La scoperta dei bronzi di San Casciano raccontata da chi l’ha fatta
I primi furono trovati l'anno scorso, scavando anche a mani nude in un'area che si sospettava da tempo nascondesse qualcosa
di Mario Macchioni
Martedì è stata una giornata piuttosto movimentata a San Casciano dei Bagni, paese di mille e seicento abitanti in provincia di Siena. Una troupe televisiva della Rai e vari giornalisti sono accorsi in gran numero nel piccolo centro storico per documentare in diretta il ritrovamento di decine di antiche statue in bronzo, quella che il Direttore Generale Musei Massimo Osanna ha definito «la scoperta più importante dai bronzi di Riace». Alcuni dei giornalisti arrivati, però, sono rimasti delusi: le statue di cui tanto si stava parlando erano state trasportate a Grosseto oltre un mese prima, per sicurezza e per essere restaurate. Nel sito archeologico ci sono “solo” resti di mura, sezioni di colonne e tanta, moltissima acqua.
Il giorno dopo la situazione è più calma, nelle prime ore della giornata il bar del centro – l’unico – è frequentato solo da poche persone. In paese ormai la notizia è nota a tutti, e la vita dei sancascianesi prosegue più o meno come sempre. Il barista ha sentito dire che nel pomeriggio arriverà Porta a Porta, la trasmissione di Bruno Vespa. Gli abitanti più anziani non sembrano neanche troppo impressionati, perché a San Casciano c’era da tempo la sensazione che qualcosa di grosso, antico e prezioso fosse seppellito da qualche parte.
Lo sapeva anche il comune, che qualche anno fa si interessò alla zona del Bagno Grande: due grandi vasche pubbliche costruite dai Medici secoli fa, vicino a una delle tante fonti termali della zona. Emanuele Mariotti, direttore del cantiere di scavo, ricorda che fu scelto quel punto per la vicinanza alla fonte ma soprattutto per un particolare. «Entrammo in questo orto privato», racconta, «e vedemmo una cosa che non si vedeva dalla parte dei vasconi, due colonne inserite in un muretto di siepe. Allora pensammo che lì potessero esserci delle terme romane».
Il comune acquistò il terreno e nel 2019 avviò lo scavo, tuttora di sua proprietà. Nel corso del tempo poi si è creata una collaborazione tra l’amministrazione locale, le università e il ministero dei Beni culturali. Il coordinatore scientifico dello scavo è Jacopo Tabolli, dell’Università per stranieri di Siena, che guida il progetto di ricerca. Mariotti invece dirige gli aspetti più pratici e anche strategici delle operazioni: come e dove scavare, a quale ritmo e con quali tecniche. In ultima analisi la responsabilità dello scavo è sua e per questo, soprattutto nei momenti più delicati, si è letteralmente sporcato le mani in prima persona.
La scoperta però è stata frutto di un lavoro collettivo, precisa Mariotti, e ha coinvolto anche il Gruppo archeologico locale, una sorta di struttura di assistenza agli scavi: si è occupato della logistica, del reperimento delle attrezzature e di tutti gli aspetti organizzativi. Attualmente una sessantina di studiosi coordinati da Tabolli sta già lavorando sulle scoperte, mentre negli scorsi mesi hanno lavorato allo scavo decine di persone, principalmente assegnisti di ricerca. A luglio, nel momento di maggior attività, erano in trentacinque.
Il sito si raggiunge uscendo dal centro storico e prendendo una strada sterrata in pendenza. Dopo neanche due minuti di macchina si è già in campagna e tutta l’area è transennata e oscurata da un telo verde. Tanto a Ludovico Salerno, del Gruppo archeologico, quanto a Mattia Bischeri, assegnista di ricerca all’Università per stranieri di Siena, arrivano spesso chiamate, quasi sempre da numeri sconosciuti.
Gestire la forte pressione mediatica era un aspetto a cui forse gli archeologi non avevano pensato prima che la scoperta venisse resa pubblica. Bischeri, che ha 30 anni, comincia a raccontare ma a un certo punto si sente distintamente un ronzio molto simile a quello di una zanzara: un piccolo drone bianco si alza in volo esattamente sopra lo scavo, rimane in sospensione qualche secondo e poi comincia a seguire una linea retta avanti e indietro. «Questa sarebbe pure una no fly zone» dice Salerno, che ha 37 anni ed è originario di Roma.
Droni a parte, Bischeri indica l’acqua che fuoriesce dal terreno senza sosta e spiega che quello è l’elemento chiave. È talmente copiosa che se non ci fossero le pompe idrauliche perennemente funzionanti allagherebbe il sito nel giro di qualche ora. «Questo luogo è frequentato almeno dal terzo secolo avanti Cristo proprio per via di questa sorgente» dice Bischeri. In effetti a pochi metri, oltre la recinzione, alcune persone si stanno immergendo nelle vasche pubbliche. «Qui etruschi e romani scoprirono l’acqua calda, letteralmente, e capirono che poteva avere effetti benefici». Intorno alla sorgente nacque un culto salutifero e venne costruito un santuario dove etruschi e romani convivevano: pregando, votandosi alle divinità, offrendo statuette e monete.
La maggior parte dei manufatti trovati è databile tra il secondo secolo avanti Cristo e il primo secolo dopo Cristo, un periodo di transizione tra l’età etrusca e quella romana. A quell’epoca Roma si stava espandendo a forza di campagne militari e proprio nel primo secolo ci fu la Guerra sociale tra i Romani e un’alleanza di popoli italici (Marsi e Sanniti, soprattutto). Secondo Bischeri, il santuario è straordinario proprio perché è una testimonianza del fatto che mentre tutto intorno si scontravano diverse civiltà, in quel preciso luogo si incontravano pacificamente: su alcune statue sono state trovate iscrizioni di nomi in alfabeto latino e in etrusco, un fatto raro dal punto di vista archeologico. In certi casi l’iscrizione latina è addirittura anteriore a quella etrusca.
