica della donna e della famiglia.

Nel consultorio di Locri, considerato il più completo nella Locride, lavorano cinque operatrici, un numero non sufficiente per svolgere tutto il lavoro necessario: un’ostetrica, un’infermiera, una psicologa, un’assistente sociale e una ginecologa. Mancano alcune figure, come il pediatra, e quasi tutte quelle che ci sono lavorano solo parzialmente nella struttura, perché impiegate allo stesso tempo in altri consultori, dove il personale è carente, di nuovo. Nel consultorio manca anche un ecografo, più volte chiesto dal personale all’azienda sanitaria provinciale (ASP) competente, quella di Reggio Calabria.

In Calabria i consultori laici e pubblici che non hanno sufficiente personale e adeguate strumentazioni sono sempre di più: «È un patrimonio che stiamo perdendo», ha detto un’attivista del Movimento Riprendiamoci i consultori, formato da un gruppo di attiviste e attivisti della Locride e che proprio in queste settimane sta cercando di far riaprire uno dei consultori che recentemente sono stati chiusi.

La Calabria non è l’unica regione italiana che ha questi problemi: testimonianze e racconti simili arrivano anche dalle Marche, dall’Umbria e dal Lazio, tra le altre. Ma è in un certo senso un caso a sé per le conseguenze di 12 anni di commissariamento della sanità, che tra piani di rientro dal debito e tagli delle spese sta impoverendo sempre di più, oltre ai consultori, anche ospedali e altri servizi della sanità pubblica, in moltissimi casi portando alla loro chiusura.

– Leggi anche: Da dove viene il disastro della sanità in Calabria

I consultori familiari furono istituiti con la legge 405 del 1975, in un periodo in cui vennero fatti importanti passi avanti sui diritti civili e sull’autodeterminazione della donna, per esempio con la riforma del diritto di famiglia e la legalizzazione del divorzio e dell’aborto: prima degli anni Settanta non solo era illegale divorziare o abortire, ma l’uomo era il capofamiglia, e la moglie gli era esplicitamente subordinata.

I consultori sono centri territoriali di cura e di ascolto, ma diversamente dagli ospedali sono caratterizzati da una forte componente sociale: nacquero sull’esempio dei centri autogestiti femministi (benché per come erano stati pensati furono in parte contestati dalle stesse femministe), e nel corso degli anni hanno contribuito a rafforzare l’emancipazione femminile, per esempio diffondendo l’uso della contraccezione e facilitando l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). I consultori possono anche offrire alcune prestazioni mediche come ecografie o pap test, e l’accesso è libero, immediato e gratuito, anche per persone minorenni e straniere.

Una sala del consultorio di Bianco, nella Locride (Il Post)

Rispetto alla media nazionale la Calabria è relativamente vicina allo standard del numero di consultori previsti per legge (uno ogni 20mila abitanti): secondo l’indagine nazionale 2018-2019 fatta dall’Istituto Superiore di Sanità, in Calabria c’è un consultorio ogni 29mila abitanti circa (la media nazionale è uno ogni 32mila abitanti e la Lombardia, per fare un esempio, ne ha uno ogni 39mila). In alcune aree in particolare – come la Locride, che ha 7 consultori per circa 140mila abitanti – ci sono almeno sulla carta tutti i consultori che servono.

Nei fatti però la realtà è molto diversa. Benché risultino aperti e operativi, alcuni consultori in realtà sono chiusi. Il caso più recente è stato quello del consultorio di Polistena, la cui chiusura è stata annunciata proprio lo scorso settembre a seguito del pensionamento dell’ultimo operatore, uno psicologo, ancora attivo nella struttura. Contro la chiusura del consultorio ha protestato pubblicamente il sindaco di Polistena, Michele Tripodi, chiedendo all’ASP di Reggio Calabria il ricambio del personale, per ora senza ricevere risposta (contattata dal Post, l’ASP di Reggio Calabria non si è resa reperibile per chiarimenti sulla questione).

Ci sono poi casi di chiusure e riaperture cicliche, spesso dopo proteste organizzate dalle attiviste locali. Due casi piuttosto emblematici sono i consultori di Celico e di San Giovanni in Fiore, entrambi nell’area di Cosenza.

«Celico è rimasto chiuso per circa un mese a causa del mancato ricambio del personale pensionato: ora è stato riaperto, ma funziona due giorni a settimana e solo grazie a operatori e operatrici esterni o in mobilità da altri consultori», dicono le attiviste di FEM.IN. Cosentine in lotta, un collettivo femminista della zona, descrivendo una situazione di «costante tamponamento, con nulla di stabilizzato o garantito». Le attiviste di FEM.IN dicono che anche a Celico, come in altri consultori della regione, non c’è un ecografo.

