Chi è Stefano Bonaccini

L'attuale presidente dell’Emilia-Romagna si candiderà alla segreteria del Partito Democratico, senza cercare l'appoggio delle cosiddette correnti interne

Il presidente della regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini mentre annuncia la sua candidatura a segretario nazionale del Partito Democratico durante un incontro al circolo del PD di Campogalliano, in provincia di Modena, 20 novembre 2022 (ANSA / ELISABETTA BARACCHI)
Il presidente della regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini mentre annuncia la sua candidatura a segretario nazionale del Partito Democratico durante un incontro al circolo del PD di Campogalliano, in provincia di Modena, 20 novembre 2022 (ANSA / ELISABETTA BARACCHI)
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Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna, ha detto che si candiderà alla segreteria del Partito Democratico per sostituire Enrico Letta alle primarie che si terranno il 19 febbraio del 2023. Domenica, dando l’annuncio dal circolo del PD di Campogalliano, in provincia di Modena, dove è nato e abita, Bonaccini ha detto di essersi deciso dopo la sconfitta del suo partito alle politiche del 25 settembre, vinte da Fratelli d’Italia: «Mi sono preso il tempo per riflettere, chiedendomi se io posso essere utile».

Bonaccini ha 55 anni e non ha molta confidenza con le dinamiche nazionali della politica: questo per lui potrebbe essere uno svantaggio. Non è mai stato deputato, senatore o europarlamentare, ma ha una lunghissima esperienza come amministratore locale e regionale.

Il primo incarico di Bonaccini, che cominciò a fare politica nei movimenti locali per la pace alla fine degli anni Ottanta, risale al 1990 quando venne nominato assessore alle Politiche giovanili, alla Cultura, allo Sport e al Tempo libero nel proprio comune di nascita. Dopo essere diventato segretario provinciale della Sinistra giovanile, nel 1995 fu segretario della sezione comunale modenese del Partito Democratico della Sinistra (PDS), mentre dal 1999 al 2006 divenne assessore al comune di Modena con delega ai Lavori pubblici e al Patrimonio culturale della città.

Entrò a far parte del Partito Democratico nel 2007 venendo eletto prima segretario provinciale della sezione modenese del PD e poi, alle elezioni amministrative del 2009, consigliere comunale a Modena. Mantenne l’incarico fino al 2010 quando, passando dalle primarie, divenne segretario regionale del partito in Emilia-Romagna. Alle primarie del Partito Democratico del 2012 sostenne Pier Luigi Bersani contro Matteo Renzi, ma l’anno successivo, dopo essersi avvicinato a Renzi, venne scelto come responsabile della sua campagna per le primarie del 2013 e nominato responsabile nazionale degli Enti locali nella segreteria nazionale del Partito Democratico.

Nel 2014 partecipò alle primarie in vista delle regionali. E furono primarie piuttosto complicate, per il fallimento di un lungo tentativo di mediazione all’interno del partito su una candidatura “unitaria”. Ci fu infatti la candidatura prima e il ritiro poi di Matteo Richetti, a causa della sua iscrizione – insieme a Bonaccini – nel registro degli indagati con l’accusa di peculato nell’ambito di un’inchiesta che proseguiva da due anni sulle spese effettuate dai gruppi consiliari tra il 2010 e il 2011. La procura di Bologna chiese l’archiviazione per Bonaccini, che vinse le primarie e poi le regionali.

Da presidente Bonaccini attuò una politica volta ad aumentare l’autonomia politica e fiscale dell’Emilia-Romagna, questione che storicamente appartiene alla Lega e sulla quale lui ha sempre avuto una posizione favorevole. Tra le cose che ha spesso rivendicato alla fine del suo primo mandato da presidente di regione c’è che la disoccupazione, durante i suoi primi cinque anni, scese al di sotto del 5 per cento.

Nel 2019 Bonaccini si ricandidò a presidente, sostenuto nuovamente dalla coalizione di centrosinistra e riuscendo a vincere contro la sua principale avversaria, la candidata del centrodestra Lucia Borgonzoni. Nell’agosto dello stesso anno, Bonaccini annunciò il suo voto favorevole al referendum costituzionale sul taglio del numero di parlamentari, affermando che era da trent’anni che il centrosinistra lo proponeva.

Bonaccini ha buoni rapporti dentro e fuori dal partito, governa con calendiani, renziani e sinistra da tre anni, ed è rimasto in buoni rapporti con Matteo Renzi dopo la sua uscita dal PD. Il principale ostacolo di Bonaccini verso la segreteria potrebbe essere la sua scarsissima confidenza con le dinamiche nazionali del partito.

Oggi Bonaccini non appartiene a nessuna particolare corrente, e lo rivendica. Di conseguenza, però, da solo potrebbe essere capace di spostare un numero piuttosto contenuto di iscritti (e quindi di voti, in vista della prima fase delle primarie).

Con i capicorrente non ha un grande rapporto: li ha criticati spesso sui giornali, anche durante l’annuncio della candidatura. Ha promesso che «non chiederà appoggio ad alcuna corrente» e che «completerà con impegno il mandato in Emilia-Romagna fino al 2025». Nessuno dei capicorrente sembra per ora disposto a sostenerlo, tranne forse un pezzo di Base Riformista, la corrente degli ex renziani guidata da Lorenzo Guerini.

Più che a Roma, Bonaccini viene apprezzato soprattutto dagli amministratori locali, che però nel PD contano fino a un certo punto. Domenica sia il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, sia il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, si sono schierati con lui. In tutta Italia, ha scritto il Corriere della Sera nelle ultime ore, i quadri intermedi di partito (…) quelli che alle ultime primarie del PD hanno votato per Zingaretti, sono per la maggior parte con il governatore».

Bonaccini da settimane spiega che prima di pensare alle alleanze il PD dovrebbe ricostruire una linea politica autonoma, e solo in un secondo momento – dopo avere riguadagnato qualche consenso, quindi da una posizione di forza – capire a chi rivolgersi. Sono dichiarazioni molto lontane da quelle che fanno gli attuali capicorrente, ancora molto legati a un centrosinistra che tenga insieme molti partiti e partitini come ai tempi dell’Ulivo, la coalizione che andava dagli ex democristiani alla sinistra radicale che fra gli anni Novanta e Duemila affrontò il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi.