I partiti perdono montagne di voti

Con l'astensione al 36% e in drastico aumento, considerare i risultati elettorali in termini assoluti rimette molte cose in prospettiva

(Mauro Scrobogna/LaPresse)
(Mauro Scrobogna/LaPresse)
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Il modo con cui vengono solitamente presentati i risultati elettorali, con le percentuali che indicano il consenso dei partiti in rapporto al totale di chi ha votato, può essere molto fuorviante. Questo vale soprattutto quando l’astensionismo è diffuso, e ancora di più quando è diffuso e in rapido aumento rispetto alle precedenti elezioni: entrambe caratteristiche delle elezioni che si sono tenute domenica, a cui ha partecipato solo il 64% degli aventi diritto, cioè nove punti percentuali e 4,5 milioni di persone in meno rispetto al 2018. Per un totale di 16 milioni di elettori, il 36% del totale, che hanno deciso di non andare ai seggi.

Il rischio di considerare soltanto le percentuali ottenute dai vari schieramenti è di sovrastimare il sostegno di un determinato partito nella popolazione, o di dimenticarsi che un partito che si è mantenuto sullo stesso livello del 2018 ha in realtà perso un bel po’ di voti. Cioè, in sostanza, di considerare successi e commentare come tali dei risultati che, se espressi in termini assoluti, evidenziano come in generale i partiti abbiano oggi molto meno sostegno rispetto a un tempo.

Più in generale, il pericolo è di fare valutazioni politiche che non consideri come soggetto della vita democratica di un paese la sua intera popolazione, ma solo le persone che di volta in volta decidono di andare a votare. E che in questo modo si tenda, più o meno implicitamente, a dare per scontato che il perimetro entro il quale possono agire i partiti per quanto riguarda la costruzione del proprio consenso sia al massimo quello di chi partecipa alle elezioni. Anche se questo perimetro si restringe a ritmi velocissimi, e di questo passo potrebbe comprendere meno della metà della popolazione nel giro di una decina d’anni.

Pensare che l’astensionismo fosse un problema di chi non vota poteva forse avere senso cinquant’anni fa, quando a votare era oltre il 90% delle persone: oggi è una posizione molto più difficile da sostenere.

Con la notevole eccezione di Fratelli d'Italia, i successivi quattro partiti tra quelli che hanno preso le percentuali più alte alle elezioni hanno perso voti rispetto al 2018. Movimento 5 Stelle, Lega e Forza Italia ne hanno persi la metà o più. Se una buona parte sono andati ad altri partiti, molti di quei voti domenica non sono semplicemente più stati espressi. Come si può osservare dal prossimo grafico, il numero assoluto degli astenuti è molto rilevante e in rapido aumento: dal 2013 gli astenuti sono più del partito più votato

Nel 2018 la destra aveva ottenuto 12,2 milioni di voti e il 37 per cento dei consensi. Alle ultime elezioni, invece, ha avuto il 43,8 per cento, quasi sette punti percentuali in più rispetto alle elezioni del 2018, e 12,3 milioni di voti. Nonostante abbia mantenuto un numero di voti assoluti stabile rispetto a quattro anni fa – ha guadagnato soltanto circa 130mila voti – è riuscita a ottenere una larga maggioranza e un vantaggio considerevole rispetto alla coalizione di centrosinistra.

Quindi l’astensione è stata particolarmente favorevole alla destra, che potrà governare con una solida maggioranza anche grazie alla netta vittoria nella maggior parte dei collegi uninominali, dove i deputati vengono eletti con il sistema maggioritario: basta prendere un voto in più degli avversari per essere eletti. Il movimento di voti è stato apparentemente quasi tutto interno alla coalizione: nella redistribuzione, Lega e Forza Italia hanno perso rispettivamente 3 milioni e 2 milioni di voti a livello nazionale rispetto al 2018, mentre Fratelli d’Italia ne ha guadagnati 5,8 milioni.

Rapportato all'intero corpo elettorale, comunque, Fratelli d'Italia è stato scelto dal 15,8% dell'intero corpo elettorale, cioè da 7,2 milioni di persone. Meno di una persona su otto tra quelle che vivono in Italia.

Un altro esempio di questo fenomeno si può notare con i risultati della coalizione di centrosinistra, che ha ottenuto 7,3 milioni di voti assoluti pari al 26,1 per cento dei consensi. Nel 2018 il centrosinistra aveva qualche voto in più (7,5 milioni), ma una percentuale inferiore: 22,8 per cento.

