Palermo deve decidere cosa fare con le auto

Il progetto del tram in centro e le pedonalizzazioni sono motivo di scontro tra i candidati sindaci, mentre la città è alle prese con cantieri lunghissimi

di Isaia Invernizzi

Il Cassaro a Palermo, il nome con cui è conosciuta via Vittorio Emanuele (Peter Boccia/Unsplash)
Il Cassaro a Palermo, il nome con cui è conosciuta via Vittorio Emanuele (Peter Boccia/Unsplash)
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Oltre l’angolo di palazzo delle Aquile, lungo via Maqueda, nel centro di Palermo, la prima cosa che si nota sono le tre cupole rosse della chiesa di San Cataldo, protetta dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità. Poco più in là c’è la facciata della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, conosciuta come la Martorana. In qualsiasi periodo dell’anno, anche nei mesi più caldi, i turisti si fermano sulle panchine di pietra per ammirare piazza Bellini, una delle più belle della città. Fino al 2014 questa piazza era occupata dalle auto degli amministratori comunali – una sessantina tra consiglieri e assessori – a cui era stato riservato un parcheggio personale. Piazza Bellini è stata una delle prime zone del centro ad essere pedonalizzate e oggi nessuno, nemmeno chi all’epoca era contrario, tornerebbe indietro.

Negli ultimi anni il comune ha deciso di chiudere al traffico molte altre strade e piazze. Basta camminare lungo via Vittorio Emanuele, conosciuta come il Cassaro, verso la Cattedrale, per rendersi conto degli effetti: i turisti e i palermitani che passeggiano lungo le vie del centro sono molti di più rispetto a qualche anno fa. La restituzione delle strade alle persone e la spinta verso una mobilità più sostenibile sono due dei principi che hanno guidato gli ultimi dieci anni dell’amministrazione di Leoluca Orlando, sindaco per quasi 22 anni in cinque mandati a partire dalla metà degli anni Ottanta.

Alle buone intenzioni, tuttavia, non sono seguiti quasi mai programmi lineari: i piani della mobilità sono stati seguiti con fatica, lentezza e conseguenze notevoli per chi abita a Palermo, soprattutto per via dei cantieri che per anni hanno bloccato intere zone della città. I problemi sono stati così tanti da rendere le persone scettiche su molti dei cambiamenti che hanno interessato la città, oggi comunque più bella e vivibile rispetto al passato: chi abita a Palermo vorrebbe fare a meno delle auto, ma teme che i sacrifici dovuti ai cantieri, al traffico e alla vivibilità a breve termine superino i vantaggi.

Giovedì 26 maggio il consiglio comunale ha approvato il nuovo piano triennale delle opere pubbliche. Dentro ci sono opere già annunciate con finanziamenti per oltre 500 milioni di euro che potranno essere impegnati entro la fine dell’anno. Il piano è stato approvato a due settimane dal voto perché in questo modo la maggioranza ha messo in sicurezza l’opera più importante e forse più discussa: le ultime tre linee del tram – chiamate A (Balsamo-Croce Rossa), B (Notarbartolo-Giachery) e C (Balsamo-Calatafimi) – che passeranno anche nelle strade del centro. L’impatto previsto sul traffico è notevole: secondo i calcoli dei progettisti, i tram consentiranno di far circolare 120mila auto in meno ogni giorno in città.

Il tram è uno degli investimenti più importanti degli ultimi decenni. Per l’amministrazione Orlando, nonostante la decisa opposizione del centrodestra e le proteste di molte associazioni di commercianti, il progetto non è mai stato in dubbio. Giusto Catania, attuale assessore alla Mobilità, ha spiegato che il tram in centro è una scelta obbligata perché una rinuncia porterebbe alla perdita di 199 milioni di euro garantiti dallo Stato e 55 dalla Regione. «La prossima amministrazione non potrà che dare continuità a questo percorso», ha detto. «Si tratta di un processo irreversibile cominciato tanti anni fa».

L’eredità di Orlando, però, non è solo un piano della mobilità da centinaia di milioni di euro. Negli ultimi anni il sindaco ha avuto molti problemi nella gestione delle opere e del comune: il bilancio è stato diverse volte vicino al dissesto, la maggioranza è sempre stata in bilico, non sono stati risolti gli storici limiti di gestione delle società partecipate e ci sono stati casi piuttosto gravi come la mancata sepoltura di centinaia di bare nel cimitero di Santa Maria dei Rotoli di Palermo, il più grande della città.

