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  • Venerdì 19 agosto 2022

In Cina anche i pesci sono testati per il coronavirus

Succede a Xiamen, città portuale nel sud-est del paese, dove le autorità locali hanno preso molto sul serio la “strategia zero Covid”

(Da un video di Douyin condiviso su YouTube)
(Da un video di Douyin condiviso su YouTube)
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Questa settimana nella città portuale di Xiamen, lungo la costa sud-orientale della Cina, vicino a Taiwan, circa 5 milioni di persone si sono dovute sottoporre a test di massa contro il coronavirus per via di una quarantina di casi positivi. Già a luglio comunque le autorità locali avevano ordinato di testare quotidianamente non solo i pescatori della città, ma anche il pesce pescato: è una misura imposta nell’ottica della cosiddetta “strategia zero Covid”, che ha l’obiettivo di eliminare la circolazione del virus attraverso test di massa e rigide restrizioni, e che come comprensibile ha sollevato diverse perplessità.

In base alle regole stabilite dall’amministrazione di Jimei, il distretto in cui si trova Xiamen, tutte le persone che lavorano sulle barche da pesca devono essere vaccinate e devono sottoporsi quotidianamente a un tampone per verificare la presenza del coronavirus al momento del rientro nel porto. Anche se secondo gli scienziati è improbabile che il coronavirus possa essere trasmesso attraverso i pesci, devono essere testati anche gli animali, ha detto il governo locale: questa attività servirebbe a escludere la presenza del virus, che potrebbe essere «importato» in Cina tramite contatti con i pescatori stranieri durante la compravendita di prodotti ittici.

In questi giorni su vari social network – tra cui Douyin, la versione cinese di TikTok – sono stati condivisi moltissimi video di personale sanitario che infila i lunghi cotton fioc nelle bocche dei pesci morti per prelevare campioni biologici, oppure passandoli sull’addome e sulle zampe dei granchi.

Un hashtag collegato ai test per il coronavirus sui pesci è stato visualizzato 120 milioni di volte su Weibo, il più popolare social network in Cina. Finora, comunque, non è stata data notizia di alcun caso di contagio tra gli animali testati.

Sui social media molti utenti si sono chiesti a cosa serva «questo tipo di test su animali che non hanno nemmeno i polmoni» e si sono domandati se anche pesci e granchi debbano sottoporsi all’isolamento in caso di risultato positivo. Altri invece hanno detto di apprezzare la misura, sostenendo che sia utile alla sicurezza pubblica.

L’ente di Xiamen che si occupa dello sviluppo della pesca ha fatto sapere di aver preso come modello Hainan, la provincia insulare nel sud della Cina dove attualmente è in corso un grosso focolaio che secondo le autorità locali potrebbe essere stato originato proprio da alcuni contatti tra i pescatori locali e quelli stranieri.

Sempre nell’ottica della “strategia zero Covid” i pesci erano stati testati anche durante il durissimo lockdown cominciato a marzo a Shanghai, in alcuni casi vivi. Nel giugno del 2020, all’inizio della pandemia, a Pechino si era invece diffuso il panico da salmone per via di alcuni casi di coronavirus che erano stati collegati al tagliere di un banco del pesce usato per il salmone importato dall’estero, una versione poi smentita dalle stesse autorità che l’avevano inizialmente suggerita.

Alcuni ricercatori in Cina hanno osservato che in certi casi il coronavirus riesce a sopravvivere nel cibo congelato, sulle confezioni e in altri prodotti refrigerati, e hanno attribuito alcuni casi di contagio a prodotti importati, anche se non è chiaro con che tipo di contatto e di quale durata. Tra gli altri, sia l’agenzia governativa statunitense che si occupa della sicurezza e della regolamentazione di cibi e farmaci (FDA) che i Centers for Disease Control and Prevention (CDC), il più importante organo di controllo sulla sanità pubblica negli Stati Uniti, hanno detto che non esistono prove sufficienti a dimostrare che il cibo o le confezioni possano essere fonti di trasmissione del virus agli umani.

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