L’ingresso del consultorio di Bianco, nella Locride (Il Post)

Stefania Fratto, presidente dell’associazione Donne e Diritti, ha raccontato invece che a San Giovanni in Fiore, sempre nel cosentino, il consultorio sta funzionando due giorni a settimana dopo aver rischiato di chiudere nel giugno del 2021: «Abbiamo organizzato 15 giorni di sit-in per evitare che succedesse: mancano comunque molte figure, nessuna di quelle attive c’è a tempo pieno e sia qui che in ospedale mancano un ecografo e un mammografo».

Le attiviste e gli attivisti di Riprendiamoci i consultori hanno raccontato anche del consultorio di Rosarno, sempre in provincia di Reggio Calabria, che fino a pochi mesi fa era aperto grazie alla sola presenza di un membro del personale amministrativo. Non è chiaro a cosa potesse servire un solo operatore di questo tipo in una struttura che dovrebbe occuparsi di prevenzione e ascolto. Il Post ha provato a contattare il consultorio in questione in più occasioni, ma il numero indicato sul sito, dove la struttura risulta aperta e funzionante, non risultava attivo: è quindi probabile che sia stato chiuso.

Riprendiamoci i consultori ha raccontato anche di casi in cui le utenti si sono presentate in un consultorio trovandolo chiuso senza nemmeno un avviso sulla porta: «È successo al consultorio di Siderno, dove alcune utenti che volevano fare un pap test sono rimaste in attesa almeno un’ora sotto la pioggia per poi iniziare a protestare», hanno detto le attiviste,«l’ostetrica era malata e l’amministrazione non aveva provveduto a sostituirla né ad avvisare le donne che avevano un appuntamento».

Un’operatrice della provincia di Reggio Calabria ha raccontato invece di aver dovuto mandar via diverse utenti che chiedevano un’ecografia, sempre a causa della mancanza della strumentazione necessaria ad effettuarla.

È difficile anche fare una stima del livello di utenza dei consultori calabresi, misurare cioè a quante persone concretamente manchi il servizio offerto: i risultati relativi alla Calabria dell’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità 2018-2019 dicono che questa regione si colloca tra le tre italiane con la più bassa percentuale di utenti dei consultori rispetto alla popolazione, con 3,1 utenti per consultorio ogni 100 abitanti (la media nazionale era 5,2): ma è un calcolo fatto sui pochi dati disponibili, quelli forniti dall’ASP di Cosenza – descritta come una delle più funzionanti – e dal distretto di Soverato, in provincia di Catanzaro, le due realtà che hanno partecipato all’indagine.

Un avviso sulla porta del consultorio di Bovalino, nella Locride (Il Post)

Nei consultori attivi il personale è sovraccarico. Oltre a dividersi su più consultori, alcuni operatori e operatrici delle strutture con meno personale raccontano di non riuscire a gestire con efficienza il carico di lavoro quotidiano, pur facendo di tutto per continuare a garantire un servizio di qualità. Un caso descritto come emblematico è quello delle psicologhe che oltre al lavoro consultoriale sono chiamate dai tribunali dei minori a fornire le proprie valutazioni rispetto a casi di affidamento o allontanamento.

Sulla scrivania di una psicologa di un consultorio della provincia di Reggio Calabria c’è un grosso faldone pieno di carte: «Sono sette provvedimenti da valutare per casi di affidamento, ricevuti in una sola giornata», ha spiegato la psicologa, che lavora nel consultorio da 25 anni e dice che sono dieci anni che non vengono assunti nuovi operatori, nonostante i progressivi pensionamenti dei suoi colleghi. Dietro la scrivania c’è un armadietto con dentro altri faldoni di altre pratiche: «Sono casi delicati che comportano colloqui e osservazione pratica: i tempi che abbiamo per valutarli sono impossibili in assenza di un’équipe dedicata, e tutto questo toglie tempo al lavoro di prevenzione che dovremmo fare come operatrici e operatori del consultorio», ha detto.

In Calabria la mancanza di personale sembra essere dovuta soprattutto al commissariamento della sanità: i commissari, nominati dal governo centrale, applicano piani di rientro studiati per ridurre il deficit, risparmiando più soldi possibili e tagliando sulle spese, comprese quelle per le assunzioni necessarie a mantenere le strutture funzionanti.

Ma operatori e attiviste ritengono che ci sia anche un secondo livello, che accomuna le molte altre regioni italiane in cui i consultori sono descritti e raccontati come in crisi: quello della svalutazione e dell’impoverimento della sanità pubblica territoriale, «frutto di una visione sempre più aziendalistica della sanità», secondo Daniela Diano, psicologa e attivista vicina a Riprendiamoci i consultori.

Nei consultori calabresi un altro problema riguarda l’obiezione di coscienza rispetto al diritto di accesso all’aborto: i consultori sono uno dei luoghi in cui si può richiedere il certificato necessario ad effettuare un’interruzione volontaria di gravidanza, ma in alcune aree è semplicemente impossibile praticarla.

