Che senso ha alzare il tetto all’uso del denaro contante?

Lo propone il governo di Giorgia Meloni: gli effetti sono controversi, e per i partiti sembra una questione più che altro simbolica

(Photo by David Ramos/Getty Images)
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È probabile che per l’ennesima volta un governo italiano modifichi il tetto sull’uso del denaro contante, ossia quella soglia sopra la quale è vietato per legge usare i contanti. Mercoledì la Lega ha depositato alla Camera un progetto di legge per alzare il limite all’uso del contante dagli attuali 2 mila a 10 mila euro. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, replicando ai deputati che ne chiedevano conto durante la discussione alla Camera sul voto di fiducia, ha confermato che il suo governo ha intenzione di alzare il tetto, anche se probabilmente non sarà indicata una soglia alta come quella proposta dalla Lega.

La discussione sul tetto all’uso del denaro contante è sempre stata molto polarizzata: secondo la sinistra favorirebbe l’evasione fiscale e la criminalità, mentre secondo la destra un limite all’uso rappresenta di per sé una costrizione della libertà personale e un rischio per i consumi italiani. Non esistono però molti studi scientifici a riguardo, e la discussione ha assunto più che altro un valore simbolico, in cui ciascuna parte politica cerca di dare un segnale al proprio elettorato di riferimento.

Il tetto è stato cambiato tantissime volte. Nel 2011, nel pieno della crisi finanziaria, il governo tecnico guidato da Mario Monti con il decreto Salva Italia abbassò il limite da 2.500 a mille euro per rendere più difficile l’evasione e far aumentare così le entrate del fisco. Nel 2016 il governo Renzi lo portò a 3 mila euro, triplicando il limite deciso alla fine del 2011. Durante il secondo governo guidato da Giuseppe Conte, che tra le altre cose aveva anche introdotto il cashback di stato (poi sospeso) per incentivare l’uso dei pagamenti elettronici, il limite era stato poi riportato a 2 mila euro nel 2020, prevedendo un’ulteriore discesa a mille euro a inizio 2022.

All’inizio di quest’anno, però, una modifica inserita nel Milleproproghe da Lega e Forza Italia, peraltro contraria alle indicazioni del governo di Mario Draghi, aveva spostato l’entrata in vigore della soglia più bassa dal primo gennaio 2022 al primo gennaio 2023. Dal prossimo anno il tetto dovrebbe dunque scendere di nuovo a mille euro, ma è probabile che il governo guidato da Giorgia Meloni lo modifichi già nella legge di bilancio da approvare entro il 31 dicembre.

Secondo la presidente del Consiglio non esiste una «correlazione tra intensità del limite del contante e diffusione dell’economia sommersa», quindi, secondo Meloni, l’evasione fiscale non aumenterebbe se si alzasse il limite dell’uso del contante.

Per avvalorare la sua tesi, e depurarla dal pregiudizio ideologico, durante la discussione Meloni ha fatto notare come le stesse parole le avesse usate anche Pier Carlo Padoan, che è stato il ministro dell’Economia prima del governo di Matteo Renzi e poi del governo di Paolo Gentiloni, entrambi a guida PD. Nel 2016 Padoan portò il tetto del contante da mille a 3 mila euro, decisione di cui poi però si disse pentito nel 2019: «È stato un errore, e io ero contrario».

Tornando a oggi, questa misura faceva già parte del programma della destra presentato per le elezioni del 25 settembre, in cui si prometteva un «innalzamento del limite all’uso del denaro contante, allineandolo alla media dell’Unione europea». Secondo il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini la questione di aumentare l’uso del contante è una questione principalmente di libertà e di riduzione della «burocrazia», anche se non è chiaro in che modo i pagamenti in contante dovrebbero incidere in questo senso.

