Cosa ci facciamo in Antartide

È iniziata la 38esima spedizione italiana: presto i 12 ricercatori che sono isolati nella base Concordia riceveranno il cambio

La stazione scientifica italiana Mario Zucchelli, che si trova su una piccola penisola lungo la costa della Terra Vittoria settentrionale, in Antartide, il 19 ottobre 2022 (ENEA)
La stazione scientifica italiana Mario Zucchelli, che si trova su una piccola penisola lungo la costa della Terra Vittoria settentrionale, in Antartide, il 19 ottobre 2022 (ENEA)
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Il 19 ottobre venti italiani hanno raggiunto in aereo le coordinate 74°42’ sud e 164°07’ est, lungo la costa di una penisola della Terra Vittoria settentrionale, in Antartide: lì si trova la base Mario Zucchelli, una delle due stazioni utilizzate dal Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA). L’arrivo del gruppo ha segnato l’inizio della 38esima spedizione italiana nel continente più meridionale, che complessivamente coinvolgerà 24o persone. Il primo contingente è composto da tecnici incaricati di riattivare gli impianti della base, chiusa da febbraio. Prossimamente si uniranno a loro scienziati esperti di diverse discipline e impegnati in cinquanta progetti di scienze dell’atmosfera, geologia, paleoclima, biologia, oceanografia e astronomia.

Il primo contingente della 38esima spedizione italiana in Antartide fuori dalla stazione americana di McMurdo, prima di partire alla volta della stazione Mario Zucchelli, il 19 ottobre 2022 (ENEA)

L’Italia organizza spedizioni di questo tipo in Antartide dal 1985. Quattro anni prima aveva firmato il trattato Antartico, l’accordo internazionale che, sintetizzando molto, ha trasformato il continente in un grande laboratorio di ricerca scientifica sull’ambiente. È l’unica parte della Terra che gli esseri umani non hanno profondamente modificato con la propria presenza e, tra le altre cose, i suoi ghiacci sono una straordinaria fonte di informazioni sulla storia climatica del pianeta.

L’Antartide non appartiene a nessun paese e la presenza umana sul suo suolo è regolata dalla comunità internazionale. Non è sempre stato così: ancora negli anni Cinquanta sette stati – Argentina, Australia, Cile, Francia, Norvegia, Nuova Zelanda e Regno Unito – rivendicavano parti del continente. Le rivendicazioni territoriali sono tuttavia state sospese, almeno nei fatti, con l’entrata in vigore del trattato Antartico nel 1961. Inizialmente l’accordo venne firmato da 12 paesi, tra cui Stati Uniti e Unione Sovietica, a cui negli anni se ne aggiunsero altri 43.

Lo scopo del trattato Antartico è favorire attività pacifiche sul continente e garantire la conservazione delle sue risorse naturali. Stabilisce che non possano essere compiute attività militari sotto al 60° parallelo sud e che non si possano fare esperimenti nucleari, né smaltire rifiuti nucleari sul suolo antartico. Prevede inoltre la libertà di ricerca scientifica, posto l’obbligo di informare la comunità internazionale delle proprie spedizioni e di eventuali costruzioni di basi di ricerca, e la cooperazione internazionale attraverso scambi di informazioni e personale.

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Gli scopi principali delle ricerche in corso secondo quanto stabilito dal Comitato scientifico per la ricerca in Antartide (SCAR), l’organizzazione internazionale che le coordina, sono sei: capire quali sono le influenze dell’atmosfera dell’Antartide e dell’oceano Antartico sul resto del pianeta; comprendere come, dove e perché i ghiacci continentali si riducono; ricostruire la storia geologica dell’Antartide; comprendere l’evoluzione degli esseri viventi nel continente; osservare l’Universo; riconoscere e mitigare l’impatto delle attività umane sull’Antartide.

Mappa che mostra dove si trovano le basi di ricerca presenti in Antartide (PNRA)

Oggi nel continente ci sono 27 basi per la ricerca scientifica.

La Mario Zucchelli è stata costruita tra il 1986 e il 1987 e deve il suo nome attuale all’ingegnere dell’ENEA che per sedici anni ha guidato le spedizioni italiane nel continente. Si trova sulla costa e per questo è accessibile dal mare: quando le insenature su cui si affaccia sono ancora coperte dai ghiacci, i materiali da portare alla base vengono scaricati sulla banchisa, e poi trasportati alla stazione usando convogli di slitte; nei mesi più caldi si usano invece una chiatta e un molo. Ci sono anche tre piattaforme attrezzate per l’atterraggio di elicotteri, mentre per gli aerei più grossi viene creata una pista stagionale lunga 3.000 metri sul ghiaccio marino. Ma è in corso la costruzione di una pista permanente su un fondo di ghiaia, pensata per diventare l’unico vero aeroporto in Antartide.

La base copre un’area di 7.500 metri quadrati e comprende alloggi, uffici, laboratori, una mensa, infermeria e pronto soccorso, magazzini e impianti di vario genere, e un osservatorio astronomico, tra gli altri. Può ospitare circa un’ottantina di persone ed è sempre servita da due medici, di solito un chirurgo e un anestesista. L’acqua dolce usata nella base viene presa dal mare e dissalata, mentre l’elettricità è prodotta da 4 generatori diesel, da un impianto eolico e uno fotovoltaico: dal 2017 c’è un progetto per rendere la stazione autosufficiente dal punto di vista energetico, grazie a impianti che sfruttino unicamente fonti di energia rinnovabili.

