Cosa c’è nella prima legge di bilancio del governo Meloni

Soprattutto misure contro i rincari dell'energia, "Quota 103" per andare in pensione e alcune modifiche al reddito di cittadinanza

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro per le Infrastrutture Matteo Salvini.
(ANSA/FABIO FRUSTACI)
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro per le Infrastrutture Matteo Salvini. (ANSA/FABIO FRUSTACI)
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Il governo guidato da Giorgia Meloni ha approvato in Consiglio dei ministri il disegno di legge di bilancio per il 2023, che contiene tutte le misure aggiuntive che il governo vuole introdurre nel prossimo anno.

Vale circa 35 miliardi: due terzi sono finanziati in deficit, ossia aumentando il debito pubblico, mentre la restante parte è finanziata riducendo altre spese e aumentando qualche tassa. La maggior parte delle risorse, circa 21 miliardi, è destinata a prorogare all’anno prossimo molte misure attualmente in vigore per sostenere imprese e famiglie che devono fare i conti con i rincari dell’energia. La restante parte serve a finanziare nuovi provvedimenti su tasse e pensioni. Ci sono anche modifiche importanti al funzionamento del reddito di cittadinanza e l’aumento del tetto all’uso del denaro contante.

È una legge di bilancio con poche misure veramente identitarie della nuova maggioranza, perché la maggior parte delle risorse sarà utilizzata per rifinanziare tutte quelle misure contro i rincari dell’energia. Restano poche risorse per tutte le varie promesse fatte durante la campagna elettorale, come la flat tax, il superamento della legge Fornero sulle pensioni e così via. Dalle ricostruzioni di questi giorni, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni avrebbe voluto fortemente questo impianto: prima si affrontano i problemi dei rincari e per il resto ci sarà spazio nelle prossime leggi di bilancio.

È un segnale di prudenza sui conti pubblici, che risponde a varie esigenze: tenere sotto controllo il giudizio degli investitori sui mercati finanziari, non creare tensioni nel dialogo con la Commissione Europea, e facilitare la discussione e l’approvazione del testo finale in parlamento, evitando tensioni con l’opposizione. Quest’ultima è un’esigenza particolarmente importante quest’anno perché la legge di bilancio arriva con molto ritardo rispetto alle scadenze tradizionali. Il disegno di legge solitamente dovrebbe arrivare in parlamento per la discussione intorno al 20 ottobre e deve essere approvato senza possibilità di proroga entro il 31 dicembre. Ma il governo di Meloni si è insediato solo da qualche settimana e deve fare i conti quindi con tempi molto stretti.

– Leggi anche: Cos’è la legge di bilancio, spiegato

Misure contro i rincari dell’energia
Valgono circa 21 miliardi e la maggior parte sono semplici rifinanziamenti di ciò che era stato introdotto già dal governo guidato da Mario Draghi. Resteranno in vigore il taglio delle accise sui carburanti, che però si ridurrà a 18,3 centesimi al litro dai 30,5 attuali, il bonus sociale sulle bollette per le famiglie con redditi bassi (rivolto a famiglie con redditi ISEE fino a 15 mila euro, dai 12 mila attuali) e i crediti di imposta per le imprese. Questi ultimi saranno potenziati: si potrà portare a credito di imposta il 35 per cento delle spese per l’energia sostenute dalle piccole attività commerciali (dal 30 per cento) e il 45 per le imprese più grandi (dal 40 per cento). I provvedimenti saranno finanziati per i primi tre mesi del 2023.

Taglio delle tasse sul lavoro e flat tax
È stato confermato il taglio delle tasse sul lavoro, il cosiddetto cuneo fiscale, di 2 punti percentuali per i redditi fino a 35mila euro. Lo sconto era stato introdotto già da agosto dal governo Draghi. Il taglio sarà incrementato di un altro punto, per un totale di 3 punti, per chi ha un reddito inferiore a 20mila euro. Inoltre, le aziende che assumeranno a tempo indeterminato dipendenti con meno di 36 anni avranno sconti sui contributi da pagare per un massimo di 6 mila euro all’anno.

Sarà poi aumentata la soglia per poter accedere alla flat tax al 15 per cento per i lavoratori autonomi, da 65mila euro di reddito annuo a 85mila. È stata inserita anche la flat tax incrementale, voluta da Fratelli d’Italia: si applicherà agli aumenti di reddito degli autonomi che dichiarano fino a 40 mila euro di reddito.

