La prima rivista femminista non di nicchia

"Ms. magazine” uscì negli Stati Uniti 50 anni fa: dentro c’erano l’aborto e Wonder Woman, Nora Ephron e il divario salariale

di Marta Impedovo

Gloria Steinem e Patricia Carbine, gennaio 1980. (AP Photo/Dave Pickoff)
Gloria Steinem e Patricia Carbine, gennaio 1980. (AP Photo/Dave Pickoff)

Il primo luglio del 1972 negli Stati Uniti uscì il primo numero di Ms. magazine, la prima rivista femminista mensile venduta su scala nazionale e destinata a un pubblico femminile generalista. L’avevano fondata Gloria Steinem, Dorothy Pitman Hughes, Patricia Carbine e altre famose attiviste femministe del tempo: l’obiettivo era raccontare le storie che sugli altri giornali non trovavano spazio e farle arrivare anche alle lettrici che non erano raggiunte dalle altre riviste femministe più piccole.

Fu da subito un progetto molto contestato: dalla stampa mainstream perché era troppo schierato, e dai movimenti femministi più integralisti perché non era abbastanza indipendente dagli inserzionisti e dal sistema capitalista. Nonostante questo convinse le lettrici: vendeva centinaia di migliaia di copie ogni mese. Come ha scritto Jessica Bennett sul New York Times, «alcune donne lo nascondevano ai mariti; per altre, è stato il catalizzatore che le ha spinte a lasciarli».

L’idea di Ms. Magazine venne a un gruppo di scrittrici femministe che facevano fatica a proporre alle riviste del tempo articoli sulla condizione femminile. Volevano fare un giornale per le donne che fosse anche scritto da donne, che parlasse di cose di interesse politico e sociale e non solo di moda, ricette o cura della casa come facevano le riviste femminili del tempo. Si misero alla ricerca di fondi e convinsero l’editore del New York Magazine, che finanziò un numero di test di Ms. magazine che sarebbe uscito come inserto della popolare rivista nel dicembre del 1971. Furono stampate 300mila copie che andarono esaurite in 8 giorni e la redazione di Ms. ricevette pacchi di lettere da lettrici entusiaste.

(Ms. magazine)

Sulla copertina c’era un’illustrazione che mostrava la dea indù Kali con un feto nella pancia e otto braccia che reggevano ognuna una cosa diversa come un orologio, una padella, un telefono, uno specchio. L’illustrazione faceva riferimento all’articolo di punta del numero: Il momento della verità della casalinga, di Jane O’Reilly, che ha recentemente raccontato di aver scelto di approfondire il tema del lavoro domestico anche perché un amico a cena l’aveva irritata chiedendole se il femminismo significasse che doveva cominciare a lavare i piatti.

Prima avevano pensato di chiamarlo “Sisters”, ma suonava troppo come un giornale di suore, o “Sojourner” in onore dell’attivista afroamericana Sojourner Truth, ma c’era il rischio che sembrasse una rivista di viaggi (“sojourner” vuol dire appunto “viaggiatore”). Il nome “Ms.” fu scelto perché è la formula che si usa in inglese prima del nome di una donna al posto di “Miss” o “Mrs.”, per non indicare se è sposata o meno, esattamente come si fa con gli uomini usando sempre “Mr.”. Adesso “Ms” è molto diffuso, ma allora non lo era affatto e l’idea di usarlo come nome di una rivista piacque a tutte.

– Leggi anche: La femminista che diede un’alternativa a Miss e Mrs.

Negli anni in cui uscì mensilmente, dal 1972 al 1987, su Ms. uscirono inchieste sullo sfruttamento nelle fabbriche, sul traffico sessuale, sul divario salariale e sulla cultura dello stupro, cioè la tendenza a minimizzare e considerare normali violenze e abusi di genere: ci scrissero autrici e giornaliste come Maya Angelou, Doris Lessing, Susan Sontag e Nora Ephron. Nel 1976 fu il primo giornale a parlare del problema della violenza domestica, cioè quella esercitata sulle donne dai loro partner, con un numero che aveva in copertina la foto in primo piano di una donna con un livido in faccia.

Nel complesso assomigliava in tutto alle altre riviste che si trovavano in edicola: aveva copertine lucide dalla grafica studiata e contemporanea, pubblicità sul retro di copertina, un tono molto informale e un indice con molti titoli che ricordavano quelli delle riviste femminili. La redazione riceveva ogni mese pacchi di lettere dalle lettrici: Steinem disse che era una cosa piuttosto insolita per le riviste femminili e che succedeva perché Ms. veniva concepito come qualcosa di scritto direttamente per loro e molte si sentivano di dover rispondere.