Avere i dati precisi sul numero di obiettori di coscienza all’interno delle singole strutture è praticamente impossibile, come spiegato nel dettaglio da Chiara Lalli e Sonia Montegiove nell’indagine Mai Dati. Ma secondo le attiviste e gli attivisti di Riprendiamoci i consultori «nella Locride il 100 per cento del personale di consultori e ospedale è obiettore»: un’attivista del movimento ha spiegato che per tutti i consultori della Locride c’è una sola ginecologa, obiettrice, e che all’ospedale di Locri, l’unico della Locride, non si effettua l’IVG.

Come precisato da diverse sentenze lo status di obiettore riguarda in realtà esclusivamente la pratica dell’interruzione di gravidanza, e non le azioni precedenti o successive alla pratica stessa, come ad esempio la consegna del certificato, da parte di un consultorio, che attesti la gravidanza e la volontà della donna di interromperla: il certificato è necessario ad effettuare l’aborto, ma non coincide con la pratica abortiva.

– Leggi anche: Nei consultori non possono esserci obiettori di coscienza

La mancanza di personale disposto a rilasciare i certificati fa sì che chi voglia rivolgersi a un consultorio per un aborto debba spostarsi spesso lontano da dove abita, in aree in cui peraltro non è possibile fare affidamento sui servizi pubblici: «Qui ti sposti solo se hai la macchina: è il primo investimento che ho fatto appena compiuti i 18 anni», dice una delle attiviste del movimento.

Né è detto che in assenza di contatti con associazioni e reti di attiviste chi deve spostarsi sappia quali strutture garantiscono l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza, sempre perché questo tipo di dati non è accessibile. Dal 2020, inoltre, il ministero della Salute ha aggiornato le proprie linee d’indirizzo e reso possibile nei consultori anche la somministrazione della RU486 (la pillola abortiva), prima vietata.

Il Post ha contattato 26 consultori: 11 non hanno risposto al telefono, 10 non hanno dato informazioni al riguardo e 5 hanno detto di non essere autorizzati a somministrare la pillola abortiva; Giampiero Russo, responsabile dei consultori per l’area di Cosenza, ha detto che «a livello regionale non è ancora stata adottata la delibera necessaria per poterla distribuire anche nei consultori».

In Calabria la situazione non è uguale dappertutto. Ci sono singoli consultori e intere aree in cui le cose sembrano funzionare un po’ meglio: due esempi molto citati da utenti e attiviste sono il consultorio di Taurianova nel reggino e quello di Trebisacce nel cosentino, in cui quindi si riversano utenti da tutta la provincia. Nell’area di Cosenza l’ASP locale ha assunto negli ultimi anni alcune nuove figure: Giampiero Russo ha detto che hanno comunque dovuto farlo «con qualche acrobazia» dovuta al tetto di spesa stabilito dalla Regione, in molti casi con contratti precari o a tempo determinato. «Si lavora a macchia di leopardo: ci sono singoli casi molto ben funzionanti e situazioni disastrose», ha detto un’ostetrica della zona.

Un caso di questo tipo era stato il consultorio di Stilo, nella Locride: era stato chiuso lo scorso settembre a seguito di una segnalazione fatta sui social da Riprendiamoci i consultori. Il consultorio era fatiscente, soprattutto nei servizi igienici, e d’inverno il personale era costretto a portarsi le stufe da casa per riscaldarsi. Temendo che la sua chiusura – «necessaria, dato il degrado delle sue condizioni», ha detto un’attivista del movimento – si traducesse nella perdita di un altro presidio, insieme alle amministrazioni locali le attiviste si sono attivate per trovare uno spazio in cui trasferire e riaprire il consultorio.

Lo spazio è stato trovato a Bivongi, un paese di circa 1.100 abitanti nella Valle dello Stilaro, nell’entroterra della provincia di Reggio Calabria. «Il consultorio riaprirà anche grazie all’attenzione e all’ascolto della commissaria dell’ASP di Reggio Calabria, la dottoressa Lucia Di Furia, e al sostegno del responsabile dei consultori della stessa ASP, il dottor Antonio Alvaro», hanno detto le attiviste e gli attiviste di Riprendiamoci i consultori, spiegando che la disponibilità dello spazio a Bivongi è stata data in modo tempestivo dal sindaco, Vincenzo Valenti, «un ex medico di base consapevole dell’importanza della medicina del territorio».

Nello stabile, spazioso e pulito, ci sono due sale ambulatoriali, una stanza recentemente adibita a seggio elettorale e un’ampia sala con avanzi di costumi, trucchi di scena e scenografie teatrali, rimasti lì dopo alcuni laboratori organizzati da studenti. Il consultorio sarà in una parte dello stabile che ha un’ingresso separato sul retro, per garantire riservatezza alle future utenti. Aprirà venerdì 16 dicembre: per ora per due giorni a settimana e con un’ostetrica che effettuerà pap-test, visite e incontri di sostegno pre e post parto.

Un corridoio del poliambulatorio di Bivongi, dove riaprirà il consultorio che prima era a Stilo (Foto di Riprendiamoci i consultori)