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  • Lunedì 14 novembre 2022

Come funzionano i ricollocamenti dei migranti

Su quali accordi si basano e cosa c'entrano i "movimenti secondari" nella questione al centro delle tensioni tra Italia e Francia

(ANSA/ MARCO COSTANTINO)
(ANSA/ MARCO COSTANTINO)
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Da diversi giorni i rapporti diplomatici tra Francia e Italia sono molto tesi a causa della gestione della Humanity 1, nave della ong Sos Humanity, che l’Italia si era rifiutata di far attraccare e che infine si era diretta in Francia, dove aveva sbarcato i migranti a bordo. Giovedì la Francia aveva annunciato la sua intenzione di non partecipare più a un meccanismo di ricollocamento dei richiedenti asilo che arrivano via mare in Italia, e che era stato messo in piedi da un precedente accordo. Il governo italiano aveva reagito parlando di una decisione «incomprensibile e ingiustificata», ma le tensioni tra i due paesi arrivano da lontano, da questioni più ampie e rimaste irrisolte per anni, che riguardano la gestione dei richiedenti asilo da parte di tutti i paesi europei.

L’accordo che stabilisce il meccanismo di ricollocamento era stato firmato a giugno da una coalizione di 18 paesi dell’Unione Europea più tre che non ne fanno parte, cioè Norvegia, Svizzera e Liechtenstein. Non è propriamente un trattato, quindi un accordo formale e vincolante, ma una dichiarazione politica. Impegna gli stati che l’hanno firmato ad applicare un «meccanismo di solidarietà» per fornire «assistenza ai paesi membri più interessati dai flussi migratori nel Mediterraneo»: cioè in sintesi a ospitare ed esaminare le richieste formali di protezione di una parte dei richiedenti asilo che ogni anno arrivano sulle coste di Italia, Grecia e Spagna, e in misura minore Malta e Cipro.

Nel 2021, secondo i dati dell’Agenzia ONU per i rifugiati, sono entrati via mare nei paesi dell’Unione Europea 117.496 richiedenti asilo. L’accordo del 2022 prevedeva di ricollocarne entro l’estate del 2023 diecimila, quindi una parte quasi simbolica. Anche nel settembre del 2019 era stato fatto un simile accordo, all’epoca promosso soprattutto dal governo italiano guidato da Giuseppe Conte e sostenuto da PD e M5S.

All’accordo di giugno 2022, così come a quello di settembre 2019, si poteva aderire su base volontaria. Sei paesi dell’Unione Europea, quindi quasi uno su quattro, avevano deciso di non partecipare: erano Austria, Polonia, Ungheria, Danimarca, Lettonia e Slovacchia. Gli altri avevano aderito soprattutto per dimostrare vicinanza politica e dare un piccolo aiuto concreto ai paesi costieri, nell’ambito di quello che la maggior parte dei paesi dell’Unione ritiene un vuoto normativo nella gestione dei richiedenti asilo.

– Leggi anche: La crisi diplomatica tra Italia e Francia per la nave Ocean Viking

Ad oggi la principale norma europea in tema di immigrazione e accoglienza è il cosiddetto Regolamento di Dublino, entrato in vigore nel 1997 e aggiornato l’ultima volta nel 2013.

Il Regolamento stabilisce che il compito di ospitare ed esaminare la richiesta di asilo di una persona che entra irregolarmente in territorio europeo debba essere il primo stato in cui mette piede. In teoria il Regolamento prevede anche di considerare i legami di parentela della persona che avanza la richiesta: se questa persona ha un genitore in Svezia, per esempio, dovrebbe essere lo stato svedese a esaminare la sua domanda. Col tempo però, anche per via dei moltissimi passaggi e burocratici e amministrativi necessari, il criterio di primo ingresso è diventato quello prioritario.

Il Regolamento era stato approvato in un periodo in cui poche migliaia di persone all’anno chiedevano asilo nell’Unione Europea. Quando i flussi aumentarono, come successo fra 2013 e 2015 soprattutto per via di guerre civili in Libia e in Siria, il sistema saltò: fra 2015 e 2016 buona parte dei paesi del Sud Europa smisero di registrare le decine di migliaia di richiedenti asilo in arrivo e lasciarono che si distribuissero nel resto dei paesi dell’Unione.