C’è anche un inceneritore per bruciare i rifiuti organici, legno e carta – gli altri vengono riportati in Italia e differenziati.

Tutte le questioni logistiche e di manutenzione che riguardano la base sono gestite dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), mentre a occuparsi delle attività scientifiche è il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). I finanziamenti delle loro attività in Antartide provengono dal ministero dell’Università e della Ricerca: per il triennio 2020-2022 è stato stimato un fabbisogno di 81 milioni di euro.

La base Concordia in Antartide (PNRA)

Oltre alla Mario Zucchelli, l’Italia utilizza anche la stazione Concordia che viene gestita in collaborazione con la Francia ed è l’unica base antartica condivisa da due paesi. Si trova in un territorio chiamato “plateau antartico orientale” e in particolare in un sito detto “Dome C”, con coordinate 75°06’ sud, 123°20’ est.

È un luogo isolatissimo ed estremo per varie ragioni: a 3.230 metri di altezza sul livello del mare e a circa 1.000 chilometri dalla costa, la base sta sopra uno spessore di ghiacci di più di 3.000 metri e vi si misurano temperature molto basse, che possono arrivare fino a -80 °C. Proprio per queste sue caratteristiche il Dome C è stato scelto per costruire la stazione e per condurre un importante studio europeo sui cambiamenti climatici, il cui scopo è estrarre dalla calotta glaciale del ghiaccio formatosi più di 1,5 milioni di anni fa per ricostruire fino a quel punto la storia del clima terrestre. La composizione chimica dei depositi di ghiaccio dà infatti informazioni su quella dell’atmosfera al momento della formazione del ghiaccio stesso.

Lo studio si chiama “Beyond EPICA – Oldest Ice” ed è il seguito di un progetto di ricerca precedente, che invece si chiamava “EPICA”, da European Ice Coring in Antarctica, e che aveva permesso di prelevare ghiaccio a 3.260 metri di profondità, vecchio di 800mila anni. Durante la spedizione antartica appena iniziata saranno eseguiti dei carotaggi nel ghiaccio a circa 40 chilometri dalla Concordia e si cercherà di portare i campioni che saranno estratti in Italia, per le analisi, entro la fine del 2023.

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A differenza della Mario Zucchelli, che è aperta solo quando in Antartide è estate, cioè da fine ottobre a metà febbraio, la stazione Concordia è abitata tutto l’anno. Attualmente vi si trovano 13 persone, gli “invernanti”, che sono rimasti lì da febbraio: sei ricercatori italiani del PNRA, sei francesi dell’Istituto polare francese e un medico svedese dell’Agenzia spaziale europea. A causa delle condizioni meteorologiche estreme, non è possibile raggiungere la base per la maggior parte dell’anno, da febbraio a novembre, e per questo gli invernanti restano isolati per mesi: a breve potranno infine rientrare in Europa e la base si popolerà di una trentina di nuovi tecnici e ricercatori. Dal prossimo febbraio ci saranno altre 13 persone – di cui cinque del PNRA e sette dell’Istituto polare francese – che faranno il nuovo turno di isolamento.

La base Concordia è stata costruita tra il 1998 e il 2004 ed è fatta principalmente di due grandi edifici cilindrici di tre piani uniti da un passaggio coperto. Entrambi gli edifici poggiano su sei colonne di ferro regolabili che servono per compensare le variazioni nello spessore del ghiaccio. D’estate poi vengono sfruttati anche alcuni prefabbricati che erano stati usati durante la costruzione della base. In totale la stazione copre un’area di 1.500 metri quadrati. Si rifornisce di elettricità grazie a due generatori diesel e ottiene acqua dolce facendo sciogliere la neve.

La Concordia dista più di 1.000 chilometri dalla stazione Mario Zucchelli e dall’altra stazione francese, la Dumont d’Urville. Per raggiungerla si usano mezzi aerei per il personale e i materiali più leggeri, e convogli di mezzi cingolati provenienti dalla costa per i rifornimenti più pesanti: questi ultimi impiegano dai sette ai dodici giorni per raggiungere la base dal sito costiero Cap Prud’Homme, nella Terra di Adélie, sempre co-gestito da Francia e Italia.

La nave Laura Bassi (PNRA)

Le attività di ricerca italiane in Antartide comunque non avverranno solo nelle stazioni Mario Zucchelli e Concordia, ma anche in alcune basi antartiche di altri paesi e sulla Laura Bassi, una nave per la ricerca oceanografica che è l’unica italiana che può navigare in mari polari. È una rompighiaccio che l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (OGS) ha acquistato nel 2019 da una compagnia di navigazione norvegese e che deve il suo nome a una fisica italiana vissuta tra il 1711 e il 1778 che fu la prima donna al mondo a insegnare all’università.

Quest’anno le attività di ricerca a bordo della nave dureranno due mesi. Il 15 novembre la Laura Bassi partirà dall’Italia alla volta di Lyttelton, in Nuova Zelanda, da cui poi arriverà nel mare di Ross all’inizio dell’anno prossimo. Farà due tratte e a bordo si alterneranno 28 ricercatori.

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