I diorami che riproducono le scene del crimine

Negli anni Quaranta li faceva a mano l'ereditiera Frances Glessner Lee: diedero una svolta alle scienze forensi

Il diorama di Frances Glessner Lee sulla morte di Marie Jones (Lorie Shaull, Wikimedia Commons)
Il diorama di Frances Glessner Lee sulla morte di Marie Jones (Lorie Shaull, Wikimedia Commons)
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La mattina del 29 giugno del 1944 in una città non nota degli Stati Uniti una donna che si chiamava Marie Jones fu trovata morta nel suo appartamento dalla padrona di casa, che aveva notato la porta della stanza aperta. Il fidanzato di Jones, Jim Green, raccontò alla polizia di averla incontrata il pomeriggio del giorno prima e di aver comprato assieme a lei due bottiglie di whisky prima di tornare a casa sua per trascorrere la serata. Secondo il racconto di Green, Jones era molto ubriaca: all’improvviso prese il coltello a serramanico che lui aveva usato per tagliare il cordino del pacco che conteneva le bottiglie e si chiuse nel guardaroba. Quando Green riuscì ad aprire la porta, disse, la trovò a terra, morta con un taglio alla gola.

Le circostanze della morte di Jones – come quelle di altri presunti suicidi, omicidi o morti accidentali – furono ricostruite nei minimi dettagli dall’ereditiera di Chicago Frances Glessner Lee in uno dei suoi particolari diorami: modellini tridimensionali, simili a case delle bambole, che però rappresentavano scene del crimine in maniera estremamente accurata. Grazie ai suoi modelli, che erano stati pensati per insegnare agli investigatori a individuare e interpretare le prove, Glessner Lee venne considerata la “madre delle scienze forensi”: ancora oggi in qualche occasione i suoi lavori vengono usati per la formazione professionale di chi si occupa di scene del crimine.

Frances Glessner Lee nacque nel 1878 da una famiglia molto ricca grazie alla sua azienda di attrezzature agricole, la International Harvester. Studiò a casa assieme al fratello: come lui, avrebbe voluto andare all’università di Harvard, dove però non fu ammessa perché era una donna. Cominciò però a interessarsi alle investigazioni criminali grazie a George Burgess Magrath, un compagno di studi del fratello e successivamente professore di patologia alla Harvard Medical School, e negli anni Trenta contribuì a finanziare il dipartimento di Medicina Legale dell’università, il primo nel suo genere.

Cominciò a creare le sue miniature quando aveva più di sessant’anni, mettendo insieme la passione per le scienze forensi e le sue abilità in una forma d’arte che era considerata tipicamente femminile. Chiamò i modelli “Nutshell Studies of Unexplained Death”, che si può tradurre un po’ liberamente come “brevi studi di morti non spiegate”: nelle sue parole, erano strumenti con cui gli investigatori si potevano esercitare a «far condannare i colpevoli, scagionare gli innocenti e trovare la verità in breve».

I modellini erano completamente fatti a mano, erano dettagliatissimi e riproducevano in maniera piuttosto fedele scene del crimine realmente esistite. Si basavano perlopiù sulle autopsie dei cadaveri e sulle ricostruzioni della polizia, ma in qualche caso anche sulle osservazioni della stessa Glessner Lee, che poi abbelliva gli ambienti dei diorami con decorazioni di fantasia per renderli ancora più realistici. Tra le altre cose si vedono schizzi di sangue sulle pareti e minuscole sigarette rollate a mano con dentro vero tabacco, ma anche calze e indumenti cuciti a mano o libri e giornali con scritte in miniatura, tutti oggetti che erano effettivamente presenti sulle scene del crimine. Gli arredi e le finiture nello stile dell’epoca però probabilmente erano stati aggiunti da lei.

Per fare un esempio concreto di come i modellini di Glessner Lee potevano essere utili per un’indagine, si può osservare quello che riguarda la vicenda di Robin Barnes, una donna trovata morta l’11 aprile del 1944 nella sua cucina. Barnes era stata trovata dal marito Fred, che disse alla polizia di averla vista viva prima di uscire di casa per circa un’ora e mezza per una commissione.

Nel diorama, come nella realtà, la stanza era piena di oggetti, dalle scatole di alimenti perfettamente etichettate ai numerosi utensili da cucina. Le manopole del forno a gas indicavano che l’apparecchio era in funzione, mentre le due porte erano chiuse dall’interno, con lo spazio fra gli stipiti riempito di carta di giornale: indizi che potevano far pensare a un suicidio per intossicazione da monossido di carbonio, come d’altra parte le guance rosse di Barnes. Al tempo stesso, il fatto che la donna sembrasse impegnata nelle attività casalinghe, come suggeriscono la torta nel forno e le pentole nel lavabo, doveva far dubitare gli investigatori.

Come ha notato Erin Bush, ricercatrice di Storia alla University of North Georgia, era pertanto possibile che Barnes fosse stata colpita alla testa da una delle «molte armi» presenti nella stanza, come il ferro da stiro o il matterello.

Frances Glessner Lee al lavoro su uno dei suoi modellini (Smithsonian American Art Museum, YouTube)

Gran parte delle soluzioni ai casi trattati da Glessener Lee è tenuta nascosta per non rovinare l’esperienza degli investigatori che ancora oggi li usano per allenarsi. Bush ha detto che l’obiettivo dei modellini di Glessner Lee era quello di «allenare l’occhio a vedere dettagli piccoli, minuziosi e apparentemente insignificanti» che però «spiccavano» in una scena del crimine. Fino agli anni Quaranta infatti di norma la formazione degli investigatori era molto scarsa, con il risultato che spesso le prove più importanti non venivano riconosciute, erano contaminate o non venivano prese in considerazione per via di qualche pregiudizio. In questo senso, i modellini di Glessner Lee diventarono uno strumento in più per esercitarsi, imparare a fare attenzione anche ai dettagli e sviluppare il senso critico: contribuirono insomma a far progredire il campo delle indagini criminali, che peraltro era tradizionalmente dominato dagli uomini.

Per il suo ruolo nello sviluppo del settore, nel 1943 Glessner Lee fu la prima donna degli Stati Uniti a ottenere il titolo di capitana onoraria in polizia. Due anni dopo donò i suoi diorami all’università di Harvard, dove lei stessa teneva seminari per insegnare agli investigatori a osservarli e a trarne conclusioni senza necessariamente dover trovare una soluzione. Come scrisse nel 1952 in un articolo pubblicato sul Journal of Criminal Law and Criminology, «va inteso che questi modelli non sono “whodunit”», l’espressione inglese che indica i tentativi di capire chi ha commesso un certo crimine: «Sono pensati per essere un esercizio di osservazione, interpretazione, valutazione e riassunto» di quello che si ha davanti.

Prima di morire nel 1962, Glessner Lee aveva realizzato venti miniature, che quando il dipartimento di Medicina Legale dell’università di Harvard fu sciolto (due anni dopo) furono donate all’ufficio del Chief Medical Examiner del Maryland, l’agenzia statale incaricata di indagare sulle morti improvvise. Oggi ne sono rimaste 19, che di tanto in tanto l’agenzia del Maryland usa durante i suoi seminari a Baltimora. I lavori di Glessner Lee hanno peraltro ispirato il personaggio del “killer delle miniature” nella settima stagione della celebre serie tv CSI – Scena del crimine.

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