Il dilemma di Israele sulla guerra in Ucraina

Ha sempre mantenuto una neutralità di fatto, ma l'intervento dell'Iran in favore della Russia potrebbe cambiare le cose

Un soldato vicino a una batteria antirazzo Iron Dome ad Haifa, in Israele (AP Photo/Tsafrir Abayov)
Un soldato vicino a una batteria antirazzo Iron Dome ad Haifa, in Israele (AP Photo/Tsafrir Abayov)
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Lunedì il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiesto a Israele un maggiore sostegno nella guerra contro la Russia, compreso l’invio di armi e di sistemi difensivi antimissili e antirazzo. Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, Israele ha mantenuto una posizione tutto sommato di neutralità, ma da qualche settimana le cose sono cambiate. In particolare, lo schieramento dell’Iran a favore della Russia, soprattutto tramite la fornitura di droni usati per bombardare le città ucraine, è diventato un elemento di grossa preoccupazione per il governo israeliano.

L’Iran è uno dei principali nemici del governo israeliano nella regione (l’Iran, tra le altre cose, continua a sostenere che Israele andrebbe distrutto) e Zelensky ha fatto leva proprio su questa ostilità per ricordare a Israele che questo è «il momento di decidere con chi sta». Anche il governo statunitense, tra gli altri, sta facendo pressioni su Israele perché cominci a sostenere più attivamente la resistenza ucraina.

Israele aveva ribadito anche recentemente la sua posizione ufficiale, attraverso il ministro della Difesa Benny Gantz: «Israele è dalla parte dell’Ucraina, ma continuerà a non fornire armi, per una serie di considerazioni operative». Benché il dibattito interno sia crescente, per il coinvolgimento dell’Iran e per motivi di carattere umanitario, per ora prevale la linea della prudenza. Rompere definitivamente i rapporti con la Russia potrebbe avere ripercussioni nella vicina Siria, dove la Russia ha un forte contingente militare, e sulla nutrita comunità ebraica russa.

Proprio in Siria, però, c’è stato in questi giorni un attacco con ogni probabilità israeliano (il primo negli ultimi trenta giorni) a un sito di produzione di droni iraniani nei pressi di Damasco e dell’aeroporto militare di Dimas: la base era utilizzata per la produzione e il rifornimento di armi destinate al gruppo radicale sciita Hezbollah. I droni prodotti dovrebbero essere dello stesso tipo di quelli utilizzati negli attacchi russi contro l’Ucraina.

Lo stato israeliano aveva condannato sin dai primi giorni l’invasione russa, ma il sostegno all’Ucraina era stato inizialmente limitato all’invio di aiuti umanitari, di elmetti, giubbotti antiproiettili e sistemi di protezione. Recentemente Israele ha annunciato la disponibilità di rifornire l’Ucraina con un sistema di allerta aereo, in grado di avvertire la popolazione di possibili attacchi in arrivo.

Le richieste ucraine sono differenti e si concentrano sui sistemi di difesa antiaerei di Israele, fra i più avanzati al mondo: in particolare le batterie antirazzo che costituiscono il famoso Iron Dome (l’efficiente sistema antimissilistico che Israele impiega soprattutto contro i razzi di Hamas), oltre ai sistemi Barack e Patriot che intercettano missili a medio e corto raggio, e il nuovo dispositivo laser antirazzo Iron Beam.

Il sistema di difesa Iron Dome in azione (AP Photo/Ariel Schalit)

Israele non intende fornirli: i motivi principali sono politici, ma ce ne sono anche di militari e di protezione delle tecnologie. A livello militare non è certo che questi dispositivi sarebbero decisivi sul territorio ucraino (dovrebbero coprire un fronte troppo ampio): per abbattere i droni iraniani bastano tecnologie molto più semplici. Inoltre l’esercito israeliano non vuole rischiare che tecnologie sensibili finiscano in mano russa (e quindi potenzialmente iraniana) sul movimentato fronte ucraino.

I motivi principali che hanno limitato fin qui il sostegno israeliano all’Ucraina sono però legati ai rapporti che il paese vuole continuare a intrattenere con la Russia: rapporti minimi, ma considerati necessari per la propria sicurezza. Il presidente russo Vladimir Putin dal 2015 ha intensificato i suoi interventi militari in Siria, cambiando gli equilibri della guerra civile a favore del regime di Bashar al Assad e utilizzando un numero importante di truppe e tecnologie militari.

– Leggi anche: La Siria, dieci anni dopo

In particolare la Russia controlla lo spazio aereo siriano con il sistema antiaereo S-300: Israele conduce regolarmente raid mirati per distruggere armamenti trasferiti dall’Iran al gruppo libanese Hezbollah e obiettivi strategici, come quello dei giorni scorsi a Damasco. Per farlo evitando “incidenti” con la Russia avverte il comando militare russo, in una sorta di coordinamento che lascia all’esercito israeliano una certa libertà di manovra. Un sostegno militare all’Ucraina potrebbe essere considerato dalla Russia un “atto ostile” e quindi mettere fine a questo meccanismo, senza contare che truppe e navi russe sono ormai stabilmente vicine ai confini israeliani.

L’altra preoccupazione di Israele riguarda la comunità ebraica russa: l’invasione dell’Ucraina ha portato circa 20.000 dei 165.000 russi di origine ebraica a emigrare verso Israele: molti di loro erano giovani uomini, preoccupati di una possibile coscrizione forzata. Dagli anni Novanta, dopo la caduta del regime comunista, i trasferimenti dalla Russia ad Israele sono stati circa un milione. Recentemente un processo intentato dal governo russo contro l’Agenzia ebraica per Israele, l’organizzazione non profit che si occupa di favorire l’immigrazione verso Israele, con minacce di chiusura definitiva, è stato vissuto come un segnale di deterioramento delle relazioni e di possibili ripercussioni contro gli ebrei che ancora risiedono in Russia.

L’ex presidente Dmitri Medvedev, in una delle sue minacciose esternazioni, ha detto lunedì che l’invio di armi all’Ucraina da parte di Israele «distruggerebbe ogni relazione fra i nostri due paesi».

Nonostante le valutazioni strategiche e i timori di possibili ripercussioni, il dibattito sulla necessità di un sostegno più consistente alla causa ucraina è crescente all’interno dell’opinione pubblica e del mondo politico israeliano. Il governo deve valutare le pressioni internazionali, provenienti non solo dall’Ucraina ma anche dagli Stati Uniti, così come le testimonianze degli attacchi indiscriminati alla popolazione civile da parte della Russia.

Il tema è oggetto anche della campagna elettorale: il primo novembre si terranno le seconde elezioni legislative in un anno e mezzo, dopo che a maggio il governo di Naftali Bennett, entrato in carica poco più di un anno fa dopo 12 anni di governi guidati da Benjamin Netanyahu, aveva perso la maggioranza in parlamento.