Una canzone di Eartha Kitt

E la storia di quando imbarazzò la presidenza degli Stati Uniti

(Harry Kerr/BIPs/Getty Images)
(Harry Kerr/BIPs/Getty Images)
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Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Domani apre a New York, al Lincoln Center, una mostra fatta con oggetti e documenti di Lou Reed regalati da sua moglie Laurie Anderson alla New York Public Library. Metti che passate di lì.
Buoni esempi, sempre da New York: il senato dello stato ha approvato una legge – che dovrà essere firmata dalla governatrice – per cui i venditori di biglietti dei concerti non potranno gonfiare di supplementi e costi accessori i l prezzo comunicato , ma dovranno dichiarare immediatamente nelle prevendite la cifra complessiva ed esatta. E sono abolite le truffaldine “spese di consegna” per i biglietti digitali (che nessuno deve consegnare).

This is my life
Eartha Kitt

This is my life su Spotify non c’è
This is my life su Apple Music non c’è
This is my life su YouTube

Riprendo il racconto di chi fosse Eartha Kitt da un vecchio articolo del Post:
“Eartha Kitt, che è morta nel 2008 a quasi 82 anni, fu un simbolo di bellezza afroamericana ricercata da riviste e fotografi più di quanto sia rimasta nella storia dello spettacolo e nella popolarità contemporanea. Non è molto nota oggi, ancora meno fuori dagli Stati Uniti. Kitt era nata nel 1927 in South Carolina in una condizione di povertà e grandi difficoltà. Cominciò a cantare molto giovane e a vent’anni girava l’Europa cantando nei locali, e imparando a parlare e cantare in molte lingue (anche in Italiano, e nel 1968 sarebbe stata al Festival di Sanremo con una tremenda interpretazione della canzone condivisa Peppino Gagliardi, che ebbe strascichi e complicazioni ). Poi fu arruolata da Orson Welles a recitare in teatro con lui e negli anni Cinquanta lavorò in film e cose teatrali, ma soprattutto continuò a cantare ed ebbe il maggiore successo con la canzone “Santa Baby” (1953).
Una nuova grande popolarità la ottenne facendo Catwoman nella serie televisiva su Batman, tra il 1966 e il 1968. Nel 1968, a un pranzo alla Casa Bianca ospite della presidenza Johnson, Kitt disse cose molto severe contro la guerra in Vietnam, schierandosi dalla parte di chi protestava e dei giovani americani che vi morivano, e per questo fu molto criticata e la sua carriera ne ebbe conseguenze. Ma tornò di gran culto dalla seconda metà degli anni Settanta, con alcuni nuovi successi nella musica disco”.

La cosa sul Vietnam è protagonista del breve documentario del New Yorker che avevo segnalato qui qualche mese fa. Invece stasera, mercoledì vivace, andiamo sui suoi successi tardivi, con questa cosa buffa ma irresistibile del 1986, che dice “va’ al diavolo”.

This is my life, what can I do
I can do very well without you
Without your smiles, without your sneer
Without your arms and your awful idea
This is my life, what can I do

This is my life su Spotify non c’è
This is my life su Apple Music non c’è
This is my life su YouTube