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  • Mercoledì 17 agosto 2022

Cosa sta succedendo in Crimea?

Sembra che le recenti esplosioni nelle basi russe siano state causate da attacchi ucraini: sarebbe una notevole evoluzione della guerra

Una colonna di fumo sale dal deposito di armi russo in cui martedì 16 agosto 2022 si è verificata una nuova serie di esplosioni (AP Photo)
Una colonna di fumo sale dal deposito di armi russo in cui martedì 16 agosto 2022 si è verificata una nuova serie di esplosioni (AP Photo)
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Nell’ultima settimana ci sono state diverse esplosioni in almeno due basi russe nella penisola di Crimea, che la Russia aveva invaso e annesso dal 2014 e che sta attualmente usando come base logistica e militare per l’invasione dell’Ucraina. Il governo russo finora non ha accusato direttamente l’Ucraina di averle causate, e in uno dei casi più recenti le ha attribuite genericamente a «un sabotaggio», senza specificare da parte di chi. Ma la dichiarazione è stata interpretata da vari analisti come un’ammissione del fatto che la guerra si sta espandendo anche in quello che la Russia considera il proprio territorio e che finora non era stato attaccato dall’Ucraina. Se le esplosioni di questi giorni fossero effettivamente state causate da attacchi ucraini, sarebbe un’evoluzione molto significativa della guerra in corso.

Per ora non ci sono state rivendicazioni ufficiali e ci sono pochissime conferme indipendenti sulle esplosioni, ma è ragionevole pensare che siano il risultato di tattiche militari sempre più aggressive da parte dell’esercito ucraino, forse attuate anche grazie alle armi ricevute dai paesi occidentali.

La prima serie di esplosioni in una base russa in Crimea si era verificata nel primo pomeriggio di mercoledì scorso, nella base aerea di Saki, a Novofedorivka: è una località piuttosto frequentata da turisti sulla costa occidentale della penisola, a meno di 200 chilometri dal confine con la regione di Kherson, nel sud dell’Ucraina, occupato in gran parte dai russi all’inizio dell’invasione e che l’esercito ucraino sta cercando di liberare da settimane. La seconda serie di esplosioni si è verificata invece martedì mattina, in un deposito di armi russo a Maiske, a nord nella penisola di Crimea. Poco dopo, sempre martedì, alcuni giornali russi hanno parlato di un’ulteriore esplosione, in un campo d’aviazione russo a Hvardiiske, a meno di mezz’ora di macchina dalla capitale della Crimea, Sinferopoli.

Tutte queste esplosioni hanno causato danni piuttosto ingenti alle risorse e alla logistica dell’esercito russo.

Nella base aerea di Saki alcune immagini satellitari diffuse dalla società americana Planet Labs, che hanno fornito la prima conferma indipendente sull’accaduto, avevano permesso di capire che almeno 8 jet da guerra russi e diversi edifici erano stati distrutti. Nel deposito di armi di Maiske, utilizzato dalla Russia anche come snodo ferroviario per il trasporto di soldati e armi verso il Donbass, le esplosioni hanno danneggiato proprio le linee ferroviarie, che sono infatti state temporaneamente sospese per qualche ora. Della terza esplosione, quella che sembrerebbe essere avvenuta a Hvardiiske, vicino alla capitale della Crimea, si sa ancora molto poco.

Il governo russo ha reagito in modo praticamente identico sia per le esplosioni a Saki che per quelle a Maiske: ha immediatamente minimizzato l’accaduto e sostenuto che fosse il risultato di un incidente. Inizialmente il governo russo aveva anche detto che non c’erano morti, feriti o danni alle basi, venendo poi smentito dalle autorità locali russe della Crimea, che avevano invece parlato di morti (nella base aerea), feriti (nel deposito di armi), danni ed evacuazioni di migliaia di civili nelle vicinanze.

