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  • Giovedì 18 giugno 2020

In Cina c’è stato del panico da salmone

Un iniziale collegamento tra i nuovi casi di coronavirus e un tagliere in un banco del pesce ha fatto crollare gli ordini, prima di essere smentito

Un mercato di Pechino. (Kevin Frayer/Getty Images)
Un mercato di Pechino. (Kevin Frayer/Getty Images)

La notizia – con ogni probabilità falsa – che i nuovi casi di coronavirus registrati negli ultimi giorni a Pechino siano legati al consumo di salmone crudo ha provocato grandi preoccupazioni per paesi come la Norvegia e il Cile, che ne esportano a tonnellate ogni anno in Cina. L’associazione tra il salmone e il coronavirus era stata suggerita inizialmente dalle autorità cinesi, che in seguito hanno smentito qualsiasi collegamento: ma pochi giorni di panico e incertezza sono bastati a fare un po’ di danni, e c’è preoccupazione sulle conseguenze nel breve periodo.

Dopo quasi due mesi senza casi di trasmissione locale di coronavirus, Pechino ha registrato un primo caso la settimana scorsa: da allora i casi confermati sono diventati circa 150, e le autorità locali hanno deciso di cancellare centinaia di voli, di sospendere le lezioni negli asili, nelle scuole primarie e secondarie e nelle università e di chiudere palestre e piscine. I casi positivi, hanno detto le autorità, sono riconducibili in larga parte al mercato di Xinfadi, il più grande e frequentato della città: in particolare, aveva detto il presidente del mercato a un giornale locale, tracce del coronavirus erano state rilevate su un tagliere usato in un banco per il salmone importato dall’estero.

In realtà erano risultati positivi circa 40 campioni prelevati dal mercato, e tanti provenienti da superfici diverse dai taglieri del salmone, ha detto in seguito un portavoce della Commissione alla Sanità della città. Ma la confusione iniziale è stata alimentata dalle stesse autorità: sabato Zeng Guang, epidemiologo del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie (CCDC), un organo del ministero della Salute, ha consigliato ai pechinesi di non mangiare il salmone crudo per un po’.

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La notizia ha creato in poco tempo un certo panico: il salmone è stato ritirato dagli scaffali di molti supermercati, e tanti ristoranti e importatori hanno cancellato gli ordini dall’estero. Regin Jacobsen, capo di un’azienda che alleva salmoni alle isole Faroe, ha detto al New York Times che nel weekend gli ordini «sono passati praticamente da 100 a zero». Il 20 per cento delle esportazioni dell’azienda sono in Cina. È successa la stessa cosa alla Norvegia, che esporta circa il 45 per cento del salmone consumato in Cina per un giro di affari annuo di circa 150 milioni di euro: Anders Snellingen, dirigente del Norges Sjømatråd, un’associazione di categoria dei produttori di pesce, ha confermato che c’è stato un gran numero di ordini cancellati, e che molte partite sono state distrutte o rimandate indietro.

Un allevamento di salmoni in Norvegia. (Bryn Lennon/Getty Images)

Negli ultimi anni, il salmone è diventato un bene sempre più richiesto in Cina, per via della diffusione della cucina giapponese e per le maggiori disponibilità economiche della classe media: la Cina ne importa circa 80mila tonnellate ogni anno. Le notizie sul mercato di Pechino hanno però creato un’immediata diffidenza e paura verso il salmone, che si è estesa in realtà al pesce fresco in generale: un venditore del mercato di Jingshen ha detto al New York Times che le vendite sono calate dell’80 per cento da venerdì.

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Ma il salmone con ogni probabilità non c’entra niente con i nuovi casi di coronavirus a Pechino. Martedì un dirigente del CCDC ha detto che non ci sono prove che il salmone possa essere un vettore del coronavirus, aggiungendo che non ne sono state trovate tracce nel pesce fuori dal mercato. Gli scienziati da tempo dicono che le probabilità che il coronavirus si trasmetta attraverso il cibo, o attraverso le confezioni del cibo, sono estremamente basse. Quest’ultima ipotesi in realtà non è stata esclusa dal CCDC.

L’OMS ha spiegato che «il coronavirus non si può riprodurre nel cibo, ma ha bisogno di un ospite animale o umano». Cheng Gong, virologo dell’Università Tsinghua di Pechino, ha aggiunto che «i virus si affidano a specifici recettori sulle superfici delle cellule per infettarle. Senza recettori, non possono entrare: tutte le prove raccolte finora dicono che questi recettori sono presenti solo nei mammiferi, e non nel pesce». Le autorità norvegesi mercoledì hanno annunciato di aver fatto delle ricerche insieme a quelle cinesi concludendo che il salmone norvegese non era la fonte del contagio. «Possiamo togliere ogni dubbio», ha detto il ministro della Pesca norvegese Odd Emil Ingebrigtsen.