In entrambi i casi non si tratta di una vera e propria flat tax, ma di un trattamento di favore che aveva già introdotto nel 2019 il governo guidato da Lega e Movimento 5 Stelle verso gli autonomi, categoria che peraltro è quella che evade di più.

Riduzione dell’IVA
I componenti del governo avevano parlato per giorni del taglio o addirittura dell’azzeramento dell’IVA su pane, pasta e latte, che però non è stato inserito nella legge di bilancio alla fine. Era una misura che avrebbero voluto fortemente Lega e Forza Italia, ma non Fratelli d’Italia, che invece l’aveva reputata eccessivamente costosa. È stato invece trovato un accordo per far scendere al 5 per cento l’IVA su sui prodotti di prima necessità per l’infanzia (come pannolini, biberon, omogeneizzati, attualmente al 22 per cento) e sugli assorbenti (attualmente al 10 per cento).

Il taglio dell’IVA avrebbe il vantaggio di abbassare direttamente l’inflazione sui beni di prima necessità, riducendo l’aggravio per le famiglie e sostenendo i consumi. Dall’altro lato però si tratterebbe di un intervento regressivo e probabilmente iniquo. L’IVA infatti la pagano tutti, a prescindere dal reddito. Ridurla, seppur solo per i beni di prima necessità, avvantaggerebbe quindi anche chi non è in difficoltà, perché gli esercenti non possono chiedere la dichiarazione dei redditi a chi fa acquisti.

Si era discusso della possibilità di introdurre questa misura già ad agosto, quando era ancora in carica il governo Draghi, di cui la Lega faceva parte: allora però si optò per misure più selettive che aumentassero direttamente i redditi più bassi.

Quota 103
Dal primo gennaio 2023 sarà introdotta una riforma pensionistica che eviterà il ritorno alla legge Fornero, rimandato da anni da tutti i governi in carica perché considerato peggiorativo rispetto allo stato attuale delle cose. È una riforma temporanea, che per ora riguarderà solo il prossimo anno: è chiamata “Quota 103” e prevede il pensionamento con almeno 41 anni di contributi e 62 anni di età, per un totale di 103 anni (da qui il nome della riforma). Senza questo intervento le condizioni per andare in pensione sarebbero state 67 anni di età ed almeno 20 anni di contributi oppure dopo 42 anni e dieci mesi di contribuzione (un anno in meno per le donne) a prescindere dall’età.

Sarà aumentato l’importo delle pensioni minime a 570 euro: saranno percepiti 45 euro in più al mese, che comprendono anche il meccanismo di rivalutazione per l’adeguamento all’inflazione.

Le modifiche al reddito di cittadinanza
Per il reddito di cittadinanza la legge di bilancio prevede la fine dell’erogazione del sussidio ad agosto del 2023 per chi può lavorare. Ci saranno quindi otto mesi per inserire i lavoratori considerati idonei nel mondo del lavoro, che dovranno frequentare appositi corsi di formazione obbligatori.

Il governo aveva anche considerato l’idea di interrompere il sussidio per queste persone già da gennaio, che avrebbe fatto risparmiare allo stato 1,8 miliardi di euro l’anno al prezzo di lasciare centinaia di migliaia di persone improvvisamente senza un reddito. È stata così adottata una soluzione “ponte” di quasi un anno: nel 2023 i cosiddetti “occupabili” riceveranno il sussidio per 8 mesi, mentre per chi non può lavorare di fatto non cambierà niente.

I partiti che compongono la maggioranza sono sempre stati piuttosto contrari al reddito di cittadinanza, sebbene nessuno di loro durante la campagna elettorale avesse avuto il coraggio di dire esplicitamente cosa avrebbero voluto farne una volta al governo e sebbene la Lega facesse parte del governo che l’ha introdotto. La posizione di Meloni era quella più chiara: tempo fa arrivò addirittura a definirlo «metadone di stato».

Aumento del tetto all’uso del denaro contante
Il governo ha inserito nella legge di bilancio l’aumento del tetto all’uso del contante da 2mila a 5mila euro. Era una misura già inserita in un decreto precedente, ma per motivi tecnici è stata rimossa e poi inserita nella legge di bilancio.

– Leggi anche: Che senso ha alzare il tetto all’uso del denaro contante?