Le cose però sono un po’ più complicate. Quando si parla di tetto all’uso del contante sono essenzialmente tre gli aspetti da tenere in considerazione: quale impatto ha sull’evasione, quali sono gli effetti sulla concorrenza nei consumi rispetto agli altri paesi, quali sarebbero le categorie che potrebbero trarne beneficio. Ci sarebbe poi anche un altro aspetto da tenere in considerazione, che però in Italia trova poco seguito mentre è molto discusso all’estero: lo scoraggiamento nell’uso del contante serve anche per limitare il riciclaggio di denaro proveniente da attività criminali e dal terrorismo.

La discussione politica su questo tema è molto polarizzata e ideologica. Gli esponenti di centrosinistra sono fortemente contrari ad aumentare l’uso del contante perché diventerebbe più facile evadere e si rischierebbe di fatto di rendere più facili le attività criminali, che per non essere tracciabili richiedono l’uso dei contanti.

Secondo Meloni, e la destra in generale, un innalzamento del tetto del contante sarebbe invece positivo: innanzitutto, non è dimostrato un legame con l’evasione fiscale, che quindi non è detto che aumenterebbe; consentirebbe all’Italia di restare competitiva verso quei paesi che hanno un limite più alto del nostro; andrebbe a favore delle fasce più povere.

Detto questo, nei fatti la misura di aumentare il limite per i pagamenti è più simbolica che pratica: le opinioni dei partiti su questo tema servono principalmente a lanciare al proprio elettorato di riferimento un segnale forte sul posizionamento che intendono prendere. La sinistra si rivolge a chi, di fatto, non avrebbe davvero necessità di movimentare 10mila euro in contanti. La destra, al contrario, sembra lanciare un segnale alle persone con partita IVA e alle piccole imprese, a cui intendono assicurare la massima libertà di operare, anche con i contanti.

Il nesso tra contante, evasione ed economia sommersa
Mentre le posizioni politiche e ideologiche sono molto nette, sono invece più incerte le conseguenze di un aumento del tetto nella letteratura economica.

I dati raccolti dall’European consumer centres network, un organismo creato nel 2005 dalla Commissione europea a tutela dei consumatori, mostrano che tra i 27 paesi dell’Unione europea ce ne sono 10 (Austria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo e Paesi Bassi) che non hanno un tetto al contante. Paragonando l’evasione fiscale con i diversi limiti ai pagamenti in contanti non sembra emergere alcun legame tra le due cose. Questo perché il livello di evasione fiscale dipende da tantissimi aspetti, di tipo culturale, criminale ed economico, per cui è difficile imputare solo al contante questo fenomeno.

È stato poi molto citato dagli esponenti del centrosinistra uno studio di Banca d’Italia del 2021, dal titolo evocativo Pecunia olet (in latino, il denaro puzza), che ha cercato di capire il rapporto tra tetto al contante ed economia sommersa, soprattutto perché non c’è un consenso scientifico su questo tema.

Il riferimento all’economia sommersa non è casuale: mentre l’evasione riguarda solo il fenomeno fiscale di sottrazione di alcune transazioni o redditi al fisco, l’economia sommersa riguarda tutte le attività economiche che si sottraggono a qualsiasi rilevazione statistica, tra cui le attività criminali, il lavoro nero e via così. Tutte attività che, per non essere tracciabili, fanno ampio uso del denaro contante.

In particolare, gli autori hanno studiato l’aumento del tetto al contante a 3 mila euro introdotto dal governo Renzi, che giustificò la misura con l’obiettivo di stimolare i consumi. I risultati della ricerca mostrano che, a parità di condizioni, un aumento dell’1 per cento delle transazioni in contanti ha comportato un aumento tra lo 0,8 per cento e l’1,8 per cento dell’economia sommersa. Inoltre, l’aumento del tetto al contante del 2016 avrebbe contribuito a far crescere le transazioni nascoste al fisco.

Gli autori però non nascondono che l’evasione e l’economia sommersa abbiano tantissime dimensioni: non è quindi possibile stabilire un legame così stringente tra il solo aumento del tetto all’uso del contante e un aumento dell’evasione e delle attività criminali. Riconoscono però che «vincoli più stringenti all’uso del contante possono essere uno strumento efficace per contrastare l’evasione fiscale».