Nel 2008 il centrosinistra guidato da Walter Veltroni perse contro il centrodestra di Silvio Berlusconi pur ottenendo 13,6 milioni di voti, quasi il doppio di quelli che ha preso questa volta. Il numero di voti con cui oggi la destra ha ottenuto un importante consenso elettorale e una larga maggioranza per governare sono molto simili a quelli che fino a qualche anno fa avevano decretato la sconfitta del centrosinistra.

Per capire come si sono spostati i voti e che peso ha avuto l’astensionismo si possono osservare anche le analisi dei ​​“flussi elettorali”, cioè i passaggi di voti da un partito all’altro tra le elezioni del 2018 e quelle di domenica.

Analisi di questo tipo vengono realizzate da quasi tutti gli istituti che si occupano di sondaggi e si basano su due metodi: tramite sondaggi, cioè semplicemente chiedendo alle persone cosa hanno votato in passato e cosa invece hanno scelto nell’ultima tornata elettorale, oppure analizzando la distribuzione reale dei voti in alcuni seggi campione e utilizzando un particolare metodo di analisi, il cosiddetto metodo Goodman. Sono entrambi metodi con punti di forza e debolezze e i cui risultati vanno comunque presi con una certa cautela. Adottando qualche accortezza, però, possono restituire risultati interessanti.

Una delle prime analisi dei flussi elettorali è stata pubblicata da YouTrend sulla base degli instant poll realizzati per SkyTG24 e mostra alcune cose interessanti in merito all’astensione. Come si può osservare nel grafico, oltre a una quota di astenuti che è stata sostanzialmente confermata dal 2018, quest’anno tra le persone che hanno deciso di non votare ci sono anche molti ormai ex elettori del Movimento 5 Stelle: circa un terzo di coloro che avevano votato per il Movimento 5 Stelle nel 2018 si è astenuto. Questo flusso spiega anche il netto calo del partito che ha dimezzato i consensi, passando dal 32,6 al 15,4 delle preferenze, da 10,7 a 4,3 milioni di voti assoluti.

La perdita di voti verso l’astensione segnalata negli altri partiti è meno ingente. Più significativa è invece la distribuzione interna alle coalizioni, soprattutto nella destra: secondo l’analisi di YouTrend, circa la metà degli elettori della Lega ha votato per Fratelli d’Italia, che ha conquistato voti anche in Forza Italia. Il cosiddetto Terzo Polo, formato da Azione e Italia Viva, ha convinto molti elettori che nel 2018 avevano votato il Partito Democratico.

Capire le motivazioni dell’astensione non è semplice, perché le ragioni sono tante e non sempre facilmente interpretabili. Un tentativo apprezzabile di analisi è stato fatto durante l’ultima legislatura da una commissione di esperti che hanno pubblicato un report intitolato “Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e incentivare il voto”.

Una parte dell’astensione si spiega con il cosiddetto astensionismo involontario, che riguarda le persone molto anziane, sempre di più in Italia, o con difficoltà a muoversi, oppure ancora chi è lontano dal comune di residenza al momento del voto per ragioni di studio o di lavoro (quasi 5 milioni di persone). Sono tutti problemi che potrebbero aumentare nei prossimi anni, sia perché la popolazione è mediamente più vecchia, sia perché le persone si spostano maggiormente per lavorare o studiare.

Secondo gli esperti, l’astensionismo volontario dipende da diversi fattori socio-culturali, politici e istituzionali: le precarie condizioni economiche e la marginalità sociale portano le persone a essere maggiormente sfiduciate e a non sentirsi rappresentate da nessuno. Una parte dell’astensione si spiega anche con la comunicazione dei sondaggi e dei pronostici: una parte dell’elettorato, rassegnata di fronte alla prevista sconfitta, decide di non andare a votare. Questo potrebbe in parte spiegare l’aumento dell’astensione quest’anno, visto che la destra era da tempo ampiamente favorita.

Un altro fattore è l’aumento del disinteresse generale nei confronti della politica. Secondo l’ultima indagine dell’ISTAT, la lontananza dalla politica coinvolge il 27,6 per cento delle persone, in aumento rispetto al 22,6 per cento di cinque anni prima. Vi è una quota crescente di popolazione che, oltre a non informarsi di politica, non partecipa né in forma diretta né indiretta: nel 2019 erano 12,2 milioni le persone che dichiaravano di non essere interessate per nulla alla politica. In generale, spiegano gli esperti, la propensione all’astensione «è maggiore nelle classi di età più avanzate e con basso titolo di studio» e si manifesta «attraverso la protesta (specie tra l’elettorato maschile) o l’indifferenza (specie tra l’elettorato femminile)».