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  • Giovedì 19 maggio 2022

Cinque volte in cui si decise uno Scudetto all’ultimo

Dal famoso 5 maggio 2002 al 14 maggio di due anni prima, quando un diluvio a Perugia diede l'ultimo Scudetto alla Lazio

L'arbitro Pierluigi Collina ispeziona il campo all'intervallo di Perugia-Juventus il 14 maggio 2000 (BIANCHI /ANSA/JI)
L'arbitro Pierluigi Collina ispeziona il campo all'intervallo di Perugia-Juventus il 14 maggio 2000 (BIANCHI /ANSA/JI)
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Negli oltre novant’anni di storia della Serie A di calcio a girone unico, non più di una ventina di stagioni si sono concluse all’ultima giornata, fra due o più squadre in corsa per il titolo. Prima di quella che si concluderà domenica sera e che verrà decisa a seconda dei risultati di Milan e Inter, per trovarne un’altra bisogna tornare indietro di dodici anni.

È quindi una rarità che lo Scudetto si decida nell’ultimo fine settimana della stagione, ed è ancora più raro avere due squadre che si presentano a pari punti, o che ci siano ribaltoni che finiscono per premiare chi aveva meno probabilità di vincere. Tra la ventina di stagioni decise all’ultima giornata, ce ne sono cinque che ancora oggi, per quello che accadde, vengono ricordate più di altre. La più recente di queste fu poco più di vent’anni fa.

Roma, 5 maggio 2002
All’epoca l’Inter dell’allora presidente Massimo Moratti non vinceva uno Scudetto da tredici anni e a una giornata dal termine del campionato la classifica diceva: Inter 69, Juventus 68, Roma 67. L’Inter di quell’anno era allenata da Héctor Cúper, argentino arrivato l’estate prima, la Juventus da Marcello Lippi – dopo la parentesi con Carlo Ancelotti – e la Roma da Fabio Capello, che l’anno prima aveva vinto lo Scudetto.

Nonostante le molte assenze durante la prima parte del campionato — su tutte quelle degli attaccanti Ronaldo e Christian Vieri, che riuscirono a giocare insieme solo poche partite — l’Inter era riuscita comunque a rimanere nelle prime posizioni della classifica, e spesso in testa.

All’ultima giornata doveva giocare contro la Lazio in trasferta all’Olimpico di Roma. Sembrava un impegno tutto sommato alla portata, perché la Lazio non aveva grandi stimoli. Le due tifoserie, inoltre, erano gemellate, e una parte dei tifosi laziali considerava anche che, in caso di sconfitta dell’Inter, ci sarebbe stata la remota possibilità di una vittoria dei grandi rivali della Roma. In realtà però la Lazio lottava ancora per un posto in Coppa UEFA e nonostante un avvio di partita molto blando, dimostrò poi di volerla vincere.

Uno striscione dei tifosi della Lazio che invitava a far “passare” l’Inter (Marco Rosi/LaPresse)

L’inizio di partita fu favorevole all’Inter, che doveva vincere a tutti i costi per mantenere il punto di vantaggio sulla Juventus, impegnata in contemporanea a Udine. Nel primo tempo l’Inter andò in vantaggio con Vieri, poco dopo però pareggiò il ceco Karel Poborsky, alla sua ultima partita con la maglia della Lazio. Quattro minuti più tardi Luigi Di Biagio riportò in vantaggio l’Inter, ma a un minuto dalla fine del primo tempo un clamoroso errore del terzino slovacco dell’Inter, Vratislav Gresko, rese possibile il gol del pareggio della Lazio, segnato ancora da Poborsky.

«Feci un grandissimo errore a non scendere in campo all’intervallo, ma ero avvilito in una maniera terribile» ha detto di recente Moratti in uno speciale di Dazn. «Nel secondo tempo, entrando, i giocatori avevano capito come si era messa la cosa, ma lo stesso, tenevano un atteggiamento come se fosse facile. E infatti finì con la Lazio che passeggiando vinse 4-2». La Juventus, nel frattempo, vinceva agevolmente 2-0 a Udine e ogni gol della Lazio la avvicinava sempre di più allo Scudetto, il ventiseiesimo della sua storia.

A Roma, con la sconfitta dell’Inter ormai certa, Marco Materazzi si mise a piangere in campo — così come Ronaldo in panchina, in una scena rimasta storica — e le telecamere lo inquadrarono mentre, rivolgendosi ai giocatori della Lazio disse: «Ve l’ho fatto vincere lo Scudetto, ve l’ho fatto vincere uno Scudetto!», riferendosi a due anni prima, quando con il Perugia aveva battuto la Juventus all’ultima giornata dando lo Scudetto proprio a quella Lazio.