Ci sono almeno altri tre motivi per cui la scoperta di San Casciano ha attirato così tanta attenzione. Il primo è dovuto al materiale: di statue in bronzo così antiche ce ne sono poche, perché nel corso dei secoli la maggior parte è stata fusa per riutilizzare il metallo, che aveva un certo valore. Il secondo è relativo al luogo e al periodo: San Casciano è in mezzo all’antica Etruria, la regione degli etruschi, perciò il santuario potrebbe insegnarci qualcosa di nuovo sulla loro storia, che conosciamo solo attraverso fonti indirette e parziali (ci sono grosse lacune anche nello studio della lingua, sappiamo leggere l’alfabeto ma molte parole sono sconosciute).
Il terzo motivo ha a che fare con le condizioni in cui sono state trovate le statue: in mezzo al fango, quindi molto probabilmente in un ambiente anossico, cioè privo di ossigeno. Questo ha impedito alle statue di ossidarsi, quel processo chimico che corrode il metallo e che nel caso del bronzo gli conferisce un colore verdastro.
La presenza del fango e dell’acqua è una peculiarità del sito di San Casciano, che ha reso lo scavo archeologico molto complicato. Quando nel 2019 cominciarono a scavare, la prima cosa che trovarono fu la vasca del santuario coperta con mattoni e colonne, ma all’epoca non sapevano esattamente cosa fosse. «Il santuario è stato abbandonato tra il terzo e il quarto secolo dopo Cristo» racconta Bischeri. Chi depose le statue lo fece con rispetto religioso, riconobbe che le statue di quel sito pagano erano sacre in quanto votate alle divinità, perciò non furono portate via né fuse. Furono chiuse lì, e così sono state trovate.
Una volta iniziato a scavare, gli archeologi hanno rimosso tutti gli strati fino a che non hanno incontrato prima la vasca e poi acqua e fango. L’azione delle pompe idrauliche non era sufficiente ad aspirare tutta l’acqua perché la fonte del Bagno Grande è molto abbondante, porta due milioni e mezzo di litri d’acqua al giorno (la temperatura è di 41 gradi circa). Rimaneva quindi il fango, un elemento che ha attribuito a tutta l’operazione un qualcosa di mitologico.
Ludovico Salerno ha contribuito agli scavi utilizzando un metal detector. Lo strumento usato dava un segnale di risposta di diversa intensità a seconda della quantità di metallo sottostante, dandogli modo di capire se l’oggetto da estrarre fosse una moneta, una piccola forma anatomica (ex voto) oppure una statua intera. A quel punto, dice Salerno, si procedeva con le mani.
È così che è stato fatto il primo ritrovamento di una certa dimensione, un putto di bronzo emerso a luglio del 2021 (contrariamente a quanto suggerisce il modo in cui è passata la notizia, la scoperta dei bronzi non è stata improvvisa, ma graduale e spalmata in almeno due stagioni di scavi, la scorsa estate e quella appena finita). Salerno racconta: «Nel momento in cui hai il segnale non sai esattamente che pezzo è, ne puoi solo dedurre le dimensioni. Quindi il primo impatto con l’oggetto è solo tattile: riconosci il piede magari, ma non riesci a sentire il resto. Quando esce fuori il piede cominci a sperare che ci sia tutta la statua, ma non lo sai, e a volte prima che si riesca a scavare tutto intorno per tirarla fuori passano ore, si crea un “effetto ventosa”».
Quest’anno si è scavato fino a ottobre, l’ultimo giorno è emersa la statua chiamata dagli archeologi il “togato”, una figura maschile con una mano al petto. Per estrarla ci è voluto un bel po’ di tempo e fatica, lo spazio di lavoro era angusto e quindi ci ha lavorato da solo il direttore dello scavo, Mariotti.
In questi giorni i bronzi di San Casciano sono stati paragonati spesso a quelli di Riace, di cui peraltro proprio quest’anno ricorrono i cinquant’anni dalla scoperta. Tuttavia secondo Mario Micheli, docente di restauro a Roma Tre, il paragone è improprio: innanzitutto perché le due statue rinvenute nelle acque di Riace sono greche e più antiche di almeno tre secoli. E poi perché i decenni di studi sui bronzi di Riace hanno portato a conoscenze rivoluzionarie in questo specifico campo della storia dell’arte, soprattutto perché dentro alle statue sono stati trovati i modelli in argilla usati per la loro fusione.
«Con la scoperta di San Casciano si aprirà probabilmente un nuovo e importante capitolo nella storia della scultura, ma completamente diverso» dice Micheli, che si è occupato del restauro dei bronzi di Riace negli anni Novanta. «Per capire davvero bisognerà aspettare che gli studiosi facciano le loro ricerche sulle statue, che si sappia qualcosa in più sulla tecnica di fusione e sulle leghe utilizzate. Sicuramente se l’ambiente in cui sono state trovate era davvero anossico sarebbe un fatto notevole».
Il progetto di ricerca sui ritrovamenti di San Casciano è già iniziato, ma durerà probabilmente anni. Per avere un termine di paragone, i bronzi di Riace sono studiati da mezzo secolo e ancora ci fanno scoprire cose nuove. Di certo decifrare il putto, il “togato” e le altre statue potrebbe essere più facile perché sono state trovate nel loro contesto, di cui invece i bronzi di Riace erano privi. Il ministero dei Beni culturali ha annunciato che i bronzi verranno esposti in un nuovo museo e il comune ha già individuato la sede dove verrà allestito, al Palazzo dell’Arcipretura.