Il 12 maggio, nel giorno del suo commiato alla città, Orlando ha detto che negli ultimi anni Palermo ha vissuto uno straordinario cambiamento. Di fronte aveva poche persone e pochissimi tra consiglieri comunali e candidati alle elezioni: le foto della platea sono un segnale abbastanza evidente di quale sia la percezione della città e della politica nei confronti di un sindaco da cui molti hanno preso le distanze.

Al saluto di Orlando non ha partecipato nemmeno Franco Miceli, il candidato del centrosinistra, sostenuto da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Sinistra Civica Ecologista e movimenti civici. Miceli è un architetto, ha 70 anni, è nato a Palermo, e negli anni Novanta è stato assessore comunale ai Lavori pubblici. Dal maggio dello scorso anno è presidente del Consiglio nazionale degli architetti. Sia il nome della sua lista civica – progetto Palermo – sia quello dello slogan della campagna elettorale – “Sarò Franco”– non spiccano per fantasia.

A conferma della dichiarata discontinuità con l’amministrazione Orlando, Miceli ha detto di essersi accorto di molte emergenze che riguardano Palermo durante il lavoro di preparazione alla campagna elettorale. «Bisognerà cambiare tante cose, soprattutto il modo di governare la città, ancora troppo legato a schemi del passato che non sono più adeguati ad affrontare i problemi dell’oggi», ha detto.

Franco Miceli e il segretario nazionale del PD Enrico Letta (ANSA / IGOR PETYX)

Il centrodestra ha scelto Roberto Lagalla, 67 anni. Medico, specialista in radiologia diagnostica e radioterapia oncologica, autore di oltre 450 pubblicazioni scientifiche. È stato rettore dell’università di Palermo, assessore regionale alla Sanità dal 2006 al 2008 e all’Istruzione dal 2017 fino alle dimissioni di quest’anno. Le trattative interne al centrodestra per presentare un solo candidato sono state lunghissime. Lagalla ha prevalso su Carolina Varchi, indicata da Fratelli d’Italia, e su Francesco Cascio di Forza Italia. Lagalla conta anche sul sostegno dei dirigenti locali di Italia Viva, che hanno presentato una lista in suo sostegno nonostante la presa di distanza della dirigenza nazionale del partito.

Tra i mediatori più influenti che hanno convinto i partiti a convergere su Lagalla ci sono anche Marcello Dell’Utri e Salvatore Cuffaro, detto Totò: entrambi non possono fare politica attiva perché condannati rispettivamente a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e a 7 anni per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio. Dell’Utri è stato tra i primi a indicare Lagalla come candidato sindaco, mentre l’ex presidente siciliano Cuffaro è direttamente impegnato in campagna elettorale, pur non da candidato, come promotore della lista DC Nuova, che richiama esplicitamente la vecchia Democrazia cristiana e fa parte delle nove liste a sostegno di Lagalla.

Roberto Lagalla in campagna elettorale (ANSA/RED)

Le polemiche per il coinvolgimento di Dell’Utri e Cuffaro hanno contraddistinto la campagna elettorale, in particolare durante i giorni delle commemorazioni per i 30 anni dalla strage mafiosa di Capaci, la più nota e ricordata della storia italiana, in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, 53 anni, sua moglie Francesca Morvillo, 47 anni e anche lei magistrato, gli agenti della scorta Antonio Montinaro e Rocco Dicillo, entrambi trentenni, e Vito Schifani, di 27 anni. «Non ho niente da dire contro Cuffaro o Dell’Utri. Hanno scontato la pena. Ma non sono adamantini e limpidi», ha detto Maria Falcone, sorella del giudice. Per evitare ulteriori polemiche Lagalla non ha partecipato alle manifestazioni ufficiali organizzate in ricordo della strage.

Con i suoi 41 anni, Fabrizio Ferrandelli è il candidato più giovane, anche se fa politica da moltissimi anni: è al suo terzo tentativo di diventare sindaco di Palermo. Presidente dell’assemblea di +Europa, è sostenuto anche da Azione di Carlo Calenda. Una delle sue liste si chiama “E tu splendi Palermo”, in omaggio a una celebra frase di Pier Paolo Pasolini: è formata da commercianti, cittadini e professionisti. In “Rompi il sistema”, invece, i candidati hanno meno di 25 anni.