La questione della concorrenza
Meloni sostiene inoltre che limitare in modo troppo stringente l’uso del contante porrebbe l’Italia in una posizione di svantaggio nei consumi rispetto agli altri paesi europei.

Il tetto è presente soprattutto nei paesi dell’Europa meridionale e in quelli dell’Est, più il Belgio, dove c’è un tetto di 3 mila euro per le transazioni commerciali. Oltre che in Italia, il tetto esiste in Spagna (2.500 euro per i residenti e 15 mila per i non residenti), Portogallo (mille euro) e Grecia (500 euro). Anche la Francia ha previsto un tetto di mille euro che sale a 15 mila per i non residenti. Un limite esiste anche in Bulgaria (5.100 euro), Romania dove è prevista una soglia giornaliera di circa 2.100 euro, Slovacchia (5 mila euro), Repubblica Ceca (14 mila euro), Polonia e Croazia, che hanno fissato entrambe un limite di 15 mila euro.

Tra gli stati europei che invece non prevedono limitazioni c’è la Germania, dove chi paga oltre 10 mila euro in contanti deve esibire un documento d’identità. In Danimarca invece gli esercenti possono decidere di accettare pagamenti in contanti solo fino a 2.500 euro e nei Paesi Bassi c’è l’obbligo di segnalare le transazioni sospette di importo superiore ai 2 mila euro. In Svezia un commerciante può rifiutare qualsiasi pagamento in contanti.

Il ragionamento di Meloni, semplificando, è: se un cittadino di un altro paese europeo abituato a un tetto più alto, o che addirittura non ha proprio limitazioni, viene in Italia, potrebbe decidere di non fare determinati acquisti se non può pagare interamente in contanti sopra una certa soglia. Questo tipo di comportamento, però, sembra avere più una natura aneddotica e non esistono al momento studi che ne dimostrano l’esistenza.

Esiste però una negoziazione in corso per un tetto all’uso del denaro contante che sia condiviso a livello europeo: sebbene la Commissione europea leghi più la questione del contante ai fenomeni di riciclaggio e di terrorismo, esiste una proposta europea del 2021 ancora in discussione su un tetto massimo di 10 mila euro per l’uso del contante.

Un’economia con sempre meno contanti svantaggerebbe i più deboli?
Il sito di fact-checking Pagella Politica ha citato un altro studio sugli effetti di un tetto. Secondo una ricerca del 2020 la riduzione al tetto del contante introdotto nel 2011 dal governo di Mario Monti ha ridotto la circolazione delle banconote e aumentato le entrate per il fisco.

L’effetto, però, è stato piuttosto limitato e, secondo l’autore, devono essere valutati attentamente i costi sociali della misura. Un tetto al contante, infatti, rischia per esempio di penalizzare le persone più anziane, meno pratiche con i pagamenti elettronici, e di limitare la privacy dei consumatori.

Come ha ricostruito Pagella Politica, un’osservazione in questo senso era stata fatta all’Italia all’inizio del 2020 anche dalla Banca Centrale Europea (BCE), che aveva ritenuto troppo bassi i limiti al contante in vigore in Grecia (500 euro) e in Spagna (mille euro). Secondo la BCE limiti troppo bassi rischiavano di mettere in difficoltà le fasce più deboli della popolazione. Ma, sempre sul fronte europeo, nel 2019 l’Unione europea aveva raccomandato all’Italia di potenziare i «pagamenti elettronici obbligatori anche mediante un abbassamento dei limiti legali per i pagamenti in contanti».

È difficile però pensare che il limite da 10 mila euro proposto dalla Lega servirebbe soprattutto a non mettere in difficoltà le persone più povere. Considerando anche che il reddito medio in Italia (dichiarato al fisco) si aggira intorno ai 20 mila euro annui e che 5 milioni di italiani (circa l’8 per cento della popolazione) dichiarano meno di 10 mila euro: per molte persone, quindi, vorrebbe dire spendere in contanti con una sola transazione metà o addirittura tutto il reddito dell’anno.