Una delle strategie per proteggere i rinoceronti è tagliargli i corni

Non è dolorosa per gli animali ed è sempre più usata per renderli meno interessanti per i bracconieri

Il taglio del corno di un rinoceronte in Sudafrica, il 16 ottobre 2017 (Leon Neal/Getty Images)
Il taglio del corno di un rinoceronte in Sudafrica, il 16 ottobre 2017 (Leon Neal/Getty Images)
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Nel 2008 in Africa iniziò una grossa crisi per i rinoceronti: a partire da quell’anno ci fu un grande aumento del numero di uccisioni di questi animali da parte di bracconieri interessati a venderne i corni, che sono molto richiesti come trofei, o come ingredienti nella farmacologia tradizionale asiatica. Dal 2011 in poi sono stati quasi 10mila – più o meno un terzo della popolazione complessiva mondiale – i rinoceronti uccisi illegalmente. Dal 2016 in avanti tuttavia c’è stato un progressivo miglioramento della situazione, con un ritorno ai numeri di dieci anni fa, che in parte dipende anche da un metodo sempre più usato per proteggere i rinoceronti: tagliargli i corni.

I corni dei rinoceronti sono fatti di cheratina, la stessa sostanza di cui sono fatti i capelli e le unghie umane, dunque a differenza delle zanne degli elefanti, che sono denti particolari, non contengono terminazioni nervose, né hanno radici sensibili. In altre parole, i rinoceronti non provano dolore se gli vengono segati. E come succede alle unghie i corni ricrescono: servono circa due anni perché raggiungano le stesse dimensioni che avevano prima del taglio.

Il procedimento richiesto è comunque traumatico e rischioso per gli animali. Prevede di immobilizzarli con un farmaco sparato con un dardo, spesso da un elicottero. Una volta colpito il rinoceronte non può più muoversi, pur restando sveglio. Prima di iniziare a tagliare è necessario l’intervento di varie persone per muovere l’animale in modo che sia messo in una posizione comoda per procedere. Per ridurre lo stress causato dal taglio ed evitare che sia ferito da schegge di corno, al rinoceronte vengono messi una benda e dei tappi per le orecchie, dopodiché si può cominciare: il veterinario coinvolto nell’operazione individua i punti giusti in cui intervenire (come per le unghie umane c’è una parte “viva”, alla base, che non va toccata) e sega entrambi i corni.

Nonostante benda e tappi i rinoceronti sentono il rumore della sega e percepiscono di essere circondati da persone, per questo il tutto è molto invasivo e spaventoso per loro. Il farmaco che li immobilizza peraltro può avere effetti collaterali sgradevoli e in alcuni casi causare la morte dei rinoceronti, dunque la questione è delicata.

Un rinoceronte bendato, poco dopo il taglio dei corni, in Sudafrica nel 2017 (Leon Neal/Getty Images)

Il taglio dei corni infine priva i rinoceronti di uno strumento di difesa nei confronti dei leoni e di loro simili che hanno il corno intero. Quest’ultimo aspetto è uno dei motivi per cui l’operazione deve essere sistematica: se solo un certo numero di rinoceronti presenti in un dato territorio è senza corni, questi individui possono essere svantaggiati negli scontri con rinoceronti cornuti. L’altro motivo è che i rinoceronti coi corni integri resterebbero esposti al bracconaggio.

Per quanto riguarda i leoni, secondo i sostenitori del taglio dei corni la base che resta anche dopo la loro rimozione è sufficiente per colpire efficacemente i predatori e difendersi.

Per anni c’è stato un intenso dibattito tra chi si occupa della difesa dei rinoceronti per stabilire se il taglio dei corni fosse una buona strategia o meno. Tuttora ci sono contrari, e anche i favorevoli dicono di non essere contenti del fatto che sia necessaria questa pratica, per tutto ciò che comporta per i rinoceronti.

L’organizzazione Save the Rhino tuttavia la appoggia sia perché ritiene che abbia contribuito a ridurre il bracconaggio, sia perché secondo uno studio pubblicato poche settimane fa sullo European Journal of Wildlife Research in Namibia, il primo paese in cui si è cominciato a tagliare i corni, non ci sono state conseguenze nell’età di prima riproduzione dei rinoceronti, nel periodo trascorso tra una gravidanza e l’altra, nel tasso di sopravvivenza dei cuccioli e nell’aspettativa di vita. In Namibia peraltro non è mai successo che un rinoceronte col corno tagliato sia stato ucciso illegalmente.

In Zimbabwe invece il taglio dei corni ha avuto un’altra conseguenza positiva: è stata osservata una diminuzione dei casi di morte dovuta al combattimento tra rinoceronti.

Corni di rinoceronti tagliati in Sudafrica nel 2017 (Leon Neal/Getty Images)

Resta che il taglio dei corni di rinoceronte può essere considerato solo una misura emergenziale, anche perché è molto costoso per quanto meno complicato di alternative come la diffusione di corni finti sul mercato illegale e il piano per rendere i corni radioattivi e dunque rintracciabili.

L’impegno economico varia a seconda di vari fattori, ma a grandi linee va da 600 a 1.000 euro per un singolo animale dato che servono veterinari esperti, varie altre persone e un elicottero. È stato stimato che per tagliare i corni di tutti i rinoceronti del Parco nazionale Kruger, in Sudafrica, servirebbero dai 6 ai 9 milioni di euro – che poi andrebbero spesi di nuovo nel giro di poco più di un anno, per la ricrescita. In alcune riserve più piccole la pratica viene finanziata facendo assistere a pagamento i turisti dei safari.

Ai costi più diretti poi bisogna associare quelli per le campagne informative in merito: se i bracconieri non sanno che i rinoceronti di un certo territorio sono senza corni, potrebbero comunque cacciarli e ucciderli. Servono anche dei più tradizionali sistemi di monitoraggio contro i cacciatori illegali, perché alcuni si accontentano della base dei corni.

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