Oltre a Miceli, Lagalla e Ferrandelli, ci sono altri tre candidati: Rita Barbera, sostenuta da Potere al Popolo, è stata direttrice di tutti e tre gli istituti penitenziari della città; Ciro Lomonte è il candidato di ​​Popolo della Famiglia, Italexit e Siciliani Liberi; Francesca Donato, europarlamentare fuoriuscita dalla Lega, nota soprattutto per la sua contrarietà alla campagna vaccinale e al Green Pass, si presenta da sola.

Secondo un sondaggio di Ipsos commissionato dal Corriere della Sera, Lagalla avrebbe un leggero vantaggio su Miceli, mentre Ferrandelli – dato intorno al 10 per cento – toglierebbe voti a entrambi. Decisive, come spesso accade alle elezioni comunali, saranno le persone indecise, che al momento sono quasi la metà degli elettori. Va considerata una particolarità della legge elettorale siciliana: per vincere le elezioni comunali al primo turno basta superare il 40 per cento dei voti e non il 50 per cento come nel resto d’Italia. Se due candidati superano la soglia, vince direttamente chi ottiene più voti.

I sommovimenti dell’elettorato non sono facilmente leggibili. Per anni piazza Politeama, il nome con cui è conosciuto lo spazio tra piazza Castelnuovo e piazza Ruggero Settimo, è rimasta coperta dalle alte barriere di plastica a copertura del cantiere per il cosiddetto anello ferroviario, una tratta ferroviaria circolare lunga 7 chilometri all’interno della città. Fino a pochi anni fa quest’area del centro esprimeva una netta maggioranza di centrosinistra. Oggi, dopo notevoli ritardi e disservizi, si percepiscono incertezza e un generale malcontento.

Una parte del cantiere in piazza Castelnuovo nel 2019 (Google Maps)

Il progetto del tram in via Libertà, che dovrebbe sostituire l’attuale autobus 101, spaventa molti commercianti e abitanti. L’obiettivo delle nuove linee tranviarie è di raggiungere gli 80 milioni di passeggeri all’anno, di cui 27 soltanto sulla linea A, la tratta più contestata, che attraverserà via Roma e via Libertà. «Negli ultimi anni non abbiamo mai avuto garanzie sulla data di inizio e soprattutto di fine dei lavori», dice Patrizia Di Dio, presidente di Confcommercio Palermo. «Ogni cantiere ha un enorme impatto sulle nostre attività e sulla nostra vita».

Uno dei tram in servizio a Palermo (ANSA)

I commercianti dovrebbero essere una delle categorie più favorevoli agli investimenti sulla mobilità, perché è dimostrato che le pedonalizzazioni portano più persone di fronte alle vetrine e quindi più affari. Ma a Palermo come in altre città le associazioni che li rappresentano lamentano il mancato coinvolgimento da parte dell’amministrazione locale, che a loro dire non collabora abbastanza nella riprogettazione di queste aree.

Di Dio sostiene che negli ultimi anni non ci sia stato dialogo con il comune. «Non basta mettere una transenna per fare un’isola pedonale: serve una pianificazione più ampia. La città è stata trasformata in un enorme cantiere a cielo aperto, con danni per tutti, senza che noi potessimo dire qualcosa: l’impatto dei cantieri è stato feroce».

Francesco Raffa, esponente dell’associazione Amari Cantieri, è stato costretto a chiudere il suo negozio di artigianato in via Emerico Amari, una delle strade che secondo l’amministrazione dovrebbe essere trasformata in una “rambla” verso il mare, sull’esempio delle lunghe vie pedonali di Barcellona. 24 luglio 2017 è la data di fine lavori scritta sul cartello appeso fuori dal cantiere dell’anello ferroviario. «Le intenzioni sono sempre state buone, l’applicazione invece pessima», dice Raffa. «Il comune ha imposto le decisioni senza ascoltare le persone. Purtroppo la sensazione è che difficilmente cambieranno le cose, comunque andranno le elezioni. Anche quando i progetti sono interessanti, come nel caso delle pedonalizzazioni, i mancati controlli portano il solito caos: i tavolini occupano le aree pedonali e perfino i marciapiedi».

