Forse la galassia più distante mai osservata

È stata scoperta grazie al James Webb Space Telescope, insieme a un'altra galassia poco più giovane: si formarono quando l'Universo aveva tra i 350 e i 450 milioni di anni

GLASS-z12 al centro del riquadro (NASA, ESA, CSA, Tommaso Treu UCLA; Zolt G. Levay STScI)
GLASS-z12 al centro del riquadro (NASA, ESA, CSA, Tommaso Treu UCLA; Zolt G. Levay STScI)
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Il James Webb Space Telescope (JWST), il telescopio spaziale più grande e potente mai realizzato, ha reso possibile l’osservazione di due lontanissime galassie a noi visibili oggi come si presentavano circa 350 e 450 milioni di anni dopo la formazione dell’Universo, che risale a 13,8 miliardi di anni fa. Essendo così distanti, la loro luce ha impiegato una grande quantità di tempo per raggiungerci e ciò ci consente di osservarle per come apparivano all’epoca. Le osservazioni, se confermate dalle prossime verifiche, potrebbero aiutare gli astronomi a comprendere meglio come l’Universo si popolò di galassie, con tutti i loro oggetti dalle stelle ai pianeti.

Non è ancora chiaro quando iniziarono a formarsi le prime stelle, ma le ipotesi più condivise ritengono improbabile che ce ne potessero già essere quando l’Universo aveva meno di 100 milioni di anni. Le galassie da poco osservate dal JWST sono comunque piuttosto grandi e potrebbero essersi formate prima che l’Universo avesse 200 milioni di anni, aggiungendo nuove domande e affascinanti ipotesi.

La galassia GLASS-z12 iniziò a brillare quando l’età dell’Universo era 350 milioni di anni, mentre GLASS-z10 quando aveva circa 450 milioni di anni. Il record precedente era di 400 milioni di anni e apparteneva a GN-z11, galassia osservata dal telescopio spaziale Hubble.

Osservare oggetti così distanti non è semplice, nemmeno per un telescopio estremamente potente come il JWST. Più ci si allontana, infatti, più la luce emessa da questi oggetti diventa tenue e difficile da cogliere. Per superare queste limitazioni, gli astronomi sfruttano un particolare effetto legato alla gravità e alla distorsione del percorso che segue la luce. Il fenomeno permette di disporre di una sorta di lente d’ingrandimento cosmica, che proprio per questo viene chiamata “lente gravitazionale”.

GLASS-z12 al centro del riquadro (NASA, ESA, CSA, Tommaso Treu UCLA; Zolt G. Levay STScI)

Una lente gravitazionale si verifica quando le emissioni di luce, da parte di una singola stella o di una intera galassia come nel recente caso del JWST, trovano sulla loro strada una grande quantità di materia (come un ammasso di galassie) prima di raggiungere l’osservatore, che si trova sulla stessa linea dell’orizzonte.

GLASS-z10 al centro del riquadro (NASA, ESA, CSA, Tommaso Treu UCLA; Zolt G. Levay STScI)

Come avevamo raccontato qui, è un fenomeno che può avere cause e scale fisicamente molto diverse, ma ci possiamo prendere qualche licenza e paragonarlo a ciò che vediamo quando osserviamo una lampadina accesa attraverso la base di un bicchiere a calice. Quando abbiamo finito di bere l’ultimo sorso, inclinando molto il bicchiere verso una fonte di luce notiamo che questa viene distorta formando un anello tra la parte più esterna della base del bicchiere e il centro, dove finisce lo stelo. A seconda di come incliniamo la base, possiamo osservare effetti di vario tipo, come archi che distorcono e amplificano la luce della lampadina.

Questo video aiuta a farsi meglio un’idea: mostra come avviene la distorsione della luce tramite la base del calice.

Su dimensioni cosmiche avviene qualcosa di analogo. L’ammasso di galassie, corrispondente nel nostro esempio alla base del calice, fa da obiettivo: curva la traiettoria della luce e ne amplifica l’intensità. Con un allineamento favorevole, l’ingrandimento può essere tale da rendere possibile l’osservazione di corpi celesti remoti e poco luminosi.

L’età delle due nuove galassie da poco scoperte dovrà essere confermata da ulteriori analisi, ma il fatto stesso che il JWST sia riuscito a coglierle con relativa facilità suggerisce che ce ne possano essere molte altre, più di quante finora ipotizzato. Il loro studio dovrebbe consentire di comprendere meglio che cosa accadde nelle prime fasi di formazione dell’Universo per come lo conosciamo oggi.