Il primo numero ufficiale uscì nelle edicole il primo luglio del 1972 con un’illustrazione di Wonder Woman in copertina e la scritta “Wonder Woman for president”. Dentro c’erano, tra le altre cose, un articolo in cui alcune dinamiche affrontate dall’eroina nel fumetto venivano usate come spunto per parlare di problemi diffusi tra le donne, come la discriminazione di genere sul lavoro, e un articolo intitolato We have had abortions (“Noi abbiamo abortito”), in cui oltre 50 donne, tra cui alcune molto famose, dichiaravano di essersi sottoposte a un’interruzione di gravidanza in un momento storico in cui l’aborto era vietato in molti stati americani.

 

L’editorialista James J. Kilpatrick lo recensì definendolo «un do diesis su un pianoforte non accordato» e un bollettino «di petulanza, di stronzate o di unghie nervose che stridono su una lavagna». Il giornalista televisivo Harry Reasoner disse che gli dava «sei mesi prima di finire le cose da dire», ma molti anni dopo si scusò per averlo fatto.

Nel libro Yours In Sisterhood, dove l’accademica americana Amy Erdman Farrell ricostruisce la storia della rivista, la varietà della linea editoriale di Ms. magazine e la sua unicità nel panorama editoriale di allora viene raccontata così:

«Una può aprire un qualsiasi “Ms.” dagli anni Settanta agli anni Ottanta e trovare un’accozzaglia di messaggi e rappresentazioni – pubblicità che ritraggono la liberazione femminile con una carta di credito American Express o una sigaretta Benson and Hedges, le poesie di Adrienne Rich, un editoriale che proclama la sorellanza tra tutte le donne, un articolo che lamenta la depressione delle casalinghe, Alice Walker che parla dei limiti e del razzismo del femminismo bianco, annunci di vendita di gioielli che celebrano la cultura matriarcale, e lettere delle lettrici che criticano la policy delle inserzioni del giornale o condividono le loro storie di discriminazione e consapevolezza. […] La storia di “Ms.” è la storia del femminismo popolare stesso, del tentativo sperimentale e audace da parte delle attiviste del movimento femminista di coinvolgere una massa di lettrici usando un media commerciale come veicolo».

Conciliare l’animo rivoluzionario di Ms. con quello più commerciale fu una delle maggiori sfide fin dall’inizio. Le editrici furono spesso criticate per aver sostenuto il progetto (che rimase non profit fino al 1987) con i guadagni di grossi inserzionisti che rappresentavano il sistema capitalistico e in generale tutto quello contro cui il femminismo avrebbe dovuto lottare. Inizialmente non era stato facile trovare inserzionisti interessati, anche perché le fondatrici di Ms. avevano idee molto precise su come dovessero essere le pubblicità sulla rivista: per esempio non volevano immagini che riprendessero stereotipi di genere o oggettificassero il corpo femminile.

Gloria Steinem davanti alla Casa Bianca con una gigantografia della copertina di Ms. che mostra il presidente Jimmy Carter incinto (AP Photo)

Ma poi le cose si sbloccarono. Nel libro di Erdman Farrell si legge che «Ms. decise esplicitamente di fare un’alleanza col sistema capitalistico, di usare le risorse finanziarie degli inserzionisti per finanziare il movimento […]. Lo status di rivista femminista e mass media ha dato al giornale il potere di muoversi in circoli inaccessibili a riviste più piccole e radicali ma ha creato allo stesso tempo aspettative contrastanti».

Un’altra delle controversie che accompagnarono la rivista per molti anni riguardò l’inclusione e la rappresentazione delle minoranze etniche. Nonostante Dorothy Pitman Hughes, una delle fondatrici della rivista, fosse una donna afroamericana, Ms. magazine fu a lungo criticato da alcune attiviste perché non dava abbastanza spazio ad autrici non bianche e mostrava raramente donne nere in copertina. Nel 1986 la scrittrice Alice Walker diede le dimissioni dalla redazione proprio per questo.

Alla fine degli anni Ottanta la rivista – che era di proprietà dell’organizzazione non profit Ms. Foundation for Education and Communication – fu venduta, un po’ per via della crisi economica, un po’ perché alcune delle principali redattrici se n’erano andate. Negli anni successivi si susseguirono diversi proprietari e Ms. divenne una rivista bimestrale con un modello di ricavi basato sulla totale assenza di inserzioni pubblicitarie. Dal 2001 l’editore di Ms., che continua a essere una rivista cartacea ma ora ha anche un sito, è la Feminist Majority Foundation, un’organizzazione non profit che promuove tra le altre cose la non violenza e l’uguaglianza.