All’ingresso dell’area pedonale di via Amari è stata disegnata una rosa dei venti in un grande rettangolo rosa ricavato nell’asfalto colorato di nero. Nemmeno l’installazione è piaciuta. Per Iano Monaco, presidente del consiglio dell’Ordine degli architetti di Palermo, è stata «l’ennesima occasione persa per dare forma e dignità architettoniche a uno spazio urbano di particolare importanza». L’Ordine ha annunciato che aiuterà il comune con una serie di proposte, ma soltanto con la prossima amministrazione.

La rosa dei venti in via Amari (Facebook/Amari Cantieri)

Via Roma, un’altra tra le strade più importanti di Palermo, un tempo considerata il centro commerciale della città, oggi fa molta fatica. Molti negozi hanno chiuso e non c’è stato un ricambio: le vetrine sono vuote. La colpa è stata data alla zona a traffico limitato, anche se molti sottolineano la mancanza di rinnovamento di vecchi negozi rimasti identici per decenni. «La tranvia potrebbe essere l’occasione per una riqualificazione e per attrarre nuovi investitori», spiega Antonio Passalacqua, esponente dell’associazione Mobilita Palermo e assessore designato alla Mobilità dal candidato di centrosinistra Franco Miceli.

Negli ultimi anni l’associazione si è impegnata per sensibilizzare le persone in favore di una mobilità più sostenibile. «Le città non sono state create per le automobili», dice Passalacqua. «Serve un processo culturale perché la gente si riappropri delle piazze. È assurdo pensare che a Palermo ci sia ancora chi propone di non costruire le linee del tram dopo cinque anni di progettazione e fondi già autorizzati».

Passalacqua fa riferimento a Ferrandelli, che ha proposto di sostituire il tram in via Libertà e in via Roma con autobus elettrici meno costosi e per cui non servono cantieri. Anche Lagalla è contrario al tram. Ha detto che i contratti e gli impegni vanno rispettati, anche se sarebbe meglio sostituire il progetto del tram in centro con sistemi «più eco-sostenibili e meno impattanti sul piano degli spazi». Miceli, invece, dice di non avere nulla in contrario al tram in via Libertà perché anche in molte altre città europee ci sono linee tranviarie nelle strade del centro. «Però lo dobbiamo sottoporre al giudizio anche dei cittadini, come tutte le opere che riguardano la vita della città», ha promesso. «Lo vogliamo fare entrando nel merito, con i progetti, sentendo le competenze sul tema. E poi dobbiamo assumere una decisione in un tempo stabilito».

È difficile pensare che si possa tornare indietro dalla progressiva pedonalizzazione del centro, anche se il mancato dialogo tra l’amministrazione, le associazioni e le persone ha in parte rovinato l’idea promettente di una Palermo senz’auto. «Ma i residenti e i commercianti che dieci anni fa ci tiravano addosso i pomodori, oggi fanno le petizioni per chiedere le pedonalizzazioni», dice Massimo Castiglia, attuale presidente della prima circoscrizione, candidato per il secondo mandato. «Purtroppo in campagna elettorale ci sono forze avverse a un percorso di mobilità che ormai è inevitabile». Riaprire via Roma alle auto, sostiene Castiglia, porterebbe a un aumento significativo del traffico in tutto il centro.

Per risolvere il problema principale, cioè la gestione dei cantieri troppo lunghi e sgraditi, servirebbe in realtà una migliore organizzazione degli uffici comunali, più dipendenti e più controlli. Invece a Palermo, come in molti altri comuni italiani, i tecnici degli assessorati sono pochi con un’età media piuttosto alta. Mancano 900 vigili rispetto alle previsioni di organico e le società partecipate, che gestiscono servizi importanti come i trasporti e i rifiuti, vengono da anni di clientelismo e sprechi.

La pandemia da coronavirus ha rallentato progetti di mobilità che erano partiti già con molti problemi, soprattutto per la scarsa partecipazione che ha causato lamentele e contestazioni. Ricominciare è stato complicato e per chi vincerà le elezioni c’è il rischio di poter incidere poco per via delle decisioni già prese dall’attuale amministrazione. L’alternativa – rinunciare a centinaia di milioni di euro già garantiti dallo Stato e dalla Regione – è molto costosa e politicamente rischiosa, peraltro in un periodo in cui tutte le grandi città italiane sono pronte a sfruttare i soldi del PNRR per finanziare nuove grandi opere.