È stato dopo le esplosioni a Maiske, martedì, che il ministero della Difesa russo ha cambiato versione e parlato di «un sabotaggio».

Da parte del governo dell’Ucraina, che su queste esplosioni sta mantenendo un atteggiamento piuttosto ambiguo, non ci sono state rivendicazioni ufficiali. Ma alcuni suoi funzionari, ascoltati in forma anonima dal Washington Post e dal New York Times, hanno attribuito i primi due attacchi alle forze ucraine, in un caso citando alcuni non meglio identificati «partigiani» con base in Crimea.

Le dichiarazioni ufficiali del governo ucraino, comunque, avevano fatto intendere che le esplosioni fossero il risultato di un attacco mirato. Commentando le esplosioni a Maiske, per esempio, un consigliere del presidente Volodymyr Zelensky le aveva descritte come un’azione di «demilitarizzazione» della penisola di Crimea. Anche Andriy Yermak, capo dell’amministrazione presidenziale ucraina, ha commentato le esplosioni utilizzando questa stessa definizione. 

Zelensky, inoltre, aveva approfittato della prima serie di esplosioni, quella alla base aerea russa di Saki, per ricordare che la liberazione della Crimea resta uno dei principali obiettivi ucraini: «Questa guerra russa contro l’Ucraina e tutta l’Europa libera è iniziata con la Crimea e deve finire con la Crimea: con la sua liberazione», aveva detto Zelensky la sera stessa delle esplosioni.

Al momento non ci sono conferme indipendenti né prove per stabilire con certezza cosa sia successo. Sono state fatte però alcune ipotesi. Riguardo alla base aerea di Saki, per esempio, alcuni analisti hanno ritenuto molto probabile che ci sia stato un attacco mirato: sia perché le immagini satellitari hanno mostrato che le esplosioni erano state più di una, sia perché avevano colpito in maniera piuttosto precisa vari jet distanti gli uni dagli altri, parcheggiati lontano dagli hangar, dove sarebbe stato più facile che si sviluppasse un incendio (come invece aveva sostenuto il governo russo).

Ci sono state speculazioni sul fatto che gli eventuali attacchi siano stati compiuti grazie ai lanciarazzi HIMARS che l’esercito ucraino ha ricevuto lo scorso giugno dagli Stati Uniti, dato che questo tipo di armi permette di compiere attacchi più precisi e a maggiori distanze. Anche da questo punto di vista, però, non ci sono prove sufficienti, e secondo alcuni analisti gli obiettivi colpiti in Crimea sono fuori dalla portata dei sistemi forniti all’Ucraina dagli Stati Uniti: i lanciarazzi HIMARS, infatti, possono arrivare a colpire obiettivi fino a 300 chilometri di distanza, ma si ritiene che i razzi in dotazione all’esercito ucraino non possano raggiungere quelle distanze.

L’ipotesi che le esplosioni in Crimea siano attacchi mirati e siano parte di una nuova controffensiva ucraina, comunque, resta molto concreta.

Nel frattempo, sulla penisola, il livello di allerta è cresciuto: al New York Times alcuni abitanti hanno detto che le autorità locali hanno introdotto una «allerta gialla di minaccia terroristica», e che ci sono persone che vengono fermate e perquisite prima di entrare nei parchi o negli edifici pubblici.

Da quando fu annessa con un referendum considerato illegittimo da molti governi, la penisola di Crimea è rimasta sotto il controllo russo, che l’ha usata come base militare, porto sicuro per le sue navi, e anche come strumento di propaganda: in passato Putin ha definito questa penisola una «terra sacra», «il centro dell’unità spirituale [della Russia]» e «la base della nazione russa e di uno stato russo integrale e centralizzato». Dalla Crimea, poi, sono partiti alcuni degli aerei da guerra con cui la Russia ha bombardato l’Ucraina, e in Crimea erano attraccate alcune delle navi da cui sono stati lanciati razzi contro civili ucraini.

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