Perugia, 14 maggio 2000
Prima del 5 maggio 2002, infatti, ci fu il 14 maggio 2000. Da nove anni il campionato se lo spartivano solamente Juventus e Milan, anche se quel periodo passò alla storia come quello delle “sette sorelle”, ovvero le sette squadre migliori del campionato, tutte potenzialmente in grado di vincere lo Scudetto. Tra queste c’era la Lazio di Sergio Cragnotti, che negli anni precedenti, con investimenti miliardari, era diventata una delle migliori squadre d’Europa e nel 1999 aveva vinto l’ultima edizione della Coppa delle Coppe.

Quella fu l’ultima stagione di Serie A iniziata negli anni Novanta, considerato il periodo di massima competitività del campionato italiano. Per concludere un decennio memorabile, Juventus e Lazio se la giocarono in un testa a testa fino all’ultima giornata, a cui si presentarono rispettivamente con 71 e 69 punti.

I disordini a fine partita nel settore dei tifosi della Juventus (LaPresse)

La Lazio, impegnata in casa contro la neopromossa Reggina, una delle sorprese del campionato, doveva quindi vincere e sperare che la Juventus perdesse a Perugia, contro una squadra di metà classifica. La Lazio vinse senza problemi la sua partita per 3-0, ma quando finì a Perugia ancora doveva iniziare il secondo tempo. Un diluvio aveva infatti allagato il campo tra un tempo e l’altro costringendo l’arbitro Pierluigi Collina a tardare l’inizio della ripresa.

La partita riprese dopo oltre un’ora di sospensione, sul risultato di parità senza reti e tra le polemiche per le condizioni del campo, dopo che in quella stagione ce n’erano state già molte altre per i presunti favori arbitrali ricevuti dalla Juventus. A quattro minuti dalla ripresa il Perugia si portò in vantaggio con un gol di Alessandro Calori e lo mantenne fino alla fine. A Roma, dove il pubblico aveva già invaso il campo, iniziarono quindi i festeggiamenti per il secondo Scudetto, arrivato a 26 anni di distanza dal primo. Fu la vittoria che segnò l’apice di quella Lazio che pochi anni dopo, con la bancarotta di Cragnotti, rischiò il fallimento.

Catanzaro, 16 maggio 1982
La stagione 1981/82 fu quella che portò ai Mondiali in Spagna, quella del ritorno in Serie A del Milan, dell’introduzione degli sponsor sulle maglie, del debutto in campionato di Roberto Mancini e del ritorno, ma solo a fine stagione, dell’attaccante della Juventus Paolo Rossi dopo la squalifica per il precedente scandalo del calcio scommesse.

Per lo Scudetto, tra Juventus, Roma, Napoli e Inter si mise in mezzo la Fiorentina, che non vinceva il campionato dal 1969 e che nella precedente stagione era arrivata quinta, allenata dal suo ex giocatore Giancarlo “Picchio” De Sisti. A conferma delle sue quotazioni, in estate investì più di tutte e comprò Eraldo Pecci, Ciccio Graziani, Pietro Vierchowod, Antonello Cuccureddu e Daniele Massaro, che si aggiunsero a una squadra già forte, capitanata da Giancarlo Antognoni.

Giancarlo Antognoni con la Fiorentina (Ravezzani/LaPresse)

In 29 partite solo la Juventus campione in carica tenne il passo della Fiorentina, che su 29 ne vinse 17 fino ad arrivare all’ultima giornata, il 16 maggio 1982, a pari merito. Entrambe la giocarono in trasferta: la Fiorentina contro il Cagliari a rischio retrocessione, la Juventus contro il Catanzaro già ampiamente salvo e sorpresa di un campionato segnato dagli ottimi risultati delle provinciali, come l’Avellino e l’Ascoli.

A Cagliari la Fiorentina andò in vantaggio dopo un’ora di gioco, ma il gol di Graziani fu annullato tra le proteste per una spinta in area. La Juventus invece andò in vantaggio a un quarto d’ora dalla fine, su calcio di rigore dell’irlandese Liam Brady, a cui pochi giorni prima era stato comunicato che nella stagione successiva avrebbe dovuto fare posto a due nuovi stranieri, Zbigniew Boniek e Michel Platini. A Cagliari non segnò nessuno e così la Juventus divenne la prima squadra italiana a raggiungere i venti Scudetti e quindi le due stelle sulla maglia.

Verona, 20 maggio 1973
Nel 1972 il Milan era ancora sulla scia del primo periodo più vincente della sua storia, iniziato tra il 1961 e il 1963 con le vittorie dell’ottavo Scudetto e della prima Coppa dei Campioni. Quella stagione iniziò bene e proseguì ancora meglio, così come quella della Juventus e a sorpresa anche quella della Lazio, che da neopromossa aveva il vantaggio di non giocare le coppe europee. A metà stagione questo era l’ordine della classifica, con la Lazio terza a pari merito con l’Inter, che però nel girone di ritorno calò.

A tre giornate dalla fine, il Milan si trovava in testa con 41 punti, seguito dalla Lazio a 40 e dalla Juventus a 39. Nonostante le vittorie, il Milan aveva dato segnali di stanchezza, causati principalmente dalle faticose trasferte per giocare la Coppa delle Coppe. Anche la Juventus aveva l’impegno della Coppa dei Campioni, dove in quella stagione raggiunse la finale. A differenza del Milan, però, in campionato continuò a vincere, aiutata da un calendario meno fitto.