Allora gran parte dei paesi europei si impegnò per cambiare il Regolamento di Dublino e renderlo più ordinato. Dopo due anni di intensi negoziati, nel 2017 il Parlamento Europeo approvò con una maggioranza trasversale che andava dal centrodestra alla sinistra una proposta che prevedeva l’eliminazione del criterio del “primo ingresso”, e di sostituirlo con un meccanismo obbligatorio di ripartizione dei richiedenti asilo fra i 27 stati dell’Unione. Il numero massimo di richiedenti asilo da ospitare sarebbe stato stabilito da una quota, diversa per ogni paese, in base al PIL e alla popolazione.

La proposta fu poi respinta in sede di Consiglio dell’Unione Europea, l’organo in cui siedono tutti i governi dell’Unione e in cui per la maggior parte delle questioni serve un voto all’unanimità. Alla riforma si opposero diversi paesi dell’Est Europa, tradizionalmente ostili ad accogliere richiedenti asilo da Nord Africa e Medio Oriente.

Ma i paesi dell’Est furono anche spalleggiati dall’estrema destra europea, che chiedeva invece misure più intransigenti e meno incentrate sull’accoglienza dei richiedenti asilo (prevista comunque da decine di norme europee e trattati internazionali). Al voto finale del Parlamento Europeo la Lega si astenne e il Movimento 5 Stelle votò contro. Sia il primo governo Conte, sostenuto proprio dalla Lega e dal M5S, sia l’attuale governo di destra non sostengono alcuna proposta di riforma europea, sostenendo che sia necessario trovare delle misure per evitare che le navi dei migranti sbarchino inevitabilmente in Italia (cosa che secondo le più seguite interpretazioni del diritto del mare, però, non si può evitare).

Parlando con Politico qualche giorno fa il vicepresidente della Commissione Europea Margaritis Schinas ha detto che gli sembra «allucinante» il fatto che «alcuni paesi che chiedono un nostro intervento nell’attuale crisi sono gli stessi che bloccano i progressi sulla nostra proposta di riforma».

In assenza di una riforma strutturale è prevedibile che accordi politici estemporanei come quelli del 2019 e del 2022 non vengano rispettati e siano in balìa delle tensioni fra governi nazionali. Dall’applicazione dell’accordo dall’Italia sono stati ricollocati soltanto 117 richiedenti asilo.

I paesi che a giugno si erano impegnati ad accogliere il numero più alto di richiedenti asilo dai paesi costieri, Germania e Francia, in queste settimane si sentono comunque legittimati a non fare di più perché ritengono che l’Italia non stia facendo abbastanza per contrastare i cosiddetti “movimenti secondari”, cioè dei richiedenti asilo che arrivano in Italia ma riescono a non farsi registrare dalle autorità italiane per proseguire il tragitto e fare richiesta d’asilo in uno dei ricchi paesi del Nord.

Sui cosiddetti “movimenti secondari” non ci sono dati precisi, ma bisogna confrontarne alcuni diversi. Nel 2021 sono arrivate via mare in Italia 67.477 persone. Ma le richieste di asilo nello stesso anno sono state 45.200: significa che circa 22mila persone, un terzo di quelle arrivate, sono riuscite a non farsi registrare dalle autorità italiane e a chiedere asilo altrove. Nel 2021 le richieste di asilo sono state 148.175 in Germania e 103.790 in Francia, i due paesi principali destinatari dei “movimenti secondari”.

«Se ci sono paesi sotto forte pressione migratoria sono quelli del nord, dove si trasferiscono illegalmente i migranti che entrano in Italia», ha detto al Foglio un funzionario dell’Unione Europea.

In questo momento la situazione è incastrata in un circolo vizioso, insomma. I paesi del Sud Europa come l’Italia si lamentano che i paesi del Nord non stiano rispettando gli accordi per una redistribuzione volontaria, nonostante un aumento degli sbarchi rispetto agli ultimi anni, e minacciano implicitamente di fare ancora meno sui “movimenti secondari”. I paesi del Nord accusano l’Italia di non fare abbastanza sui “movimenti secondari” e si rifiutano di accogliere richiedenti asilo tramite il meccanismo di solidarietà volontaria.

Per risolvere questo stallo il governo Meloni potrebbe ricominciare a trattare per una riforma del Regolamento di Dublino, magari facendo pressione ai governi dell’Est Europa con cui è in buoni rapporti, come quelli di Ungheria e Polonia. Ma al momento non ci sono indicazioni che si stia muovendo in questo senso.