– Leggi anche: La storia della “fatal Verona”

Il 29 aprile, alla terzultima giornata, il Milan pareggiò contro il Torino, la Juventus vinse a Bergamo e la Lazio pareggiò contro il Bologna. Alla penultima vinsero tutte e tre, e si presentarono quindi all’ultima giornata con il Milan avanti di un solo punto, ma con un impegno in più: la finale di Coppa delle Coppe, che aveva giocato e vinto a Salonicco quattro giorni prima in una finale impegnativa contro il Leeds United. La Juventus, invece, aveva avuto il vantaggio di giocare la sua finale il 30 maggio, a campionato finito.

Il 20 maggio, contro un Verona a ridosso della zona retrocessione, il Milan crollò, concludendo il primo tempo in svantaggio 3-1. Anche a Roma la Juventus si trovò sotto di un gol nel primo tempo, ma poi recuperò e vinse con i gol di Altafini e Cuccureddu. Il Milan invece non riuscì a recuperare e finì per perdere 5-3, mentre la Lazio perse all’ultimo minuto contro un Napoli descritto come molto agguerrito, nonostante fosse già salvo.

Successivamente, anche in tempi recenti, diversi dei giocatori coinvolti in quell’ultima giornata di campionato hanno sostenuto che all’intervallo di Napoli-Lazio un gruppo di dirigenti e giocatori della Lazio andò dal capitano del Napoli per assicurarsi l’esito della partita. Iuliano però disse: «Siete arrivati tardi». Le rivelazioni, anche per la prassi dell’epoca, non ebbero nessuna conseguenza, così come quelle su un presunto e mai accertato “premio a vincere” — fino agli anni Ottanta di uso comune nel campionato — offerto al Verona dalla Juventus per battere il Milan, che però quella partita non sembrò mai in grado di vincerla.

Roma, 7 giugno 1964
Non fu esattamente l’ultima giornata del campionato 1963/64, perché all’epoca se due squadre terminavano il campionato in testa a pari punti si giocavano lo Scudetto in uno spareggio in gara unica. E quell’anno l’Inter di Helenio Herrera, campione d’Italia in carica, già vincitrice della prima di due Coppe dei Campioni consecutive, finì il campionato a pari merito con il Bologna di Fulvio Bernardini, uno specialista nel far vincere titoli a squadre non così abituate alla vittoria, come aveva fatto con la Fiorentina nel 1956.

Il Bologna di quell’anno, poco considerato e partito con gli sfavori dei pronostici, si fece conoscere nel corso della stagione come il “Bologna Paradiso”, grazie alla qualità del suo gioco e alle prestazioni di giocatori rimasti nella storia della squadra e di tutto il calcio italiano, come Giacomo Bulgarelli, Ezio Pascutti, Helmut Haller e Harald Nielsen.

A metà campionato, però, la squadra fu coinvolta in uno scandalo quando cinque giocatori risultarono positivi a un test antidoping che segnalò tracce di anfetamine nelle loro urine. A marzo la squadra fu quindi penalizzata di tre punti e Bernardini squalificato per un anno e mezzo. Ma il Bologna, convinto che ci fosse stato qualche errore, se non una manipolazione, fece ricorso che un mese dopo venne accolto: i periti non trovarono tracce di anfetamine negli stessi campioni che un mese prima erano risultati positivi. Fu quindi manomissione ma non furono mai trovati i responsabili, anche se da parte del Bologna ci furono sospetti su alcuni dirigenti del Milan, la squadra che nella prima parte di stagione si era contesa il primo posto con il Bologna, prima dell’arrivo dell’Inter.

Il campionato, quindi, proseguì e si concluse con Bologna e Inter prime a pari merito. Al termine dell’ultima giornata, i presidenti delle due squadre, il petroliere Angelo Moratti e l’imprenditore tessile Renato Dall’Ara, si ritrovano nella sede della Lega Calcio a Milano per discutere le modalità dello spareggio. Durante la riunione, però, a Dall’Ara venne un infarto: morì sul posto a 72 anni e i soccorsi furono inutili.

La prima pagina della “Domenica del Corriere” del 14 giugno 1964

L’organizzazione dello spareggio continuò su invito della moglie di Dall’Ara, che spronò i giocatori del Bologna a vincere in ricordo del loro vecchio presidente, e così accadde. Il 7 giugno, in uno Stadio Olimpico perlopiù a favore del Bologna — anche perché allenato da un romano — l’unico spareggio per lo Scudetto nella storia del campionato italiano fu deciso nell’ultimo quarto d’ora con un autogol di Giacinto Facchetti e da un gol del danese Harald Nielsen. Fu l’ultimo dei sette Scudetti vinti dal Bologna, che riuscì nell’impresa di battere una delle squadre più vincenti nella storia del campionato italiano.

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